La voce dell’arte per la transizione ecologica al MIMIT.

Il 30 novembre 2023 si è conclusa la mostra collettiva ARTE CIRCOLARE. Venti artisti italiani per la sostenibilità, a cura di Spazio Taverna, presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

In una placida pax romana, si erge la grandiosa autorevolezza della vitrea operosità rilucente nel bianco che cumula spessore all’antica ieraticità dell’Italia turrita. Come dea egizia avanza tra le poderose allegorie dell’Industria, dell’Artigianato e delle Professioni liberali, fluttuanti in posa statuaria, in un trittico che reca una celestiale veduta urbana, sulla cui guglia si levano arcate ferroviarie e ciminiere d’industrie, sorvolate da svettanti e vanagloriosi aerei in volo, in una narrazione alto medievale che scorre sine nexu da valle a cuspide.

L’opera “La carta del Lavoro”, tra le più grandi vetrate realizzate da Mario Sironi – che venne commissionata dall’allora ministro Giuseppe Bottai per celebrare il documento di riforma del lavoro promulgato nel 1927 – catalizza, con i suoi 75 metri quadrati, l’occhio del visitatore e predispone, in una scia ideale centrale, il camminamento tra i pannelli delle opere della mostra collettiva Arte Circolare. Venti artisti italiani per la sostenibilità, curata da Ludovico Pratesi e da Marco Bassan, presso Palazzo Piacentini, a Roma. Le varie fasi di lavorazione dell’incarico pubblico di Sironi sono state documentate giorno per giorno e sono state mostrate in un video documentario, insieme ai bozzetti preparatori e ai carteggi tra il Maestro, l’architetto Marcello Piacentini e la Ditta milanese Fontana Arte, nella persona del vetraio Pietro Chiesa, alla mostra retrospettiva di Sironi, dal 4 ottobre 2014 all’8 febbraio 2015, presso il Vittoriano, a Roma. La vetrata policroma è stata oggetto d’intervento di recupero e conservazione da parte di Acea, in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e del Polo museale di Roma, il MISE e Comunicare Organizzando, durante l’apertura della grande mostra romana. Palazzo Piacentini sorge sul terreno originariamente occupato dal convento e dall’orto dei frati cappuccini della chiesa di Santa Maria della Concezione dei Cappuccini. Inizialmente destinato alla Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, è stato poi destinato al neoistituto Ministero delle corporazioni. È costituito da sei piani più attico e superattico su Via Veneto, otto su Via Molise e dieci su Via San Basilio, più un seminterrato comune all’intero edificio. È composto da 400 stanze e comprende una superficie di 5000 mq. I suoi prospetti esterni sono rivestiti da lastre di travertino di Tivoli e sperone di Montecompatri. In stile Novecento con la fusione di un razionalismo monumentale che tende al classicismo, si suddivide in tre blocchi funzionali: quello amministrativo su Via Molise, quello riservato al Ministro e agli alti funzionari su Via Veneto e quello di rappresentanza posto fra i due e in asse con l’ingresso principale. Incorniciato dalle due torrette angolari, su Via Molise si apre l’ingresso riservato agli impiegati, su Via Veneto quello destinato all’allora alta dirigenza del Ministero, e al confine con il convento vi è un accesso carrabile. L’ingresso principale è su Via Veneto e si distingue per il grande portale con ante bronzee su disegno di Giovanni Prini, con otto formelle che raffigurano “le attività dei lavoratori italiani” (Arti liberali, Arti plastiche e liriche, Commercio, Banca, Trasporti in mare, Trasporti aerei e terrestri, Agricoltura, Industria). Presenta stipiti in travertino e architrave in porfido (A. Casinelli, Palazzo del Ministero delle Corporazioni, Marcello Piacentini, Giuseppe Vaccaro – Via Vittorio Veneto, 33, Roma, RM, Italia, 1930-1932, ArchiDiAP, 11 gennaio 2018).  Al di sopra, il balcone è arricchito da un fregio continuo in marmo rosso di Antonio Maraini, raffigurante le “Sette Corporazioni” (Credito, Industria, Professioni, Arti, Agricoltura, Trasporti, Commercio), e dalla targa “Ministero dello Sviluppo Economico” posta sul portale d’ingresso e afferente al 2006, quando Palazzo Piacentini divenne sede adepta di tale Ministero, dopo essere stato eletto a luogo del Ministero dell’industria, del Commercio e dell’artigianato, e dal 1999 a Ministero delle attività produttive.  

