Gerhard Merz
Donato Piccolo foto A.Giulio. Onofri

Donato Piccolo. Essere nel proprio tempo

C’è nell’opera di Donato Piccolo un dato rituale che si aggancia ad un principio immutabile. Un nous, un codice interiore che ha trovato i suoi mezzi espressivi più efficaci nell’eccezionale, nel prodigioso. Amare una vocazione così lucida, ed al contempo così inafferrabile, attribuisce un valore speciale ad una intuizione, ad una volontà di escavazione che si muove oltre il demi-monde per giungere ad una energia archetipica, ad un’alta memoria del Mondo. È in questa che Piccolo si immerge per andare a raccoglierne il nucleo più misterioso ed essenziale e poi ricrearlo attraverso formule e forme, soluzioni del tutto nuove. Ho avuto il piacere di intervistare Donato e di dialogare con lui di arte e di scienza, di Leonardo e di Einstein.

Serena Ribaudo: Sosteneva Edward Hopper: “Nell’evoluzione di tutti gli artisti, il germe delle opere successive è sempre contenuto nelle prime. Il nucleo intorno al quale l’intelletto dell’artista costruisce la propria opera è il suo io. L’unica influenza che io abbia mai avuto sono io stesso”. Se è legittimo che ogni artista trovi il proprio motore nei doni della sua stessa voce interiore, che possegga un principio immutabile e necessario operante archetipicamente nel suo percorso, è altrettanto  plausibile che egli possa nutrire la propria ispirazione in luoghi esteriori alla sua, che ne venga ri-chiamato con forza, che trovi una condizione poetica e poietica similare alla sua in altri. Quanto, per te, “l’unica influenza che io abbia mai avuto sono io stesso”? E ciò nondimeno quali artisti, quali letture, quali conoscenze del quotidiano hanno avuto un ruolo fondamentale e sono state lievito per te? 

Donato Piccolo:  Mi hai fatto venire in mente un’esclamazione di Einstein: “L’istruzione è ciò che resta dopo che uno ha dimenticato tutto quello che ha imparato a scuola.”. Questa frase viene anche citata da una mia scultura meccatronica riproducente il volto del medesimo Einstein, un po’ invecchiato o meglio “sopravvissuto”, il quale pronuncia moniti e consigli per vivere il futuro, tuttavia i suoi discorsi non sempre mostrano una logica reale ma piuttosto metaforica.  Ogni volta che si crea un’opera, si discute sul principio di universalità della stessa in relazione alla soggettività artistica della persona. Questa, a mio avviso, diventa portatrice di un “contenuto universale e contemporaneo”, il che vuol dire essere un essere umano del proprio tempo e capirne il linguaggio nelle sue infinite relazioni con la realtà in cui si vive. È come essere un “filtro della realtà” e portare con sé un contenuto che va oltre se stessi. È come se il punto di vista dell’artista ad un tratto si annullasse per far nascere un punto di vista collettivo al di là dello spirito soggettivo. Solo cosi l’opera potrà contenere svariati punti di vista e diverrà un agglomerato di chiavi di lettura di tutte quelle persone che avranno fruito di essa. Nella mia formazione ho avuto tanti punti di riferimento . Durante la frequenza dell’Accademia di belle arti e dopo questa per molti anni ancora ho fatto da assistente ad alcuni artisti, in primis al maestro Giacinto Cerone. Lui mi ha insegnato l’estetica come visione poetica e maieutica della propria ricerca assorbendo fino all’ultimo, come egli stesso spesso mi ripeteva, gli “ultimi rintocchi dello scalpello di Fidia” (scultore ed architetto ateniese vissuto verso la fine del 5° sec. a.C.) per capire il concetto di poesia. In seguito ho fatto da assistente all’artista Oliviero Rainaldi da cui ho imparato il senso della contemplazione della forma e successivamente all’artista Sol Lewitt da cui ho appreso la sintesi di un’estetica e la logica di un concetto. Però credo che uno dei miei padri più grandi, colui che mi ha realmente insegnato come guardare al mondo dal punto di vista analitico artistico e scientifico, sia Maurizio Mochetti, artista vivente ed indipendente da qualunque sistema dell’arte. Con il Maestro ,a quattro mani, sono riuscito a realizzare anche un paio di opere delle quali sono ancora molto orgoglioso. Gli eventi esterni, il mondo della musica e le amicizie con altri artisti mi hanno consentito poi di assorbire più facilmente ed analizzare il periodo storico in cui viviamo non tanto per capirne il senso quanto per dare senso a tutto. Viviamo in un periodo storico inflazionato di immagini veloci e, se non riusciamo a collocarle in un immaginario collettivo, rimangono solo immagini dentro un cellulare o dentro uno schermo fruibili solo da una retina. Ecco forse è questo un obbiettivo: dare un senso all’ordinario. 

