Francesco Fossati, Eight Autumns, 2023, installation view presso IAGA Contemporary Art, Cluj Napoca, ph. Stefan Badulescu

Organic Pictures. Francesco Fossati

In tempi in cui la questione ecologica viene imposta attraverso gesti che, prendendo di mira opere d’arte, attirano l’attenzione su se stessi anziché sulla natura che intendono salvare, Francesco Fossati persegue una ricerca che fa del rispetto e dell’amore per la natura il suo primo obiettivo. Lo abbiamo intervistato, in due puntate, in margine a una sua personale, a cura di Camilla Remondina, sino al 20 febbraio presso IAGA Contemporary Art a Cluj/Napoca, in Romania. La mostra, derivata dalla vincita del “premio galleria” al Combat Prize nel 2022, è la prima ricognizione del progetto di Francesco Organic Pictures, ormai al suo ottavo anno: pezzi appartenenti ad ogni “stagione” produttiva dialogano tra loro in un allestimento studiato appositamente per la mostra.

Otto anni fa hai iniziato il ciclo Organic Pictures, opere su tela realizzate con la tecnica dell’ecoprint. Puoi parlarcene?

È una serie composta principalmente da opere su tela di grande formato; le immagini sono costituite dai colori contenuti all’interno di materiale vegetale come foglie, rami, bacche e frutti, trasferiti sulle tele in modo permanente. Dopo aver scoperto nel 2015 che secondo l’OMS l’aria dell’area nella quale vivo era la più inquinata d’Europa, ho iniziato questo progetto come fosse un esperimento, volevo vedere se era possibile realizzare delle opere senza alcun impatto ambientale. Nel 2016 ho usato parti di piante da me coltivate in modo biologico per la stampa in ecoprint, ho preso delle stoffe realizzate da fibre vegetali, ho cambiato il fornitore di energia in studio con uno che utilizza fonti rinnovabili e assieme ad un falegname ho trasformato le travi del tetto di una vecchia casa in ristrutturazione nei telai delle opere. Da questo momento quello che era solamente un esperimento è diventato il centro della mia ricerca fino ad oggi. Continuo a produrre queste opere ogni anno tra la fine dell’estate e l’autunno, ora uso principalmente foglie di piante spontanee e alimurgiche raccolte in giro per la città, in quelle parti che ancora riescono a nascondersi dall’antropizzazione. Il mio ruolo come artista è diventato sempre più marginale; collaboro a un processo che non posso e non voglio controllare nella sua interezza: mi limito a disporre il materiale organico sulla tela. Gli altri elementi come i colori, le tonalità e l’intensità dell’immagine dipendono da fattori ambientali che come tutto in natura sono continua trasformazione.  

La materia organica non è dunque un timbro, una matrice che si impone con violenza: la terra ritorna lentamente alla terra, la polvere alla polvere.

La foglia invece di cadere direttamente a terra e diventare humus, viene temporaneamente appoggiata su una tela e attraverso la bollitura rilascia alcune sostanze tra cui dei colori che si fissano sulle stoffe, per poi tornare nel suo contesto. Si tratta di un processo, che considero una collaborazione; mi metto a disposizione per la creazione di immagini, ma non ne sono l’unico artefice: la soglia di non definizione riguardo all’esito dell’opera è molto elevata. Anche utilizzando foglie della medesima pianta in anni differenti, o anche nella stessa stagione a distanza di settimane, non si ottiene quasi mai lo stesso risultato. 

In un processo così complesso, la progettualità, e la techne, la fanno da padrone. Ma senza quella sorta di superbia che si rinviene talvolta, giusto per fare un esempio, nelle ceramiche arcaiche di stile geometrico, dove si ha l’impressione che gli autori intendano imprigionare gli elementi in pochi tratti. Nei tuoi lavori l’equilibrio non soffoca mai la fantasia…

L’assenza di controllo sull’aspetto finale della stampa genera spesso elementi inediti che sono in grado di aprire continuamente nuove strade. Inoltre la composizione è la parte di cui mi occupo principalmente in questi lavori. Mi piace ispirarmi a opere minimaliste e geometriche che poi vengono chiaramente trasformate dalla matrice vegetale. Negli anni ho usato modalità di allestimento e presentazione differenti per far emergere alcuni aspetti della ricerca: ho lavorato con tele montate su telaio, sfuse, appese a strutture costruite assieme ad artigiani… la stessa tela, alle volte, è stata sezionata e sono state create opere più piccole, come accaduto in passato al quadro di Rubens che ritrae i Gonzaga.

L’esempio preistorico di prima mi riporta al “passato” dei materiali che sei solito impiegare. Sono tutti, o quasi, prodotti da te: dal produttore al consumatore.

Sono tutti o quasi materiali naturali, per lo più di origine vegetale, li raccolgo, li colleziono e poi li uso per fare delle opere. Non solo il progetto Organic Pictures, ma più in generale tutta la mia produzione parte dall’elemento naturale. Mi piace produrre delle cose, arrivare ad una sorta di autonomia della sussistenza artistica, anche se ho constatato che è quasi impossibile. Da alcuni anni in studio realizzo pigmenti naturali che poi uso per produrre colori a olio, acquerelli e tempere; inoltre mi piace lavorare con artigiani e studi di eco design per realizzare display, supporti e cornici.


Francesco Fossati, 2020, foto Chen Run

Francesco Fossati (1985, Carate Brianza, Italia) è artista visivo e forager di piante selvatiche. La sua ricerca ha come focus il rispetto della natura e la sostenibilità ambientale, realizza opere con il minore impatto possibile, ha creato eco-giardini, prodotto pigmenti e colori a olio con sostanze naturali e utilizzato pratiche di coinvolgimento sociale e manovalanze locali per la realizzazione di opere di arte pubblica. Progetta e realizza displayer, supporti e cornici in collaborazione con studi di eco design utilizzando materie prime a filiera controllata o certificate FSC. In anni recenti ha dato vita a un’artoteca ecosostenibile presso il Porto Museo di Tricase (LE), ha partecipato alla mostra Solstice curata dall’artista americana Judy Chicago alla Turner Carrol Gallery di Santa Fe (NM) all’interno del più ampio progetto Create Art for Earth lanciato da Hans Ulrich Obrist assieme a Judy Chicago e Jane Fonda. Ha sostenuto la transizione dell’Institute of Contemporary Art di Los Angeles per diventare il primo museo interamente alimentato da energia solare e nel 2020 ha iniziato una sperimentazione condivisa di colori a olio naturali di sua produzione, grazie al supporto di diversi curatori più di ottanta artisti di generazioni diverse hanno mostrato interesse nel progetto e hanno ricevuto i tubetti di colore prodotti da Fossati, tra essi ci sono Mimmo Paladino, Miltos Manetas, Luca Bertolo, Luca Pancrazi, Vedovamazzei e molti altri.

Fine prima parte