A fronte di una raccolta di opere che documentano uno sguardo acuto sui grandi maestri che hanno segnato il panorama della storia dell’arte con una particolare attenzione anche sulla contemporaneità, la Collezione vanta un archivio ricchissimo sulle origini del futurismo. La mostra, che si è inaugurata il 24 settembre 2023, offre un’inaspettata possibilità di confronto tra le opere di Giacomo Balla (1871-1958) e quelle di Piero Dorazio (1927-2005) che ci permettono di cogliere un fondamento condiviso, una continuità di modalità espressive che hanno in comune il tema della luce.
La curatrice, Gabriella Belli, in collaborazione con Mario Botta che ha progettato l’allestimento, hanno saputo magistralmente consolidare un dialogo operativo vivo già dagli anni in cui avevano lavorato insieme al MART di Trento e Rovereto. Botta ha saputo, nello spazio espositivo della Collezione, trovare una soluzione che ha permesso di mettere in dialogo opere di piccole dimensioni, come quelle di Balla che in molti casi sono piccoli fogli di block-notes, con le grandi trame di luce di Dorazio. Le opere di Balla, che hanno come obiettivo quello di catturare i misteri dell’iride, non sono a parete ma appaiono sospese in quanto collocate al centro di una sorta di cono visivo a base triangolare che concettualmente rimanda alla forma geometrica che accomuna molte delle sperimentazioni dei due artisti. Balla e Dorazio sono al centro di un racconto visivo che segue un’intuizione di Danna Battaglia Olgiati nell’individuazione di una continuità che dal futurismo porta alle origini dell’astrattismo. Balla, già nel 1912, ospite della famiglia Löwenstein a Düsseldorf, nella casa che si affaccia sul Reno, aveva dedicato parte del suo tempo a nuove modalità pittoriche nate dall’osservazione dei fenomeni visivi. Questo interesse dell’artista verso le “compenetrazioni iridescenti”, definizione coniata dalla critica, è documentata già in alcune lettere autografe del 1910 e il 1912 in cui Balla in margine racconta: “…sto lavorando a questo iriduccio”. Il pattern a geometria triangolare si affianca ad altre forme geometriche che non sono altro che una sorta di “anatomia” della luce che ha come scopo quello di catturare l’invisibile.
Nella mostra sono esposte più di venti opere di Balla provenienti sia dalla GAM di Torino, dal MART di Rovereto e da collezioni private e museali. A queste opere si affiancano in mostra un numero analogo di dipinti di Piero Dorazio che, pur essendo molto più giovane del grande maestro del futurismo, dimostra di essere in piena sintonia con lui nella ricerca, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, del segreto della luce. Le Trame, realizzate tra il 1959 e il 1963,costituiscono una breve parentesi nell’esperienza artistica del pittore romano che nel 1947 era stato tra i firmatari del Gruppo Forma 1. Anche per Balla gli studi sull’iride rappresentano una novità nel suo lavoro di ricerca ma segnano una tappa importante nella sua storia ed evidenziano una sorta di affinità elettiva con Dorazio che aveva incontrato agli inizi degli anni Cinquanta.
I guizzi luminosi di “Dove la luce”, termine mutuato da una poesia di Ungaretti, sostanziano le opere di entrambe gli artisti e si caricano di significati ermetici come a voler fermare l’attimo fuggente.