S. R. : C’è nel tuo fare arte un’ananke, una necessità, una chiamata. Una sorta di scintilla miracolosa che sembra averti preparato al desiderio di superamento del limite, del limen, della soglia. Al voler andare “oltre il”. È questa la vera vocazione all’esistenza? E all’arte come esistenza? 

D. P. : Più che altro l’arte è una necessità in quanto nell’artista urge l’ esigenza di identificarsi nel mondo e dare alla vita qualcosa che prima non c’era. Ogni artista ha dentro di sé un “daimon”, quasi una voce divina che si pone a metà strada fra ciò che è “oltre l’umano” e ciò che è umano. Se fin da piccoli si segue il proprio daimon, si riesce a farlo crescere ed a capire la parte istintiva e metafisica di sé e del proprio linguaggio. In questo individuare e potenziare le potenzialità di se stessi come uomini ci si pone sulla stessa linea dell’ artista Joseph Beuys che asseriva che tutti possono essere artisti, se coltivano un senso di libertà fin dalla nascita e non ignorano il proprio daimon guida.  Ed ogni artista, credo, deve ineluttabilmente fare i conti non solo con se stesso ma anche con se stesso in relazione con il mondo senza però essere dipendente da quest’ultimo, altrimenti la sua prassi rischia di divenire solo un riscatto verso la vita o una mera dimostrazione del proprio essere nel mondo. Credo anche che nessun maestro riesca ad indicarci dove trovare l’arte. Con il tempo ho capito che la si può trovare dappertutto, anche in posti impensabili e che si può trovare tanta poesia dove spesso si sta in silenzio.

S. R. : Scriveva Paul Valery relativamente a Leonardo da Vinci: “Leonardo, questo essere simbolico, custodisce la più vasta collezione di forme, un tesoro perennemente disponibile delle attitudini dell’uomo e della natura, una potenza sempre imminente. È abitato da una folla di esseri, di visioni, di ricordi e dalla forza inaudita di riconoscere, entro la distesa del mondo, un numero infinito di cose distinte e di ricrearle in un ordine che gareggia con la creazione divina. Leonardo è l’assoluto maestro dei volti, delle anatomie, delle macchine. Sa come nasce un sorriso, e sa scapigliare, arricciare i filamenti delle acque, le lingue di fuoco. Adora il corpo dell’uomo e della donna, misura ogni cosa. In una parola Leonardo è l’uomo universale, l’artista stesso del mondo”. Donato ho sempre pensato a te come uomo universale, inteso alla maniera rinascimentale, consacrato ai misteri del mondo e della poiesi. Ti muovi con disinvoltura e con fare colto e sapiente tra studia humanitatis e speculazione scientifica. Mi autocito riportando un breve inciso di un articolo di un po’ di tempo fa: “Piccolo ha dispiegato dinanzi agli occhi stupiti dei fruitori uno scenario di folgoranti invenzioni in cui innerva i suoi eterodossi mezzi artistici ed i suoi inesauribili spunti ad una assai perspicua estetica dei phainomena.. Sotto la duplice spinta, non antitetica, della vis immaginativa e dell’approfondimento della scienza di natura, Piccolo concepisce un principio poietico che ha reso le sue creazioni riconoscibilissime sul piano internazionale”. Quale mistero annoda arte e scienza? E quale mythos c’è dietro la tecnologia? 

D. P. : Interessante la formulazione della tua domanda la quale ha in sé già la risposta. Citando Valery ed analizzando Leonardo, si arriva ad una sintesi tra il mondo onirico simbolico ed il mondo della conoscenza come interpretazione del reale. Se unisci le due cose si ottengono i presupposti per l’ analisi di un’ opera. Secondo me in passato ciò che era arte o filosofia era già scienza in quanto l’arte presupponeva lo studio del mondo e delle sue abitudini. La poesia veniva inserita involontariamente quasi come elemento decorativo, di piacere. Col tempo questo senso poetico ha assunto sempre più valore ed è diventato imprescindibile nella formazione di un’ opera, facendo scaturire nel tempo diverse visioni della realtà. Questa, la realtà, ha un senso di interpretazione ma non un senso di “definizione” del mondo in quanto il senso della realtà è talmente vasto e impossibile da identificare nella sua totalità che di esso si possono solo percepire alcuni elementi. Mi spiego meglio: ogni persona ha una visione del mondo come proiezione di se stesso nel mondo; ogni individuo vede la realtà attraverso i suoi occhi e quindi “interpretata” dalla propria persona, mente e sensi. In questo il genere umano si è distinto dagli animali ed ha scelto le parole per comunicare ed i significati di queste per dare del mondo un senso generale. Questa guida al significato è dunque solo un modo di dare una visione comune per non perdersi nella diversità e nell’infinità di una visione. Come ci insegna il filosofo L. Wittgenstein, tutti vediamo una mela ma abbiamo un senso differente di questa per cui la mela si differenzia da persona a persona.  In passato, come ben sai, ho realizzato molte collaborazioni con alcuni scienziati i quali hanno studiato le mie opere come “verifica” reale di formule e teorie da loro stessi applicate. Questo anche se in realtà non cercavo di dimostrare nessuna teoria ma solo di dare un senso fisico, reale, ad una idea di visione. L’artista anche se conosce i limiti dell’essere umano, cerca di superarli per dare vita a nuovi pensieri e riflessioni su un qualcosa di inspiegabile con le parole. Per un artista la fisica non esiste, è solo un impedimento; un artista lavora sempre non rispettando la forza di gravità anche se non può staccarsi con i piedi da terra.

