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Dal mare al mare.
[Una famosa scatola di sardine lampeggiò nel mare aperto. Non importa conoscere la verità dell’avvenimento (“vero” o sognato/inventato): quel riflesso certificò l’esperienza corrosiva del guardarsi essere guardato, e così via, in un’interminabile mise en abyme.
Quell’esperienza era e sarà anadiomene, sorta dal pattume marino. Acqua e sale e qualsiasi altra cosa].
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Parthenope (il personaggio del film di Sorrentino) è teoria. Stabilito questo assunto, resterebbe da vedere se anche il film lo sia. Ma prima concentriamoci un po’ su questa bellissima parola, teoria. Si tratta di qualcosa che si oppone alla pratica, secondo certe convinzioni, oppure che la integra, secondo altre, essendone l’origine o “in ultima istanza” una conseguenza. Tuttavia, si sa, “teoria” è anche una processione, o almeno una sequenza: “la teoria delle vergini”; “una teoria di formiche”, secondo un esempio proposto dalla Treccani.
Potremmo allora chiederci (ricordando quanto dice il personaggio di un’altra storia) “se le formiche inciampano”.
È questo il centro di Parthenope, il film?
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Il film Parthenope è una teoria? Il suo nucleo sono gli inciampi della teoria? Vediamo in azione una teoria, in effetti, alla fine: vediamo la processione dei tifosi, adoranti il loro idolo ritualcalcistico. Li vediamo, in quanto vediamo Parthenope anziana che li vede, poiché ha imparato a vederli. Mise en abyme. Come ha imparato? Del resto, per caso Parthenope è una storia di formazione, un Bildungsroman?
Parthenope (il personaggio), abbiamo detto, è teoria. Infatti per parecchio tempo non fa altro che spostarsi. Impara a “vedere” la teoria altrui (anche se al momento è solo la caciara dei tifosi che si spostano), dopo aver rinunciato a muoversi. Rimane per quarant’anni a Trento, ci viene detto.
Ricorderemo qui il consiglio di Boris: a volte è più opportuno dire che mostrare (“Non lo dimo ma lo famo”, ricordate?). Come si potrebbe mostrare un’immobilità durata quarant’anni? Sorrentino infatti si limita a farci vedere il convinto applauso di colleghi e studenti, al pensionamento di una Parthenope ormai fuori gioco, che ha imparato a “vedere” stando ferma. È stata ferma, è stata brava, forse qualcuno in qualche momento ha smesso di vederla e (percio?) si è visto.
Quanto invece ci fa vedere Sorrentino (e talvolta riesce perfino a farcelo “vedere”) è l’inesorabile spostarsi di Parthenope ragazza. Kore. Sirena. O, per essere più precisi, Nympha.
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Come ogni Nympha, Parthenope ragazza si muove ed è continuamente guardata. Non “vista”, senza dubbio – sarebbe un incredibile avvenimento, sotto la luce oscura dello sguardo maschile che vorrebbe guardarla, sì, mentre si muove, oggetto del desiderio, ma allo stesso tempo la vorrebbe ferma, preda ormai catturata.
Parthenope si muove, mentre il fratello condivide il suo stesso non riuscire a vivere (ma non regge e “si lascia andare”, definitivamente immobile) e mentre il suo innamorato si sposta nella coazione a ripetere, ovvero nell’immobilità pressoché onirica di un doppio trauma, Nachträglichkeit.
Appunto, è in questione il tempo.
La teoria è una endiadi: immobilità/movimento. Il tempo è lì, chissà quando chissà dove, forse nell’infanzia (ma non tutti sarebbero d’accordo), forse in un enigmatico altrove, negli altri o nel Medesimo.
Forse il tempo è come una formica che inciampa.
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Ogni teoria ha i suoi trucchi e i suoi punti ciechi. Bisognerebbe curare l’abnorme nascosto, l’irrisolvibile che fa da trauma iniziale e forse anche conclusivo. Il mostro marino, nel finale di La dolce vita; l’enorme pulce del re, in Il racconto dei racconti – Tale of Tales di Matteo Garrone; il segreto del Professore, in Parthenope.
Fatto è che il “mostro” è l’opposto/identico della teoria: sia perché blocca in un’origine che non fa che accrescersi e che eventualmente si interrompe mutata solo nella sua ampiezza, sia perché è, il mostro, il qualcosa contro cui ci si infrange, qualcosa che è troppo vicino e non permette profondità e freddezza.
In altri termini il mostro opposto/identico “potrebbe essere” il Reale.
Ma la Nympha/Sirena/Kore è una via d’accesso al Reale, o una promessa di sua esautorazione?
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Si sospetta che in ogni teoria si annidi lo sguardo lucreziano, il farsi spettatori, da lontano e al sicuro, di un Naufragio.
Dal mare al mare, quindi.
Che odore inebriante di mito, nevvero?
Di mito. O del suo gemello spurio, quello che Roland Barthes chiamava Neutro. “Definisco il Neutro come ciò che elude il paradigma […]. Che cos’è il paradigma? È l’opposizione di due termini virtuali di cui attualizzo uno, per parlare, per produrre senso”. Il Neutro mira “alla sospensione dei dati conflittuali del discorso”.
Il Neutro, ad esempio la pura contemplazione del mare. Vedi? Non sembra esserci traccia di male – cioè di senso ovvero di conflitto ovvero di punti di vista discordanti. Il Neutro, o il “non senso” sensatissimo, il grado zero del significato, la pura (perché sempre necessariamente impura…) Teoria.
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Parthenope, il film, è divisivo. Molti ne sono affascinati, mentre altri lo giudicano arrogante, perfino repellente. Ma non è il destino di ogni teoria, di ogni sequenza di sguardi punti vista trasalimenti intuizioni, neutre o discorsive, costruite o irrazionali?
La Nympha ti seduce, ti allontana, ti divide dagli altri nonché da quanto sei. O almeno dal tuo Reale. Anadiomene. Dal mare al mare.