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Dino Colalongo
Dino Colalongo. Foto dal profilo Facebook

In ricordo di Dino Colalongo

Scomparso il 25 marzo scorso, riproponiamo la recensione di Ivan D’Alberto, pubblicata nel mese di luglio del 2022 su “Segno d’Abruzzo”, numero speciale estivo della “Rivista Segno”.
L’articolo si riferisce all’ultimo intervento espositivo di Dino Colalongo presso la Sala Capitolare e i giardini dell’Abbazia di Santa Maria Arabona a Manoppello, in provincia di Pescara.

Il segno della croce è tra le espressioni sintetiche più palesate dalla fede cristiana, ma per molti anche un gesto automatico perché risultato di un’abitudine inconsapevole. È ben noto come nei primi secoli della cristianità tale azione avveniva solo sulla fronte; poi, a poco a poco, si è giunti alla formula attuale. 

Il gesto della mano destra, muovendosi verticalmente, prima va a toccare la fronte (ovvero la mente), mentre la bocca recita «Nel nome del Padre», poi scende al petto (ovvero il cuore), mentre si pronuncia «e del Figlio». Segue, infine, il gesto orizzontale che va dalla spalla sinistra alla spalla destra, mentre si afferma «e dello Spirito Santo». Il tutto è suggellato dalle mani che si congiungono e dalla parola «Amen», vero e proprio sigillo di questo rito. 

Il segno della croce è un gesto semplice, ma pieno di significato, che coinvolge tutta la persona, il corpo (gesto del braccio e della mano), la mente e il cuore (il pensiero e il sentimento). Ogni volta tale segno esprime una chiara dichiarazione dell’uomo verso la fede, un senso di appartenenza, un impegno verso qualcosa a cui si è dichiarato amore eterno. Quando vengono recitate le parole si professa che Dio è una comunione di amore, che è lui l’origine dell’uomo, il creatore e Padre.

È inequivocabile l’aderenza tra la fede cristiana e le fede che un’artista ha nei confronti dell’arte, tra l’impegno dell’uomo nei confronti di Dio e quello di un artista nei confronti della téchne, tra l’amore del fedele nei confronti del Padre eterno e dell’artista nei confronti della creatività. La letteratura ha sempre evidenziato tale incidenza, basti pensare a Giorgio Vasari che nella “vita” di Michelangelo Buonarroti parla di “divin e meraviglioso Michele Agnolo” sostenendo che la mano dello sculture toscano non fosse altro che l’estensione della mano di Dio. Il rapporto tra Arte e Fede è una costante storica anche nella contemporaneità nonostante tante volte questa abbia giocato cinicamente con la cristianità e con le istituzioni che la rappresentano. È indiscutibile il legame tra Arte – Fede e non deve sorprendere se ancora oggi dal tema del segno della croce sia possibile tirar fuori un livello di lettura che pone in dialogo l’estetica e le “geometrie” dell’esistenza.

Il maestro abruzzese Dino Colalongo è l’autore dell’operazione “la CROCE come SEGNO”, concepita per la Sala Capitolare e i giardini dell’abbazia di Santa Maria Arabona a Manoppello, in provincia di Pescara. Il progetto site-specific è stato inaugurato il 21 giugno del 2022 in occasione del Solstizio d’estate ed è stato lasciato fino al 23 settembre, Equinozio d’autunno. L’intervento è il risultato di una fusione tra più aspetti che appartengono alla location scelta da Colalongo: luogo in cui un tempo veniva celebrato il culto della dea Bona, divinità rurale idolatrata in territorio abruzzese, e successivamente sede abbaziale dell’ordine dei monaci cistercensi.

Il concetto di croce come segno che gioca sul ribaltamento speculare della frase segno della croce si muove su quelle “geometrie” che da sempre accompagnano la fede cristiana: il modulo del quadrato, l’uso degli assi perpendicolari per l’edificazione dei luoghi di culto, l’organizzazione degli spazi secondo logiche gerarchiche e quel rapporto tra “mente” e “cuore” (il pensare e il sentire) che intersecano lo “spirito” e la “santità” (l’eternità) che è tipico del fare Arte. «Intorno alla struttura architettonica a croce quadrata – così riportava la nota stampa – su cui si sviluppa la costruzione dell’abbazia e da alcune peculiarità degli arredi interni, nascono le installazioni modulari site specific di Colalongo». 

La sala capitolare, adiacente alla chiesa è diventata sede di tre variazioni sul concetto della croce con materiali e tecniche diverse, mentre due sculture in acciaio corten sono state collocate all’ingresso dei giardini dell’abbazia come due totem, due idoli pagani a difesa del luogo di culto; una sorta di leoni stilofori medievali a protezione di un’area sacra. L’operazione ha contemplato, quasi secondo una modalità di comunità monacale, il coinvolgimento di altri artisti. Dino Colalongo per questo progetto ha collaborato con esperti che lavorano con la pietra della Majella. A Franco Aceto è stata affidata la realizzazione su pietra di parte di un’opera, secondo il progetto dell’artista. Stefano Faccini, Armando Di Nunzio e Dangyong Liu, scultori che da lungo tempo sono impegnati nelle “10 Giornate in Pietra”, il simposio internazionale di Lettomanoppello, sono stati invitati a partecipare con una loro interpretazione di capitelli moderni. Tutta l’operazione si è rivelata così come un grande omaggio al territorio, ai materiali, alla spiritualità del luogo (in senso laico del termine) grazie soprattutto alla sofisticata capacità di sintesi su cui si fonda la ricerca artistica di Dino Colalongo.

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