Angela Faravelli: Come è stata affrontata la sfida di immaginare il futuro della mobilità al 2086? È stato organizzato un team di lavoro dedicato all’interno della Scuola del Design del Politecnico?
Luisa Collina: Il progetto di Lord Norman Foster si è mostrato fin da subito molto ambizioso sia per ampiezza che per consistenza: l’esposizione ospita infatti il racconto dell’evolversi dell’auto dal punto di vista sia storico che artistico, dalla sua nascita alla contemporaneità, attraverso la presenza di numerosi modelli storici accompagnati da un corpus di opere d’arte, documenti, disegni e modelli volti a contestualizzare i diversi autoveicoli nei relativi periodi storici e a metterne in luce la fertile relazione con il mondo dell’arte e dell’architettura.
Ad ogni ateneo che ha accettato l’invito di partecipazione è stata data completa libertà per quanto riguardavano sia l’oggetto di riflessione che le modalità espositive. La Scuola del Design del Politecnico di Milano ha accettato questa sfida con entusiasmo e passione, pur consapevole delle difficoltà insite nel progetto: dalla domanda sfidante su un futuro sempre più incerto, alla necessità di trovare dei modi efficaci per catturare l’attenzione di un visitatore stanco, ormai a fine percorso. In tale contesto, come Preside della Scuola, mi sono attivata per condividere il progetto con alcuni colleghi, portatori di competenze disciplinari proprie e, al contempo, di progettualità sul tema della mobilità messa in atto insieme a dei gruppi di studenti in diversi contesti didattici. Ha preso così corpo un gruppo di lavoro ampio ed eterogeneo, che per molti mesi si è incontrato “virtualmente” ogni due settimane, il martedì all’ora di pranzo, per discutere approcci e punti di vista, cercando insieme di identificare i valori fondativi del contributo offerto dalla Scuola del Design, anche per differenza rispetto alle altre università invitate.
Di tale Comitato Scientifico hanno fatto parte, oltre alla sottoscritta, i Professori Fausto Brevi (Direttore del Master TAD “Transportation & Automobile Design”), Roberto Boni e Nicola Crea entrambi Docenti del “Laboratorio di Industrial Design” di 2° anno del Corso di Laurea in Design del Prodotto industriale, Giulio Ceppi (Docente del Workshop “Designing the Italic and Molecular Auto Body Shop at 2084”), Francesco Zurlo (vice Preside e Docente del workshop “Future of Mobility”), Flora Gaetani e Daniela Maurer e Ilaria Bollati.
AF: Immagino che per guardare al futuro vi siate anche basati sul passato, valorizzando il made in Italy e la tradizione del settore automobilistico che ci contraddistingue.
LC: Grande importanza ha assunto, fin dall’avvio, la grande tradizione italiana relativa al settore automobilistico e ai suoi protagonisti. Se negli Stati Uniti l’attenzione era rivolta alla produzione integrale di grandi serie in Italia si adotta un approccio quasi sartoriale alla progettazione, grazie alla figura dei “carrozzieri”, inizialmente quali scultori di forme, a cui era demandato il rivestimento, libero da vincoli, del telaio e delle componenti tecnico-ingegneristiche dell’auto, successivamente, dopo la seconda guerra mondiale, evolutosi in depositari di competenze “politecniche” in grado di offrire servizi integrati tra ingegneria e design a supporto delle diverse case automobilistiche.
L’attenzione del gruppo di lavoro si è rivolta, in particolare, alle storie di questi straordinari “carrozzieri”, capaci di coniugare tecnologie all’avanguardia e stile, performances ed estetica, funzionalità, cura dei dettagli e sogno. Da qui il riferimento all’Autofficina, non come centro di riparazione, ma come spazio di sperimentazione continua, di innovazione tecnologica e di ricerca estetica; come luogo di creatività che pone al centro l’individuo con le proprie proporzioni, ma anche con i propri desideri ed emozioni; attorno a cui è creato l’oggetto auto, come un vestito su misura dai dettagli raffinati.
AF: Questi sono valori cui la Scuola del Design del Politecnico di Milano ha sempre prestato grande attenzione, oltre al lavoro di squadra che porta ad una molteplicità di visioni nel contempo coerenti tra loro.
LC: Differentemente da altre scuole più artistiche abbiamo considerato rilevante mettere in luce l’identità politecnica del design in cui conoscenze scientifiche si coniugano con quelle umanistiche; in cui il design persegue obiettivi d’innovazione di tipo tecnologico, ma anche di valori e significati al fine di migliorare la qualità della vita delle persone. Lontano quindi da un’installazione mono-autoriale, si è voluto raccogliere contributi di diversa natura e di diverso grado di maturazione, da quello degli studenti di laurea triennale a una tesi di laurea magistrale; dagli esiti di un workshop intensivo multidisciplinare a un workshop avanzato nell’ambito di un master. L’approccio risulta quindi eterogeneo sia per la pluralità dei contesti e metodi didattici che per la molteplicità degli esiti raggiunti.
