Eva Hide
Eva Hide, Kammerspiel, 2020. Installation view, ADA Roma

La “favola nera da camera” di Eva Hide

Kammerspiel può essere tradotto come “dramma da camera” e designa le opere teatrali, soprattutto mitteleuropee, che si basano su drammi intimi, in cui i rapporti psicologici hanno un peso maggiore delle azioni messe in scena. Questo modo di fare teatro, alla Strindberg, subito preso in considerazione dal cinema espressionista tedesco, che ne fece uno dei suoi tre principali filoni, lo ritroviamo, in modo inizialmente spiazzante, nel titolo dell’esposizione di Eva Hide, pseudonimo del duo pugliese Leonardo Moscogiuri e Mario Suglia, alla Galleria ADA di Roma.

L’esposizione è composta da piccole maioliche dipinte, ordinatamente poste su alcune mensole a muro.
Queste maioliche in parte kitsch, tra corpi deturpati e deformi, organi sessuali onnipresenti e teste suine, oscillano tra eros e thanatos e nell’inquietudine provocata allo spettatore sguazzano e gridano, nella messa in scena, appunto, del loro kammerspiel. Il quotidiano e il surreale si mescolano in una visione degradata e perturbante della realtà che è specchio della violenza e dell’ipocrisia prodotta dalla società di cui facciamo tutti parte e di cui ne siamo consciamente o inconsciamente artefici. Nel testo che accompagna la mostra Francesco Castellani lega queste opere agli abissi onirici di Lynch, ai Quadritos di Goya e, naturalmente, al cinema espressionista, ma nei rapporti visuali e narrativi delle piccole scene scultoree è rintracciabile anche il cinema folle di Harmony Korine così come quello trasgressivo di John Waters, per fare solo due esempi.

I corpi deformi e nudi a volte più simili a dei tacchini arrosto, anche loro presenti comunque, che si relazionano, tra gli altri elementi, con la testa di topolino, l’albero di natale, la tomba dell’esistenziale “madre”, pongono l’erotismo e la morte in un rapporto complesso, non dicotomico, ma come rifletteva Bataille, l’uno alla base della mistica laica dell’altro, nella continuità dell’essenza umana.

La maiolica dei due piedi con su scritto “my dad loves me” è il paradigma dell’intera esposizione, che oscilla come un pendolo dalla retorica scenetta colma d’innocenza di facciata all’alienante realtà dei più terribili istinti. Istinti che, nelle riproduzioni di prati fioriti e delle stanze un po’ retrò di case inquietanti, esplodono nella concretezza di un inconscio disgustoso e torbido. “L’opprimente convivenza con il male” è il punto focale delle opere, che ha però un contrappeso, seguendo il ragionamento di Castellani nel “senso del gioco, dell’irrisione trasgressiva e lo spudorato coraggio di praticare un’ironia leggera come un sorriso / pesante come un dolore, che sia in grado di rischiarare l’oscurità”. Il candido coniglio che porta addosso la scritta “when I’m being fucked, i like to get kissed on the mouth” è, nella griglia di opere, il miglior finale a cui possiamo agganciarci, pur sapendo di non aver comunque scampo, un po’ come quando assistiamo indifesi, per tornare al cinema, al finale di Seul contre tous di Gaspar Noè, o di Gummo del già citato Korine.

Eva Hide ci fa assistere, in definitiva, ad un kammerspiel postmoderno, senza inizio né fine, spiraliforme e abissale, psicologico e tamburante, messo in scena senza attori (perlomeno consapevoli, dato che ne facciamo parte tutti) e grazie ad un unico materiale, la maiolica dipinta, che in questo caso acquista un plusvalore estraniante che tipicamente non ha. Una messa in scena che ha più di quel che sembra, perlomeno inizialmente, del cinema espressionista, e del cinema disturbante in generale, in quanto porta lo spettatore a reazioni affini. Esacerbate dallo spazio in cui vengono fruite, queste reazioni diventano violente in una mediazione non tecnologica, e quindi disinteressata all’informazione e concentrata sulla sensazione, che si irradia dall’oggetto unico e irriproducibile che è la scultura. Ognuna di esse diventa singola parola, e allo stesso tempo senso totale, di quel “discorso intimo e raccolto per coloro disposti ad ascoltare attentamente la ‘favola nera da camera’ di Eva Hide”.

Eva Hide
Kammerspiel
dal 5 dicembre 2020 al 13 febbraio 2021
Galleria ADA
Via dei Genovesi, 35 – Roma
Orario: dal martedì al sabato 15-19 o su appuntamento
info@ada-project.it
www.ada-project.it