Lo stand di Francesco Pantaleone. Miart 2023

Tra week & week: mercato|vs|mercato

Così il valore positivo del «crescendo» maschera, sotto l’apparente accessibilità delle Fiere, il suo rovescio: la scomparsa delle esposizioni dedicate; l’ansia di accumulare investimenti; l’illusione di poter contenere e monitorare tutto, anche grazie alla ricchezza. In questo articolo, Gabriele Perretta interpreta la trasparenza dei due “week milanesi”, come la più estetica delle mitologie contemporanee, che struttura molte delle forme più pervasive ed insidiose del nostro piacere di acquistare.

Week One: Considerata come un vettore degradato della pianificazione collettiva, la fiera, il design week contro l’art week, è un oggetto tabù per il curator, il cui ultimo sforzo di allestimento, la ricostruzione del “crescendo” sulla ricostruzione della “crescita”, concerne soltanto la promozione pubblicitaria e oggettuale. Tutto ciò la dice lunga sul cammino percorso dall’art dealers e del «courtier», dopo le relazioni intrecciate tra Museo e Supermercato. Questa singolare emergenza espositiva, che la fiera fa sorgere e che stabilisce con il visitatore un puro rapporto di fascinazione, dovrebbe almeno intrigare il vecchio collezionista. Tutta la filosofia spettacolare della vecchia Europa ruota intorno all’idea che l’esposizione è per sua essenza limitata, in quanto il visitatore non potrebbe considerare gli eventi se non nello spazio e nel tempo del mercato, cioè industrialmente, poiché ogni oggetto come tale è solo vendibile. Quando i visitatori entrano in una messe infinita di eventi; non lasciano che la loro storia sia culturale e la loro identità di provetti prosumer al guardaroba, e neppure rispondono passivamente ai materiali esposti. Piuttosto, essi si affollano nelle mostre, nei focus della Triennale; interpretano il superficiale e il profondo, lo sovraffollano, stratificano le ridondanze dell’industria culturale, i trans-valori e le capacità percettive culturalmente offerte e svagate o acquisite attraverso l’appartenenza a gruppi plurimi. Ogni service company dispone di strategie di servizi per ricordare e di manifesti fascinosi per dimenticare. Gli ART WEEK e i DESIGN WEEK di Milano sono, nel tessuto pubblicitario della città, un luogo per non dimenticare, un magazzino del packaging, dove si delineano le identità del sistema, le classificazioni del consumo e dello stile, dove si scrivono e si riscrivono il passato e il presente del “crescendo” e della “crescita”. L’idea di Museo Open Air, supermercato della prossimità, fra mondanità e ricchi cotillon, risale al primo progetto di pianificazione e di ristrutturazione post-pandemica, in cui – quasi sempre – la moda prevale sull’arte. Le fiere funzionano, in parte intenzionalmente e in parte contro la loro volontà, come momenti di fragilità della cultura e spingono a interpretare: dalla decadenza delle antropologie metropolitane al tracollo dei rituali collettivi, dalla scomparsa dei miti dell’arte agli effetti distruttivi del valore dell’oggetto di serie, nella trascuratezza dei dubbi corrosivi del design contro l’arte contemporanea! Cosa succede quando un’istituzione egemone come il Design Week progetta di sovrastare un gruppo minoritario come il MiART-Fair? I rapporti tra design e elitè artistica, che divengono sempre più politici, sono spesso al centro di accese competizioni: chi controlla chi? Chi pianifica i processi di acquisizione e di allestimento? Che cosa accade, quando opere d’arte estranee alla tradizione egemone sono messe a confronto con i canoni del design, della pubblicità e dell’architettura ridimensionata a cucchiaio e a tazzina del caffè? Al servizio di chi si pongono effettivamente le attività di un DESIGN WEEK, che svolgono un ruolo di regolamentazione anche del crescendo d’arte? Durante la consueta settimana del Fuorisalone 2023, gli eventi organizzati erano davvero tanti (oltre 1000). Designer, architetti, scuole, università e istituzioni si sono riuniti durante la settimana della “Milano da bere e da Vendere” (memoria infallibile degli anni ‘80 del ‘900), prevista dal 17 al 23 aprile, per sovrapporre idee che possano mettere alla berlina l’attività autoreferenziale della Fiera di Arte Contemporanea. Fuorisalone e salone del mobile rendono l’arte contemporanea un immobile inespandibile: We Can Be Heroes (Generazione Green); We will design al Base; Claire Fontaine a cura di Milano Space Makers; Assembling the future together di Ikea; l’iter di Annie Leibovitz come ospite di spicco; il progetto Terra a firma Studio Pepe; Materia, alla Fabbrica del Vapore con Zerocalcare, eccetera eccetera eccetera. In questo quadro, il design cerca di sperimentare nuove forme di competizione con i visitatori e i collezionisti di arte moderna e contemporanea, trasformandoli in fonti di prosumer e di social network per il supermercato stesso! Dal punto di vista della definizione del rapporto tra “curatore del mobile” e “pubblico dell’im/mobile” (l’arte moderna e contemporanea), il confronto fra i due weekend di sfogo al ribasso per l’arte rimane serrato: il visitatore al posto di essere concettualizzato come ricettore passivo, diventa il depositario di passerelle preziose, che il personale del supermercato deve cercare di far emergere. Concretamente i visitatori vengono fagocitati e minacciati dalla pubblicità, si chiede loro una valutazione della movida e dei materiali offerti! Si cerca di integrare le loro testimonianze e i loro ricordi all’interno del paesaggio sterminato dei mille eventi. In molti casi, gli esiti sono sorprendenti: mentre i lavoratori delle lavanderie vengono messi in esposizione, in Fiera si vendono i resti del ready-made!