Come ieri, anche oggi la sede rispecchia l’intenzionalità di attribuire all’arte una valenza che si spinge oltre ai confini del puro prodotto estetico. Il progetto Spazio Taverna nasce come progetto curatoriale e sotto il patrocinio EIIS che ha come obiettivo il riunire il mondo della creatività-artistico culturale a quello dell’innovazione aziendale e tecnologica. È una nuova realtà nata nel periodo pandemico, nel rione Ponte e all’interno di un edificio storico e ricco di esperienze artistico-intellettuali come gli Incontri Internazionali d’Arte. Afferma Marco Bassan, in risposta all’intervista di Giuseppe Armogida (G. Armogida, Palazzo Taverna, Lo spazio dell’esperienza, Antinomie.it, 24/09/2021): …questo spazio va a recuperare una serie di modalità di fare cultura che sembrano dimenticati, rifacendosi a certi modi di fare degli anni Settanta, di cui Ludovico ha una memoria frammentaria, e che questo spazio continuamente richiama; dall’altra rifacendosi ad alcune dinamiche rinascimentali, che abbiamo capito essere la vera potenza di uno spazio che emana una potenza remota, che permette a diversi saperi di convergere e incontrarsi. In questo senso Spazio Taverna ha un carattere “umanistico”, se intendiamo questo temine in un’accezione post-teologica, che considera l’uomo libero da alcuni vincoli e capace di utilizzare le forze che lo circondano in maniera creativa. Si tratta di una visione che si appoggia a un approccio simbolico alla vita, basato sulla contaminazione di mondi diversi. Dall’altra parte, questo spazio si pone in contrapposizione con una certa tendenza dell’arte contemporanea che, negli ultimi anni, sembra essere diventata troppo autoreferenziale, come un circolo che parla solo ai suoi soci. Sicché chiedere agli artisti di uscire dai loro recinti, incontrare altre persone e sviluppare dei progetti insieme è un tentativo di rompere questo meccanismo… . E Ludovico Pratesi: …Ascoltare il Genius Loci significa entrare in armonia con il contesto fisico circostante, più intimo e intenso rispetto agli orizzonti globalizzati. E questo luogo specifico ha una memoria molto stratificata, che risale molto indietro nel tempo, fino al Medioevo e – ancor più – fino all’antica Roma. Si tratta di uno di quei pochissimi palazzi romani dove bisogna ascendere per entrare, dato che si trova su una piccola altura, Monte Giordano, che prende il nome da un cardinale Giordano Orsini. Insomma, vi è un intreccio complesso di elementi che lo rendono molto particolare… . L’esperienza è qualche cosa che dev’essere esperita, vissuta in prima persona, e una volta vissuta spesso modifica un po’ i parametri con cui ci si accosta di consueto alle cose. Nel nostro caso volevamo che le persone invitate vivessero un momento di carattere immersivo, scaturito da un dialogo tra immaginari, proponendo così nuove forme di contaminazioni fra mondi potenzialmente distanti, in grado di accorciare le distanze tra l’arte e il pubblico. Una volta varcata la soglia di Spazio Taverna, lo spettatore diventa attore, in grado di percepire la densità e la generosità dell’esperienza… .

Prende forma così la collaborazione con il CONAI che è garante degli obiettivi di recupero e di riciclo degli imballaggi assegnati all’Italia dall’Unione europea dal 1987 e che, in occasione del Venticinquesimo anniversario, ha assegnato all’arte contemporanea l’importante sfida nel comunicare i valori legati alla transizione sostenibile e al mondo dell’economia circolare. Le tre sedi prescelte per la seconda edizione sono state il Corner MAXXI, la Camera dei deputati e il sontuoso Salone dell’ingresso del Ministero delle imprese e del Mady in Italy, ove sono stati presenti il ministro Adolfo Urso e il presidente CONAI Ignazio Capuano durante l’inaugurazione, tenutasi in data 13 novembre 2023.

