James Lee Byars
James Lee Byars, Red Angel of Marseille, 1993 Vetro rosso, 1000 parti ciascuna: ⌀ 11 cm Totale: 1100 x 900 x 11 cm FNAC 99316 Centre National des Arts Plastiques In deposito presso Centre Pompidou, Parigi Veduta dell’installazione, IVAM, Instituto Valenciano de Arte Moderno, 1995 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars

Dal 12 ottobre 2023 al 18 febbraio 2024 Pirelli HangarBicocca presenta la mostra di James Lee Byars, una delle figure più enigmatiche e mitiche dell’arte contemporanea del XX secolo. L’esposizione, la prima retrospettiva in Italia dedicata all’artista americano dopo la sua scomparsa nel 1997, è un percorso attraverso il suo stratificato lavoro che si è sviluppato come un’esplorazione continua dei significati più profondi dell’esistente, ai confini tra misticismo, spiritualità e corporalità.
Riportiamo la recensione di Lucia Spadano apparsa sul numero 84/85 (aprile/maggio 1989) scritto in occasione della personale a Rivoli e alla Galleria Cleto Polcina di Roma

Il suo lavoro è una costante evocazione di un Altro Mondo, che non è un concetto religioso od un postulato metafisico; esso sorge, invece, da un credo nel potere dell’immaginazione che lo costituisce.

(Thomas Mc Evilley)

La citazione è riferita a James Lee Byars, l’artista statunitense (Detroit 1932) invitato in Italia per una mostra monografica dedicatagli dal Museo di Rivoli (The Palace of Good Luck, fino all’11 giugno 1989) e per una mostra “personalissima ” allestita presso la Galleria Cleto Polcina di Roma (Monument to Cleopatra, fino al 25 maggio 1989). Circa 45 opere a Rivoli, la cui collocazione realizza una vera e propria opera totale, un’unica installazione a Roma dispiegata in due sale interamente ricoperte di foglia d’oro, nelle quali sono disposte una scultura di forma geometrica (un parallelepipedo, la cui materia costitutiva, il marmo di Filippi, è celata da una patina d’oro) ed una tavola della stessa lunghezza e altezza, sempre d’oro, incollata ad una parete.

Il termine “monumento”, nel suo valore etimologico latino “monumentum”, da moneo, ricordo, serve a designare un oggetto che tramandi la memoria di persone e di avvenimenti del passato. Ed è proprio l’idea di affermare e tramandare, attraverso segni appariscenti e durevoli, un evento o la memoria di esso che sottende il lavoro dell’artista. Ha affermato infatti Byars in una recente intervista: “Volevo raggiungere una forma che suggerisse la figura umana, ma che fosse molto chiusa su se stessa, conservando la sua purezza”. La pietra, strappata al buio ed al silenzio, giace custodita da un vetro, che la offre alla luce ed agli sguardi come uno “xoana” (scultura di legno, pietra o metallo, che suggerisce la figura umana), che gli antichi ritenevano opera di mano divina, caduta dal cielo o portata da qualche eroe. L’opera si offre perfetta e definitiva nella sua ricchezza, protetta e sottratta ad ogni corruzione dal materiale puro per eccellenza, generatore di luce, risultato di magiche alchimie.
La peculiarietà delle forme regolari e di colori primari caratterizzano dunque l’esigenza di un approccio alle problematiche dell’essenza pura dell’essere e del sapere. Byars ama il mistero e la forza evocativa dell’immaginario, la materia e la sua essenza, come ebbe a scrivere Virginia Baradel nel testo in catalogo Villa Domenica con undici artisti, “le manifestazioni dell’avanzare immune del suo pensiero oscillano da una intatta innocenza ad una sofisticata intenzionalità filosofica”

La copertina, dedicata a James Lee Byars, del numero doppio 84 – 85 della rivista Segno del 1989
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