Week Two: Qual’è il senso di una curatela fieristica dell’arte contemporanea? Con questa espressione si intende la decostruzione del titolo di Miart 2023, il disvelamento, l’analisi delle condizioni e delle pratiche sociali che fanno sì che l’opera d’arte sia effettivamente riconosciuta come tale, tra gli stand di una affermata esposizione! Il titolo dell’ultima edizione riguarda “il Crescendo ESTETICO” nell’impalcatura della sua illustrazione. Sembra che non sia più possibile sostenere che l’arte è un fatto naturale, non negoziabile, in qualche modo oggettivo. È necessario accettare che essa è invece un tipo di costruzione sociale della realtà, in quanto tale dipendente dalle convenzioni, dal consumo e dalle abitudini e norme interne che lo regolano, dallo stesso ambiente fisico in cui avviene la trasmissione del “Crescendo” (si pensi all’importanza dell’arredo degli stand e al confronto impari con il Design Week). Il tema da orchestrare stavolta, lo offre una percezione fieristica ricca di improbabili “crescendi”. Ecco in breve il testo del mio viaggio al MIArt 2023: accompagnato dall’occhio di Roberto Sala, devo visitare un luogo ristrutturato e che si presenta altamente espositivo, conosciuto ad entrambi, sacro alla ninfa dei Salon storici! Si sa che in una Fiera d’Arte (anzi la Fiera d’Arte) esiste soltanto un unico punto di osservazione dal quale si potrebbe scorgere un riflesso che dovrebbe rivelare a pieno l’autofascinazione del luogo. Il mercato dell’Arte e la città più attrezzata sul commercio espositivo hanno un fondamento auto-erotico comune, che si traduce nell’erezione e nello scambio del “crescendo”. La fortuna per l’uno e il potere per l’altro sono manifestazioni strategiche: essere eletti a eccitazione amorosa – mascherando il dadaismo della crescita sistemica, divina, empatica ed elitaria – dipende anche da un consenso e da un radicamento politico, che si traducono in un “benefico-consumatore” per l’uno e in un “beneficio-collezionistico” per l’altro.

La crisi si è stabilizzata in questa forma precisa del crescendo, in cui il collezionista-disperso-attuale (ovvero sottoposto ad un nuovo profilo giuridico-finanziario) non trova più alcun beneficio e desidererebbe anche lui gustare il crescendo e non essere considerato solo per l’affermazione monetaria dell’Eterno investimento. Qualche cosa seduce l’elite del mercato artistico; la “cosa d’arte” è diventata oggetto di speculazione, vede il proprio prezzo salire; comprata oggi quell’opera in moneta, varrà di più domani; il rialzo attira nuovi compratori; questi assicurano la crescita del prezzo e non del crescendo, in quanto dinamica del proprio rialzo; la massa allora comincia a credere al carattere infinito della nona sinfonia di Ludwig van Beethoven. Dalla Fiera in cui ci si viene a trovare si può empatizzare, crescendo e viaggiando in «caring o sharing», vigili delle tensioni mercantilistiche: ci si può posizionare in una bella collezione virtuale e fare il riassunto delle puntate precedenti. Tutto questo resta così, finché la “fiction del crescendo” e il bisogno di crescita davanti al potere dello spettacolo artistico tengono. La caduta o la risalita, ineluttabili per il borsino estetico, non interviene nella sua brutalità, se non a partire dal momento in cui l’elite dei compratori vuole essere la prima ad abbandonare la nave, rivelandosi come la più istruita. La massa, che pensava che la crescita del mercato, come crescendo musicale, sarebbe durato per sempre e che i galleristi tutti giocassero con le medesime regole, si sveglia di soprassalto dal proprio viatico commerciale e vende precipitosamente (quindi male). È l’illusione dell’intelligenza artistica trasferita al mercato o, più in generale, l’impressione di essere eletti dalla buona sorte, a provocare “crescendo” o “crescita brutale”.

L’ordine del caso, del gioco, della speculazione è compatibile solo con il comportamento espositivo, esso stesso aleatorio, del e nel qualunque. Se un gallerista, o un gruppo di gallerie, si crede all’improvviso in grado di controllarlo o di dominarlo, lo fa involvere. La liberalità del mercato artistico contemporaneo è di questa natura. Per attivare la macchina curatoriale, non ha più bisogno di far entrare nelle teste le stesse note, i punti di riferimento estetici e politici, i modelli di comportamento stereotipati. Il gioco e la speculazione del crescendo sono stati assorbiti come software spettacolare. Anche se ancora non si è trovato il punto da cui è possibile godere l’effetto di quelle giunzioni espositive sinora autoaffermantesi, la suggestione della fiera e del suo mercato è già molto viva.