Una mostra importante e significativa – ha dichiarato il ministro Adolfo Urso. Sia perché espone le opere di una nuova generazione di artisti, che hanno immaginato come coniugare l’arte creativa italiana e il tema riciclo. Sia perché cade in un momento significativo, in cui il Parlamento Europeo si appresta a votare un Regolamento sugli imballaggi che, per com’è oggi, manca delle basi scientifiche che dovrebbero essere a fondamento di ogni azione dell’Unione Europea. Anche per questo il 22 novembre sarò a Strasburgo, per ascoltare le posizioni dei parlamentari delle delegazioni italiane. Auspico la capacità di rappresentare appieno le esigenze del sistema industriale italiano, che più di altri in questi anni si è mosso e che oggi rappresenta un modello di economia circolare. Questa mostra gli fa pienamente onore.

Una nuova occasione per ricordare come la tutela del pianeta e delle sue risorse possa esprimersi attraverso i linguaggi più diversi – commenta il presidente CONAI Ignazio Capuano. E l’arte, anche in questo caso, si rivela uno dei mezzi espressivi più potenti. In tutte queste opere, la materia è stata trasformata per diventare altro, dando forma alla creatività di venti giovani artisti. In qualche modo, è anche una metafora di quanto avviene con il riciclo: i materiali già estratti rinascono, per diventare materia di secondo utilizzo e contribuire non solo al risparmio di nuova materia, ma anche di energia e di gas serra. Con oltre il 71% di imballaggi riciclati l’Italia è leader fra i grandi Paesi europei in questo comparto, e la mostra Arte circolare, in qualche modo, lo riafferma con forza.

Il MIMIT, dicastero del Governo, si occupa di promuovere lo sviluppo delle imprese italiane e del “Made in Italy” all’estero, nella sua sede di Palazzo Piacentini, in cui oltre alle opere permanenti degli artisti del Novecento italiano, quali gli arazzi del salone d’onore (oggi salone degli arazzi) di Ferruccio Ferrazzi, i dipinti Madonna dell’Aria di Enrico Prampolini e Sintesi Veneziana di Fortunato Depero, le sculture bronzee del portone di Via Veneto di Giovanni Prini e quelle dell’atrio di Carlo Pini, ha ospitato le opere degli artisti, della mostra collettiva Arte Circolare. Venti artisti italiani per la sostenibilità: Ruth Beraha, Veronica Bisesti, Lucia Cantò, Federica Di Pietrantonio,  Antonio Fiorentino, Valentina Furian, James Hillman, Lucas Memmola, Francis Offman e Serena Vestrucci, e  Marco Emmanuele, Giulio Bensasson, Bea Bonafini, Gianluca Brando, Antonio della Guardia, Guglielmo Maggini, Diego Miguel Mirabella, Numero Cromatico, Lulù Nuti, Alice Paltrinieri, selezionati dai curatori sulla base di un’attenzione per le tematiche dell’Innovazione della sostenibilità unita a un curriculum internazionale. Due sono stati i Premi CONAI fino a oggi assegnati dal Consorzio e selezionati da apposita giuria, per le opere che meglio rispondono ai criteri di innovazione e sostenibilità. Il primo è stato conferito all’artista Giulio Bensasson per l’opera NON SO DOVE, NON SO QUANDO #0478 (2020); il secondo è stato rilasciato all’artista Ruth Beraha per l’opera The neverending story (2022). Entrambi i lavori sono stati poi acquistati dal CONAI.

The neverending story (2022) di Ruth Beraha.

Fuoco eracliteo, nel vivido sangue sacro, cosparge un verde rigoglioso nel sacrificio al dio Marte. La primavera si rinnova. Capei fluttuosi corrono in un interminabile zampillo. Sgorga il frutto ciclico della vita. Il morso della violenza soggiace al limpido peplo di una luce diffusa in infinitesimali frammenti vitrei. Senza tempo e luogo, si muovono in un perenne alchemico volteggiare. Come informe materia d’argilla in embrionale potenza, avanza tra scaglie alveari l’urobòro.

