Mattia Barbieri Portrait

Mattia Barbieri a New York

Mattia Barbieri è un artista nato a Brescia che ha studiato e lavorato a Milano per molti anni. Si è trasferito successivamente a New York per allargare il suo campo di indagine e sottoporsi a nuovi stimoli.

Mattia Barbieri è un giovane artista nato a Brescia che prosegue la sua formazione artistica trasferendosi a Milano per frequentare l’Accademia di belle Arti di Brera, entrando in contatto con un ambiente diverso e stimolante.

A Milano ha la possibilità di esporre e far conoscere il suo lavoro, per lo più pittorico, ma anche installativo e plastico. Mattia Barbieri indaga il mondo iconografico nel suo complesso, dall’antico al moderno, astraendolo dal suo significato per inserirlo in scenari immaginifici  e romantici, d’ispirazione quattro-cinquecentesca.

In seguito, quando anche la realtà meneghina comincia ad esaurire gli stimoli di ricerca, decide di allargare il suo campo di indagine verso luoghi aperti alle nuove sperimentazioni e di trasferirsi a New York.

Alice Ioffrida: A Milano hai trovato la tua dimensione come artista, sei riuscito ad inserirti nell’ambiente ed a farti notare esponendo in spazi indipendenti con mostre personali e collettive. Da cosa è nata l’esigenza di lasciare l’Italia e trasferirti a New York senza alcuna certezza?

Mattia Barbieri: Ho visitato New York la prima volta nel 2008 ed ho percepito la bella energia che la città emana. Quindi, anni dopo, mentre a Milano la mia vita era abbastanza stabile, ho sentito la necessità di nuovi stimoli e sono partito. Credo che le esperienze all’estero siano sempre positive e formative perché offrono l’opportunità di confrontarsi non solo con una cultura e un’impostazione sociale diversa da quella d’origine, ma anche con un sistema dell’arte con ritmi e metabolismi differenti, anche se le regole del gioco, in parte, sono comuni. Son partito con l’idea di arricchirmi crescendo artisticamente, creare contatti, creare una rete che fosse transatlantica, internazionale, non circoscritta al territorio italiano, ma senza l’intenzione di trasferirmi in pianta stabile, sempre con l’idea di tornare in Italia.

A.I.: Qual è stato il tuo rapporto con la città? In che modo ti ha convinto a restare?

M.B.: Ho ottenuto un O1 Visa , un visto speciale per artisti che ti permette di rimanere sul suolo statunitense per 3 anni, con la possibilità di rinnovo. Dopo un paio d’anni di “pendolarismo”, mi sono fermato in città usufruendo di quasi tutto il tempo che il visto concede. Nel 2017, ho avuto la mia prima personale a Manhattan, “DUE, the full frontal” presso la Pablo’s Birthday Gallery, presentandone una seconda nel 2019 dal titolo “THE BUTTER MONK”. La città è ovviamente un crogiolo di personalità ed eventi, dove il fluire dell’energia creativa si fonde con quella monetaria e si ha l’impressione che le cose accadano li e velocemente e per molti versi è proprio così. Amo New York e mi sento molto a mio agio, ma l’appellativo di Grande Mela le si addice, bisogna darle un bel morso e poi vedere se restare oppure andare. New York è uno strumento molto valido per costruire una carriera artistica perché si possono aprire molte porte, ma la città è ruvida quanto brillante, il costo della vita è alto e la qualità è bassa, a partire dagli spazi nelle abitazioni e negli studi, all’alimentazione, cose che appartengono alla base del vivere.

A.I.: Il tuo rientro in Italia è stata una normale conseguenza della pandemia o il conchiudersi della parentesi americana aperta ma con l’intenzione prima o poi di chiuderla?

M.B.: Ero a New York in pieno regime produttivo, avevo delle mostre fatte, altre in cantiere, un lavoro collaterale come modellatore nello studio di una designer di gioielli ed avrei dovuto iniziare il mio percorso all’interno della residenza presso la NARS Foundation. Sono rientrato in Italia per il covid. Il sistema sanitario americano è proibitivo ed ho preferito il rimpatrio per non rischiare di rimanere chiuso in casa.

A.I.: Dunque, hai potuto valutare i pro e i contro di una grande città che offre molto ma a caro prezzo, a differenza di quanto accade qui.

M.B.: Negli Stati Uniti gli investimenti in termini economici sono decisamente maggiori. La differenza sostanziale è il sistema capitalistico. La situazione italiana è molto diversa, pensando che una città come Milano, ad esempio, non ha il corrispettivo del Whitney di New York, ovvero un museo di arte contemporanea che, oltre ad ospitare una grande collezione, funga da collettore di talenti, ma neanche gallerie al pari di ciò che viene proposto nella stessa Europa, senza andare troppo lontano. In Italia ci sono tantissimi artisti molto talentuosi con ricerche di alta qualità che possono tranquillamente reggere il confronto con le proposte provenienti dall’estero, ma probabilmente mancano una serie di infrastrutture che ti permettono di emergere con eguale propulsione.

In America il sistema scolastico è volto a sostenere gli studenti, creando quasi un club che immette l’emergente nel circuito, ponendo la ricerca pronta per farsi notare ed accedere al mercato.  Così come accade in altri stati europei, come la Germania o come in Francia, dove gli artisti percepiscono uno stipendio. Anche le residenze americane per artisti e curatori sono strutturate in modo da fornire gli strumenti giusti come connessioni e visibilità con critici, galleristi, artisti affermati, personaggi inseriti nel mondo dell’arte e del mercato. Queste residenze hanno dei costi elevati ma rappresentano un investimento per lo sviluppo futuro del lavoro e della carriera di un artista.

A.I.: Sei rientrato in Italia ormai da più di un anno, com’è andato il rientro? Vorresti tornare in America o preferiresti continuare a lavorare qui sui tuoi progetti? A tal proposito, a cosa stai lavorando?

M.B.: Da quando son rientrato ho trovato un gran fermento e tante realtà interessanti che stanno crescendo. La stessa Brescia, mia città d’origine, mi è sembrata molto viva dal punto di vista artistico e culturale. In questo momento qui in Italia la mia ricerca sta ricevendo delle attenzioni significative e diverse prospettive concrete si stanno definendo. Tra qualche giorno comunque riapriranno le frontiere e raggiungerò New York, per riconnettermi fisicamente dopo questa parentesi. Sarà un soggiorno di qualche settimana nel quale avrò tutti gli elementi per valutare di tornare per un periodo più prolungato e riattivare ciò che è rimasto in sospeso. Come si dice qui a Milano “fà andà i man”.