S. R. : Sempre su Leonardo, Wolfflin: “il primo artista che abbia studiato sistematicamente le proporzioni nel corpo degli uomini e degli animali e si sia reso conto dei rapporti meccanici, nell’andare, nel salire, nel sollevare pesi e nel portare oggetti; ma anche quello che ha scoperto le più lontane caratteristiche fisionomiche, meditando coordinatamente sopra l’espressione dei moti dell’animo”. Nel 2018 hai tenuto una mostra personale titolata La Gioconda che cammina presso la Galerie Italienne a Parigi. Com’è dare moto all’opera d’arte più importante del mondo? 

D. P. : Durante il periodo della pandemia del Covid ho riprodotto molte opere di Leonardo da Vinci, perché ciò mi piaceva e perché di queste volevo capire i segreti. Poi le stesse opere le ho messe in relazione con circuiti elettrici che vanno dalle Bobine di Tesla sonanti fino a raggi laser con figure proiettate su tela. Era un modo di dare altra vita ad opere a cui ero emotivamente affezionato. Da qui nascono opere come “la Gioconda che cammina”, “La dama con l”arduino” e “S.M.M. (Salvador Mundi Mobile) “. È stato questo un modo di dare a questi quadri un’idea differente: dinamica e non statica, di dare a queste opere una sorta di “personalità” identificandone più che le cause le conseguenze.  A Parigi realizzai una mostra, curata da David Rosemberg, in cui molti oggetti tra i quali anche le copie di Leonardo si interfacciavano con il fruitore attraverso una serie di algoritmi che ne ricostruivano quasi una rete neurale. Vedere una Gioconda camminare e muoversi in uno spazio è come dare vita ed anima ad una icona che fino a quel momento era solo una forma statica idealizzata nelle menti degli osservatori. L’importante era che questi quadri dovessero essere copie molto simili all’originale per suscitare un legame vero con questo. Ciò non sarebbe accaduto con una foto o con un’ immagine differente dall’originale. 

Donato Piccolo, Galerie italienne

S. R. :  Quali i prossimi progetti di Donato Piccolo? 

D. P. : Sto osservando lo spazio. Sto studiando le potenzialità interpretative che l’idea di spazio può dare. L’artista normalmente lavora sulla superficie terrestre ma si sta avvicinando il giorno in cui colonizzeremo altri mondi e dovremo fare i conti con nuovi impedimenti fisici che saranno sfruttati dall’artista stesso come caratteristiche formali ed estetiche nuove.  Ho già “sondato” diverse volte lo spazio realizzando , insieme al mio amico Amedeo Lepore, alcuni lanci spaziali tra la prima e la seconda stratosfera. Il termine “sondato” è appropriato considerando che abbiamo creato una sonda aereostatica spaziale dronizzata, capace di attraversare i cieli e le sue atmosfere con i presupposti non solo di raccogliere dati ma di azionare software capaci di modificare comportamenti di alcune sculture posizionate sulla Terra. Da qui nasce una specie di “butterfly effect” tra lo spazio e la Terra dove tutto quello che accade nello spazio ha effetti collaterali sulla Terra; nasce cosi un senso di una totalità di identità terrestri e spaziali. Ho creato anche una piattaforma (www.strathosphereffect.com) grazie al collettivo “Visioni Parallele” coinvolto anch’ esso nel progetto.  Lo spazio ha sempre un fascino particolare in quanto è una zona ancora aliena e segreta a dispetto delle numerose teorie applicate ad esso . Il mio obbiettivo è avvicinarmici per capirne non solo le caratteristiche ma soprattutto per scoprire la poesia che vi è dietro, per cogliere quella parte emotiva che ci rende umani . E come diceva sempre A. Einstein: “Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, sull’universo ho ancora dubbi.”

Donato Piccolo, Stratosphereffect

Serena Ribaudo

Serena Ribaudo vive tra Palermo e Firenze. È saggista, storico dell'arte. Si occupa dell'organizzazione e del coordinamento curatoriale, scientifico e tecnico di mostre d'arte contemporanea presso organismi pubblici e privati. Ha dedicato la sua attività più recente alla curatela di mostre ed eventi artistici all'interno di sedi storiche al fine di una maggiore valorizzazione del dialogo tra arte contemporanea e patrimonio artistico-architettonico del passato

×