L’opera di Ruth Beraha recupera frammenti di antiche vetrate risalenti ai secoli XVII, XIX e XX per riconferirgli nuova vita, secondo quel ciclico binomio degli opposti che vuole, come conseguenza, l’eterno ritorno alchemico e il continuo divenire della vita e della materia. I frammenti sono assemblati insieme ad altri di vetro trasparente, scarti delle lavorazioni per finestre, e a parti di vetro bianco opalino, impiegato come base per il disegno. Il telaio circostante, in cui si inserisce l’opera, è un cerchio di botte antica, ed è stato recuperato nei sotterranei di Bolsena e appartenente approssimativamente al secolo scorso. L’artista elegge il vetro come materia, la cui lavorazione si perde nella notte dei tempi. Secondo Plinio, infatti, fu scoperto dai mercanti fenici che, intorno al 5000 a.C., sbarcati in Siria, accesero un fuoco da campo e usarono dei blocchi di nitrato prelevato dal carico che trasportavano per appoggiare le pentole. Secondo un processo alchemico “…il natron fondendosi per l’ardore del fuoco e mischiandosi con la sabbia della spiaggia, si vide un nuovo liquido trasparente formato da questo miscuglio…”. Le vetrate come rosoni, con un valore simbolico pregnante, entrarono a far parte dell’architettura francese. La vetrata dell’opera si compone di piccoli pezzi traslucidi, prima connessi con legature di piombo e completati nei particolari, per poi essere fissati a fuoco. L’opera è stata realizzata a forma di rosone e reca una composizione con motivi geometrici ispirati alla flora. La forma esplicita la ciclicità della fortuna umana e confina il tempo degli uomini nell’incommensurabilità del tempo sacro – come afferma anche Claudio Lanzi in Sedes Sapientiae, l’universo simbolico delle cattedrali (Simmetria edizioni, Roma, 2009, pag. 162).

Strumento di misurazione (2022) di Veronica Bisesti.

Nella cinta fortificata si erge il lucente ottone, scrigno indefesso di un tesoro in cui si ode l’eco di un femmineo volto tra taglienti speroni. Minute tacche millimetrali si intervallano nel respiro scandito di un infinitesimale vergineo procedere. Soffio benefico dell’als, il venerino ramo del cielo è soave nota calligrafica di Christine de Pizan.

Il calco di ottone di una foglia di aloe è opera simbolica di Veronica Bisesti per ritracciare il nostro rapporto con il mondo naturale, secondo un’azione paradossale, in quanto il ciclo vitale è arrestato nella volontà umana di trattenere e dominare i processi naturali. L’artista parte dal volume La Città delle Dame di Christine de Pizan e sceglie la pianta dell’aloe per le sue proprietà benefiche come base di un nuovo sistema metrico per la formazione di una nuova comunità, al cui epicentro vi è la tutela del pianeta.

Sense of urgency (V.F.G.R) (2022) di Lucia Cantò.

Metatemporale desio. Un argilloso riposare è ricettacolo di fiammanti preghiere nel cristallino che ridesta un corpo inerme. Rifondazione dello sguardo in un rinvenuto presente. Nell’infido recinto risiede un ideale rinnovellamento. L’usuale è trasportato in una dimensione narrativa imprevista. Mutazione inopinata nella solerzia del presente.

L’artista recupera l’argilla scartata nel suo studio e la lavora con calchi per impressione di antichi ex-voto, trovati in diverse città d’Italia. Forme e sagome antropomorfe e simboliche sono disposte all’interno di una recinzione di colore arancio che indica il pericolo nella società contemporanea occidentale. L’idratazione della materia dell’argilla ne favorisce il suo riuso, e quindi il suo riciclo. Ciò ha permesso di riattivare le richieste degli ex-voto che divengono nuovo materiale del desiderio, secondo un “tempo psichico”. L’opera è stata creata collettivamente in una condivisione, durante il processo di costruzione dell’opera, permettendo un senso comune d’urgenza e di pericolo, percepiti attraverso il corpo.

So i’m deconstructing it and hiding it in my closet until i inevitably miss it again (2022) di Federica Di Pietrantonio.

Un doppio reale sussiste all’interezza di un gioco. O forse, l’assenza invisibile di un corpo frammentato si svolge nella presenza di una vagante singolarità. Riduzione dell’essere in una coperta frammentata. E ancora un’immagine appare, mentre la linfa travalica i sensi.

Lo spazio reale diventa luogo del digitale, in cui la mente è pregna di una veduta di codici visivi simulati che riporta nel campo del tangibile, fino a idealizzare un vero e proprio scarto digitale della vita stessa, cosicché nel quotidiano, l’effimero entra in modo permanente. L’artista propone uno spettro della società in continua evoluzione, rielaborando frammenti di vita di youtuber e di giochi di simulazione (The Sims), per intercettarne i rischi d’inquinamento visivo, seguendo una pratica di conservazione simile a quella degli archivi digitali. Nell’opera viene presentata la stanza personale della youtuber Annika’s Leaf, documentata con screenshot e ricostruita dall’artista sul videogioco The Sims 4. Il lavoro pittorico tende, dunque, a immortalare il panorama generazionale attuale, formato da segni effimeri.