Davvero integrata un’esposizione come questa, in ogni visibile riferimento a dati dell’attualità mercantile cosciente e determinante. Ma se ne potranno trarre interessanti evocazioni memoriali, senza che la suggestione della visita vada perduta – tutt’altro! – nel processo di amplificazione dello spettacolo artistico e della fantasmagoria dell’opera ritrovata: la rianimazione può prendere le mosse dalla presenza-guida del vaso di Pandora delle avanguardie artistiche del Novecento.

Ha il volto del genitore reale questa edizione di MiART 2023, legato a precise storie di rinascita, che la connotano nel ruolo di iniziatrice e ultimatrice dell’arte moderna e contemporanea (anzi: contemporary art), sempre così fedele alla propria responsabilità ausiliatrice, quella che ritiene doveroso promuovere il mercato nel post-mercato e la nuova rete finanziaria come orchestra bene accordata! Fino ad oggi le fiere hanno sviluppato principalmente le proprie lievitazioni economiche. La loro evoluzione storica, la metafora stessa del mercato accordato con una sottile chiave di violino pertengono alla redditività del sistema occidentale dell’arte (sui generis: PIL)! Le qualità di energia in circolazione sono liberiste, ma le capacità in segni sono molto deboli. La crescita estensiva del mercato dell’arte si basa sul maggiore utilizzo dei fattori produttivi. La crescita intensiva si basa sull’ incremento della produttività del venduto ottenuta tramite l’introduzione di innovazioni. La fiera Internazionale dell’arte Moderna e Contemporanea di Milano (organizzata da Fiera-Milano), dal 14 aprile al 16 aprile, si chiude con numeri molto soddisfacenti: sono state presenti 169 gallerie, provenienti da 27 paesi. L’opera di Haris Epaminonda (43 anni, affidata all’artista cipriota, per lo stand della galleria Massimo Minini di Brescia) sarà sistemata al Museo del Novecento. Le gallerie si trovano suddivise nelle ormai classiche sezioni: Established (133 gallerie tra le più importanti); Emergenti: per la promozione delle nuove generazioni; e Decades con spazi che attraversano la storia dell’arte del Novecento per decennio, alla maniera di Enrico Crispolti e Giorgio di Genova (classificazione statistica ma non attuariale). 

Inedita partecipazione di prorompenti realtà internazionali come: Esther Schipper, Andrew Kreps Gallery, Galerie Lelong and Co … che si uniscono alla Galleria Abbondio di Todi, Pantaleone di Palermo con Per Barclay, Vistamare con Rosa Barba e Perrotin di Parigi.

Entreranno in maniera vantaggiosa nel mondo delle gallerie intelligenti le immagini virtuali solo se le comunità che avranno saputo proteggere il mercato, si salverà chi guarda ad un patrimonio e avrà assimilato l’aldilà dell’estetico: «Io poi ho sempre pensato – scrive Henri Matisse nel 1935 – che gran parte della bellezza di un quadro derivi dalla lotta impegnata dall’artista con i limiti del suo mezzo espressivo». Le sue parole riassumono bene il tema del lavoro di Charline Tyberghein (“piccolo ottimale”), presso la galleria Sophie Van de Velde di Antwerpen, dunque, il ruolo fondamentale della costruzione concreta dell’arte rispetto alla sua autonomia ideale. Sul piano interpretativo, ciò comporta un radicale ridimensionamento del profilo messianico dell’artista, il quale spesso non ha alcuna intenzione o pretesa di comunicare qualcosa di fondamentale, al di là delle sue possibilità strumentali e delle sue “minimalità ottimali”, perso in questo mondo esattamente come tutti noi. Ricordava Picasso: «giornalisti curiosi e amatori di pittura vengono a vederci per trarre da noi verità dogmatiche o definizioni che potrebbero spiegare loro la nostra arte, mettendo in rilievo il suo valore pedagogico, valore che io nego categoricamente. Noi facciamo della pittura. Vorrebbero forse che, per aggiunta noi fossimo fabbricanti di verità e di massime?». Per arte, un tempo si intendeva qualsiasi opera artigianale, come ad esempio la ceramica, la sartoria, la falegnameria, la calzoleria, attività queste per nulla inferiori ad esempio alla pittura. Quello che contava era operare secondo regola; oppure, volendo dare una classificazione alle arti, si teneva in considerazione la quantità e la qualità dello sforzo da impiegare, sforzo che poteva essere fisico o intellettuale. Alcuni autori protomoderni, come Boezio, usano invece due differenti termini: ars (competenza teorica, attività intellettuale) e artificium (perizia tecnica, lavoro manuale). In questo monologismo fieristico, le arti vengono ridotte e codificate. Alcune arti, con l’esasperazione del crescendo, vengono estromesse ed altre ancora devono lottare per ottenere il dovuto riconoscimento: vedi, ad esempio, il medialismo che nella schematica sezione dei decenni e del periodo anni ‘90 del ‘900, è quasi completamente assente!