Cesare Cavalleri

Nel segno di Arlecchino

Un ricordo di Cesare Cavalleri, la donazione di una scultura di Severini e i nostri migliori auguri.

E anche quest’anno, forse, l’abbiamo spuntata. A dispetto delle minacce, e dei morti sul campo, la terza guerra mondiale non è ancora scoppiata. Niente di particolarmente confortante, se pensiamo che in tante parti del mondo si combatte; tanto più che, come in quei film dell’orrore in cui l’ultima scena apre le porte a un sequel, un successivo capitolo di brividi e sconcerto, il fantasma del covid è in viaggio dalla Cina. Che fare allora? Incontrarsi, festeggiare. Perché, nel momento in cui qualcuno ci accompagna, il male si dilegua. Perciò sono tanto importanti i saluti, da vicino e da lontano.

Il primo vorrei dedicarlo al mio amico Cesare Cavalleri, venuto a mancare il 28 dicembre, per un male incurabile. Nessuna tragedia, per carità. Cesare era un giornalista: editorialista dell’Avvenire e direttore di Studi cattolici, nota rivista culturale, aveva pensato bene di annunciare pacatamente la sua morte, di cui era stato avvisato, con l’anticipo di alcune settimane. È stato il primo a chiedermi una recensione, il primo che mi commissionò un articolo, il primo che mi fece scrivere, scambiandoci le penne, la prefazione di un libro di un altro amico, il poeta Alberto Caramella, il primo che ebbi il piacere di intervistare – non s’intende, per uno dei suoi fogli, ma per una rivista concorrente. Ricordo ancora la dedica al libro di suoi editoriali al vetriolo che mi donò nel suo studio, in una torrida estate meneghina: “ad Andrea, perché legga”. E non si capiva che cosa dovessi leggere: le sue recensioni, o i libri che le avevano ispirate (Cesare si interessava di letteratura, ma anche di musica, e di arti figurative). Entrambi, questo è certo, meritavano attenzione. Se anche nessuno dei volumi di cui Cesare parlava fossero stati scritti, le sue Letture sarebbero state un esercizio stimolante. Fummo molto vicini per alcuni anni, poi la vita ci divise.

Ma la letteratura, come l’arte, ha questo di incredibile: non scade. È una festa dello spirito. A patto, ovviamente, che si sappia festeggiare. In giorni – gli ultimi dell’anno – in cui in tanti si scervellano sull’opportunità di aprire una linea di credito per accendere il camino e/o allestire il cenone, il comune di Cosenza, all’altro capo della penisola, si è deciso a inaugurare, il primo del 2023, alle venti, presso il Teatro Rendano, una scultura cubo futurista in terracotta policroma: l’Arlecchino di Gino Severini. Negli anni ‘50, a Parigi, Severini ne aveva disegnato vari bozzetti e la ceramica venne realizzata successivamente dal ceramista Giò Colucci. Lascio la parola al mecenate Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, che ha reso possibile la donazione della scultura: “all’inizio del Novecento, quando la Commedia dell’Arte aveva esaurito il proprio ciclo dal punto di vista teatrale, maschere come Arlecchino cominciarono a perdere la loro specificità per divenire veicolo di messaggi differenziati. Una sorta di ‘revival’ della maschera che rende mirata la collocazione di questo soggetto al Teatro Rendano. Una scissione tra la sua essenza e la sua interpretazione che oscilla tra processi di contaminazione iconografica. In questo contesto Gino Severini e Pablo Picasso utilizzarono la maschera come pretesto per la sperimentazione di nuove soluzioni formali. In Picasso il personaggio della commedia dell’arte incarna malinconia e semplicità; in Severini diventa una figurazione dalle sfumature metafisiche. Severini in questa scultura scompone la forma in fluidità ed energia, dal dinamismo futurista al cubismo, dall’astrattismo alla simultaneità della visione. L’annullamento del canone tradizionale della verosimiglianza conduce a un corpo decostruito e rimodulato in una sintesi policentrica volta a rappresentare tutto quello che c’è, non solo quello che si vede, come se ci si girasse intorno sovrapponendo le varie vedute l’una all’altra, in una tridimensionalità di prospettive disarticolate”. Arlecchino, come Cesare, è nato in Lombardia, ma è di casa anche al sud. È la maschera italiana per eccellenza. Il suo vestito colorato – ricavati dagli stracci dei defunti – è la prova che la morte non ha vinto: l’arte, la poesia, la indossano impunite.

Gino Severini, Arlecchino

In una intervista Romana Severini descrive le sculture donate ai cosentini: “Sono Romana Severini, la figlia minore dell’artista Gino Severini, da quasi quarant’anni curo un importante nucleo dell’archivio lasciato da mio padre, con particolare cura alle opere che escono dal suo percorso pittorico. Già nella sua epoca cubista, a Parigi, negli anni tra 1914 e 18, aveva eseguito una scultura, poi dispersa, e qualche disegno, per poi dedicarsi unicamente alla pittura. All’inizio degli anni 60, in occasione di un incontro con un fonditore di origini italiane, Mario Busato, incoraggiato da quest’ultimo, riprese questi progetti e li realizzò in quattro sculture di bronzo di piccole dimensioni, tre delle quali col soggetto movimento di danza. Questo tema gli stava a cuore perché all’epoca ero di mestiere ballerina di danza accademica classica. I titoli dei tre bronzi di fatti si riferiscono a dei termini legati a questa disciplina: Attitude, Relevée sur pointe, Fouetée, titoli in francese, come da tradizione. L’esecuzione ingrandita di questi bronzi, in versione unica, che prenderanno posto nella bella Città di Cosenza sarebbe stato per mio padre un bell’epilogo al suo progetto antico, contribuendo a completare l’importante Museo all’Aperto dove le opere di artisti moderni e contemporanei fanno già da cornice al paesaggio urbano della Città che grazie alla sua sede universitaria può contare tra i cittadini anche docenti e studenti, interessati spettatori e consumatori di cultura. Parallelamente ai tre bronzi sono lieta dell’arrivo a Cosenza di una ceramica di mio padre eseguita negli anni ‘50, con il tema l’Arlecchino, personaggio della commedia dell’arte che lo ha accompagnato lungo tutto il suo percorso artistico, tant’è che il suo ultimo quadro non terminato, ancora sul cavalletto il giorno della morte s’intitola L’ultimo Arlecchino”.

A tutti gli amici di segnonline e di Segno, i miei migliori auguri.

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