New mask (2021-2022) di Antonio Fiorentino.

Macerie di una mitopoiesi. Maschere, come veli antropomorfi, si stratificano nella sabbia, nella resina e nel fuoco. Futura riesumazione di materia distopica che attraversa il mistero dell’origine e della cultura, per saldare uno sguardo sussurrato nel presente.

L’artista raccoglie materiali di scarto ed elementi di metallo, plastica e reti da pesca sulle spiaggi pugliesi, secondo una loro somiglianza antropomorfa. Dipoi, attua, un processo di stratificazione con sabbia, resina e fuoco, dando vita a un gruppo di maschere che seppellisce nella sabbia, e successivamente recupera come reperto archeologico di un’epoca e di una cultura non definite, supponendone il ritrovamento in un futuro prossimo. Oltre ai segni del tempo, vengono impressi quelli di un’altra cultura misteriosa, rinvenuta dalle macerie del XXI secolo.

Fall in love like trees fall (2019-2022) di Valentina Furian.

Mesta stretta di fedeli custodi del mistero amoroso. In un’impressione tropicale, si desta il resister di un’unione. Ancestrale terrore di un sinistro futuro. Si posa lieve un’indigena resilienza nel fiato d’una parola.

Prima di partire per il progetto di residenza, promosso da The Blank Contemporary Art, Art Oxygen e IIC Mumbai, presso l’Aarey Forest, (limite vegetativo posto tra il paesaggio urbano della metropoli di Mumbai e la difesa boschiva del Sanjay Gandhi National Park), l’artista si è avvicinata all’immaginario naturalistico dell’ecosistema, immergendosi nelle realtà biologiche del Museo Civico di Storia Naturale di Milano. Ha fotografato un diorama delle foreste indiane, conservato nel Museo, e l’ha stampato su tessuto di grandi dimensioni per creare una sovrapposizione con l’ambiente naturale, destinato a scomparire, attivando così simultaneamente una trasmutazione su più livelli. Durante l’affiancamento della popolazione indigena, ha trascorso un periodo di ricerca con l’intento di dedurre come poter preservare l’equilibrio ecologico minato da un futuro disboscamento. La Comunità diventa fulcro tanto fragile, quanto fondamentale, in un desiderio collettivo che unisce l’Aarey Conservation Group verso un futuro più sostenibile. Durante il periodo di permanenza, le è stato rivelato dagli abitanti che gli alberi compromessi sono anche gli stessi ove vengono apposti messaggi amorosi, stabilendo un doppio preservare che mira anche alla cura nei confronti dell’amore.

(Breath) Non confondere il mio dito per la luna (2022) di James Hillman.

In una ciclica fonesi si odono membrane confondersi in un moto contraddittorio. In un ossimoro del suono, vive la sostanza ubiqua. Veridicità di un contenitore che delimita il fiorire della materia nel suo manifestarsi germe e poi cenere, e poi ancora seme.

L’artista, prima ancora di ragionare sulla vita dell’oggetto che è materia di riciclo, insiste sul sistema-contenuto che la sostiene, ragionando sul vecchio insegnamento Buddista “Un dito che indica la luna non è la luna”. L’attenzione è stata quindi spostata dal soggetto materiale al sistema ciclico stesso e alla sua capacità funzionale in relazione alla circolarità. Come rilevato dal catalogo della mostra, l’artista spiega che l’opera è composta da un lungo tubo industriale in PVC, chiuso alle due estremità da fogli di gomma nera lucida. All’interno del tubo è presente un sistema di pistoni collegati a un motore che spinge e tira alternativamente l’aria contenuta all’interno del tubo e così espande e contrae le membrane di gomma su entrambe le estremità del tubo al ritmo di un respiro umano. Il lavoro indaga le infrastrutture industriali pesanti e i loro apporti energetici. Il meccanismo fisico dell’opera rivela che si può essere certi di un buon funzionamento del sistema ciclico, solo se osservato a una giusta distanza al fine di visualizzarne la causa e l’effetto.

Nebbia (2022) di Lucas Memmola.

Pochi millimetri. Nell’astrazione di una veduta si condensa una folta nebbia che stringe la dea Mnemosine ad afferrare un sentire contratto. Offuscamento della psiche. In un’apertura nostalgica, un magma fitto si disvela pietra. Altra anima. Ora possente, scorre plumbea nel sangue.