Questi sono stati successivamente ordinati dai noi curatori secondo due principali criteri: la scala d’intervento e le sfide raccolte. Il risultato finale è un’installazione che coniuga le tante anime che compongono il Sistema Design del Politecnico di Milano, facendole dialogare all’unisono secondo una tematica comune attraverso un linguaggio unitario, che mira ad essere tecnico e al contempo emozionale; volto ad attrarre, incuriosire e a stimolare riflessioni sul nostro prossimo futuro. Grande importanza è stata attribuita a tal fine alle modalità allestitive, con uno stile più poetico ed interattivo che didascalico, in grado, attraverso le micro-storie di coinvolgere lo spettatore. Uno spettatore certamente stanco e inebriato dalle bellissime autovetture e opere viste, ma che, speriamo, abbia ancora voglia di scoprire tramite il proprio movimento davanti a una serie di schermi delle possibili visioni future in cui la bellezza si coniuga con la tecnologia, dove l’attenzione per le diversità diviene occasione di progettualità per tutti e le possibili sfide future incentivano nuovi modi di vivere, più sostenibili sia in termini ambientali che sociali.
AF: Che visione è emersa da questo gruppo articolato di lavoro sviscerando il tema affidatovi da Norman Foster?
LC: Autofficina Futuro, questo è il nome dell’installazione, indaga aspetti differenti del tema, con un approccio ampio e multidisciplinare, incrociando la dimensione della mobilità con quella dell’ambiente, della città, della società, della comunità e dell’individuo. Affronta una sfida contemporanea, guardano al futuro prossimo e lontano: dal riscaldamento globale, ai flussi migratori, ma anche storie di individui “fragili”, anziani, bambini, persone con disabilità.
Emerge un approccio al progetto di tipo sperimentale, che adotta molteplici punti di vista alle diverse scale d’intervento: soffermandosi sulla qualità dello spazio interno e non solo sulla carrozzeria esterna; prendendo in considerazione la dimensione sociale e non puramente individuale del muoversi e dello stare fermi e adottando una visione sistemica in termini ambientali andando a ragionare non solo sui macro-oggetti di mobilità, ma anche sui servizi ad essi connessi. Il tutto tenendo sempre in considerazione in modo integrato tecnologie e comportamenti; performances e qualità estetica.
L’esito finale raccoglie 12 progetti di studenti selezionati e richiama l’idea dell’autofficina, luogo italiano per eccellenza dove, ad inizio secolo, le macchine venivano prodotte, riparate, migliorate e modificate in un dialogo fertile e vitale con il cliente. Il luogo dell’eleganza ricercata, quasi sartoriale, dello scambio conoscitivo ed innovativo; il luogo della produzione, libertà espressiva, delle idee e sperimentazione sempre rivolte al futuro. La parete vibra di contenuti multimediali. Un lungo collage rappresenta l’autofficina e unisce le illustrazioni con le fotografie d’autore.
AF: I contenuti elaborati dagli studenti e supervisionati dal Comitato Scientifico sono dunque confluiti nell’installazione “Autofficina Futuro”. Come sono stati poi tradotti in linguaggio tecnologico e artistico i materiali finali presentati in mostra?
LC: L’ideazione dell’esperienza multimediale e interattiva di Autofficina Futuro è stata progettata grazie al coinvolgimento del collettivo artistico contemporaneo dei CamerAnebbia, uno studio di progettazione e produzione, che opera nel campo della valorizzazione dei beni culturali e della divulgazione scientifica che già da tempo collabora con la Scuola del Design del Politecnico di Milano.
Il loro nome deriva da “camera a nebbia”, uno strumento scientifico che ha permesso per la prima volta nella storia, a cavallo tra ‘800 e ‘900, di osservare le particelle elementari, rispondendo così a quesiti di natura tecnica ma anche filosofica. Questo il significato intrinseco del collettivo: dagli archivi artistici, tra le grandi collezioni, sino al campo scientifico, ciò che fanno è svelare ciò che è celato, nascosto in un deposito o lontano dai nostri sensi. La loro poetica è intrinsecamente di natura “politecnica”, basta osservare le loro installazioni dove utilizzano tecnologie avanzate per creare opere d’arte, video-ambienti, ambienti sensibili e interattivi, percorsi museali, performance teatrali e film, esplorando le possibilità espressive delle nuove tecnologie. E questa visione si è sposata in modo naturale con l’identità politecnica del design in cui le conoscenze tecniche e tecnologiche si coniugano con quelle umanistiche.








Presentazione del volume:
Autofficina Futuro. Un panorama interattivo sulla mobilità che verrà
A cura di Luisa Collina, Ilaria Bollati – Politecnico di Milano
Electa (Milano)
Martedì 14 giugno 2022 ore 18.30 – 20.30
Piccolo Teatro di Milano
Chiostro Nina Vinchi
Via Rovello 2, Milano
Credits scatti fotografici:
Gabriele Carbone | Lab Immagine,
Politecnico di Milano