Avish Khebrehzadeh
Avish Khebrezadeh, Moon Trees, 2023, graphite, dry pastel and oil pastel onto the wall, site specific, Studio Sales, Roma

Gli alberi della luna

Allo Studio Sales di Roma una nuova personale di Avish Khebrehzadeh ci porta indietro nel tempo, al lungo viaggio dei Moon Tree americani.

La nuova personale di Avish Khebrehzadeh (Tehran, 1969) organizzata a Roma negli spazi dello Studio Sales – dodicesima in ordine di tempo che la galleria dedica all’artista sin da quando era ancora una studentessa all’Accademia di Belle Arti di Roma (del 1996 è appunto in doppia personale con Michele Chiossi) – è un ampio e articolato lavoro sul potere evocativo del segno, tracciato con disinvoltura sulla carta o anche sulla parete per riscaldare di temperature impreviste, a tratti lunari, lo sguardo dello spettatore. «La mia passione è il disegno, il mio strumento è la matita», avvisa l’artista in una piccola ma preziosa e indiscutibile dichiarazione di poetica. «Lavoro anche con altre tecniche e materiali, ma l’essenza di tutto è il disegno». 

Partendo da questo atto mentale, da questa estensione del pensiero che dirige la mano per appagare una dimensione teorica profonda, Khebrehzadeh propone sulla parete maestra della galleria, un maestoso wall drawing (realizzato a matita e impreziosito da interventi cromatici rosei e rossastri) che ci porta indietro nel tempo, al 31 gennaio 1971, a quando, durante la missione dell’Apollo 14 gli astronauti Stuart Roosa, Alan Shepard ed Edgar Mitchell portarono sulla luna circa mezzo migliaio di semi scelti (erano di Liquidambar styraciflua, di pini Taeda, di sequoie, di abeti di Douglas e di platani americani) per sottoporli alla microgravità spaziale e alle varie radiazioni di un viaggio verso l’orbita lunare. Malauguratamente, prima del rientro dalla missione, il contenitore che doveva riparare i semi dal vuoto cosmico, subì una lesione durante i processi di decontaminazione compromettendo – soltanto apparentemente – l’esperimento. I semi infatti germogliarono e furono fatti crescere circa 450 alberelli, da una parte donati a alcuni membri del Congresso e a ambasciatori stranieri, dall’altra piantati per i preparativi del Bicentenario degli Stati Uniti (1976), in tutta una serie di parchi: il primo di questi alberi (un platano americano) chiamati Moon Tree, esattamente come il titolo scelto da Avish Khebrehzadeh per questa sua mostra, è stato collocato nel 1975 a Washington Square (Filadelfia).

Affascinata da questa storia sugli alberi della luna, Khebrehzadeh propone oggi un percorso avvolgente dove l’atto del tracciare si intreccia con l’atto del combinare (del mescolare, del miscelare) e dove tra l’altro il chiuso della galleria si apre di rimbalzo allo spazio esterno, agli alberi di Piazza Dante accarezzati dal vento.

Di fianco all’imponente e imperdibile Moon Tree 1, peccato che sia un wall drowing, un’opera effimera della quale avremo un domani soltanto delle documentazioni fotografiche (personalmente sono tuttavia convinto che l’artista abbia voluto realizzare un’opera non duratura per creare un metaforico parallelismo con quella prima sequoia di Washington Square, morta nel 2008), collocati uno di fronte all’altro, quasi a creare due parentesi o due fuochi dello sguardo, Moon Tree 2 e Moon Tree 3, sono due meravigliosi disegni su carta di riso intelata i cui unici e diafani protagonisti ramificano sulla superficie per assorbire il chiarore del cielo o anche la luce del sole con leggerissime e eleganti pennellate di colore (ora giallo, ora azzurro).

Cinque piccoli ma accattivanti senza titolo (tutte le opere in mostra sono del 2023), di fronte al grande albero lunare i cui disegni preparatori sono preziosi come una ciliegia bagnata dalla luce, raffigurano delle mani in movimento (mani che si uniscono o mani che sembrano pigiare verso la carta per passarci oltre): Khebrehzadeh coinvolge necessariamente il corpo, in questo caso il carico gestuale delle mani, la forza muta dell’espressone, la carica e la scossa di un movimento trattenuto, finanche cucito con filo turchese o con filo rosso, lo stesso che scende dal becco di un piccione, unico disegno della serie che forse richiama poeticamente alla memoria il volo e la l8unga storia delle piante. 

Moon Tree è una esposizione senza sbavature e questi microcosmi viventi proposti da Avish Khebrehzadeh sono alberi solitari, sottratti a un paesaggio che può essere soltanto accennato dalla loro distanza siderale, dal loro essere, prima di tutto, un sistema di segni, un dispositivo plastico la cui dislocazione interna porta l’artista a analisi linguistiche, a dimensioni semantiche, a una visione del seme inteso anche come idea o pensiero sulle potenzialità degli inizi e delle fini.