L’artista rivolge il suo interesse agli oggetti di uso quotidiano di natura domestica e pubblica. La sua curiosità si sofferma soprattutto verso dinamiche che ricordano come oggetti privi di vita possano trattenere il calore e il ricordo di chi li ha posseduti. Un calore che si manifesta anche nello scambio continuo di energia che è alla base dei cicli vitali di mantenimento. Entrambi gli elementi del lavoro, la pietra e l’armadietto, appartengono a luoghi di vita dell’uomo. La pietra grezza, perfettamente sagomata, rimanda a un habitat naturale, mentre l’armadietto pensile, con vetro opaco e serratura, è oggetto di uso comune e ricorda gli armadietti medicinali. La pratica indaga il dialogo tra i processi biologici e organici e gli elementi della natura in dialogo tra loro.

Senza titolo (2019) di Francis Offman.

Densità dell’essere come migrazione della materia. Fondatezza che trae carne nell’esperito. Nello strappo visivo, si tange un luogo di slancio transitorio prolifico, nella sua epifania d’apertura.

L’artista adotta composizioni “astratte”, o come meglio specifica, sensibilmente vicine a una forma d’economia materiale del quotidiano, simile a quella che l’artista sonora Aurélie Liermann definisce “Afrique concrète”. Tali sottintendono riferimenti a un mondo lontano e ai suoi costumi, l’Africa e il Ruanda, ove Francis Offman ha trascorso parte della sua infanzia. Le opere nascono dal recupero di fondi di caffè, e includono zone di collage con frammenti di carta e di cotone, di fogli sottili o più spessi, ripristinati da confezioni di pane o da scatole di scarpe che si presentano come strappi e ferite. Nel lavoro pittorico, l’artista riconosce l’interdipendenza ecologica legata al variare delle stagioni. La pittura è strumento di registrazione di movimenti e occupazione di un corpo umano. Ogni materiale rivela la sua storia di estrazione, la sua biografia. Afferma l’artista: … La pittura come il caffè puoi squadernarsi come uno spazio sociale. Sottratta al discorso del linguaggio culturale e del codice linguistico la pittura può diventare, letteralmente, una piattaforma per esprimere concetti complessi nella forma accessibile dell’epifania.

Notte in bianco (2022) di Serena Vestrucci.

Un mirabolante immaginifico si profila in un germogliare di esili fessure. L’altro da me cela la sua effigie. Brulicano una miriade di microscopiche coppie d’occhi in un incessante interrogarsi nella prospettiva dello sguardo. Guardante e guardato sono unico cielo, in un infinito versamento del cosmo.

L’opera cerca il nostro sguardo prima ancora di esser vista, secondo un procedere che rileva l’atto del guardare i materiali da una differente prospettiva, in un gioco circolare di punti di vista. A dividere l’osservatore dalle coppie di occhi, visibili dai fori praticati, è una coperta di lana in disuso. L’artista dà nuovamente vita a una serie di ritratti anonimi ed esplicita: …Nel solco neutro dello sguardo il guardante, il guardato e l’autore degli scatti invertono le loro parti all’infinito. L’opera è un lavoro a sei mani tra me e qualcuno che non conosco.

Meritano approfondimento distinto anche le opere dell’edizione 2022: ISO #41 (2019) di Marco Emmanuele, Non so dove, non so quando #0478 (2020) di Giulio Bensasson, Winged victory (2019) di Bea Bonafini, Soffio – Passaruota, Verde #2092 (2022) di Gianluca Brando, Per un prossimo reale #7 (2022) di Antonio della Guardia, Vienimi nel cuore (2021) di Guglielmo Maggini, Terzo viaggio intorno al mondo (2021) di Diego Miguel Mirabella, Quanto ardore, quante azioni (2021) di Numero Cromatico, Sans Horizon (2021) di Lulù Nuti, Looking for a safe place (2022) di Alice Paltrinieri.

ARTE CIRCOLARE. Venti artisti italiani per la sostenibilità
a cura di Spazio Taverna (Ludovico Pratesi e Marco Bassan)
13 novembre – 30 novembre 2023
Ministero delle Imprese e del Made in Italy
Palazzo Piacentini – Via Vittorio Veneto 33, Roma
Info: polo.culturale@mise.gov.it; info@spaziotaverna.it