Giovanni Anselmo, Mano che indica (Hand indicating), 1981. Drawing on paper. Courtesy Archivio Giovanni Anselmo, Turin. Photo Paolo Mussat Sartor

Giovanni Anselmo. Sul bordo di quello che sappiamo

Giovanni Anselmo, l’artista visionario che ha dedicato oltre mezzo secolo a esplorare le leggi fisiche attraverso l’arte, ci ha lasciati il 18 dicembre 2023 all’età di 89 anni. Noto per aver fatto parte del movimento Arte Povera, Anselmo ha trasformato materiali comuni in opere straordinarie, dando vita a tensioni visive e filosofiche che dimostrano le possibilità di dialogo tra forze opposte.

Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l’oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato.

[C. Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica]

Giovanni Anselmo ci ha lasciati l’18 dicembre 2023 all’età di 89 anni, con 56 di questi dedicati all’esplorazione delle grandi leggi della fisica attraverso l’arte.

Lo spazio e il tempo, il movimento, la materia, la forza di gravità, il magnetismo, la luce, i concetti di infinito e finito, e la dialettica fra il tutto e il particolare hanno costituito i protagonisti della sua opera. Semplici o complessi, razionalizzabili o incomprensibili, questi elementi rappresentavano per Anselmo una metafora di qualcosa di più grande, sia dal punto di vista fisico sia da quello filosofico.

Nato il 16 novembre 1934 a Borgofranco d’Ivrea, in provincia di Torino, Anselmo fece il suo esordio come artista nel 1967 alla Galleria Sperone, dopo aver completato gli studi classici. Da subito partecipa alle mostre del gruppo Arte Povera, schierandosi nella “guerriglia” accanto al critico Germano Celant e agli altri artisti Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabbro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio.

Affascinato, come il resto del gruppo, dall’impiego di materiali naturali estranei alle consuete tecniche artistiche, Anselmo presenta opere che incarnano “la fisicizzazione della forza di un’azione, dell’energia di una situazione o di un evento” e non solo “l’esperienza di ciò a livello di annotazione o di segno o di natura morta”. Costringe al dialogo materiali opposti, spesso in contraddizione tra loro, dando vita a opere che sono concrezione materiale di veri e propri ossimori.

In Avvolgimento del 1968, un panno di fustagno è attorcigliato da una barra di ferro, il cui movimento è impedito dalla presenza della parete. Untitled (Struttura che mangia) è composta da un cespo di lattuga schiacciato tra due blocchi di granito legati tra di loro. Nell’intercapedine, la verdura si consuma lentamente.

Giovanni Anselmo, Respiro, 1969

Respiro del 1969 indaga il fenomeno di dilatazione del metallo: due sbarre di ferro trattengono una spugna, che, quando la temperatura si abbassa e il metallo si restringe, “respira”, come spiegato da Celant.

La tensione, motore delle opere di Anselmo, deriva sempre da un sistema di spinte e forze contrapposte che, nelle sue opere, si manifestano sorprendentemente, dando vita a un equilibrio di natura fisica, linguistica o filosofica che non si limita mai soltanto a quello.

Raccontava di Influenza umana sulla gravità universale: “In un pomeriggio del 1969 camminavo nella campagna verso il sole che calava. Avevo con me una macchina fotografica; ogni venti passi scattavo una fotografia verso l’orizzonte al tramonto. Nel rullino c’erano venti pose e altrettante furono le fotografie che scattai. C’era un doppio motivo in tutto questo: da un lato, camminando verso Occidente prolungavo la presenza del sole; dall’altro, mi stavo muovendo come una piccola luna, che ha una sua traiettoria nello spazio, come tanti oggetti che si muovono nel cosmo”.

Giovanni Anselmo, Verso Oltremare, 1984. Veduta dell’installazione, Milano, Galleria Lia Rumma. Ph. Paolo e Simone Mussat Sartor. Cortesia Galleria Lia Rumma, Milano-Napoli

A partire dal 1979, Anselmo lavora al ciclo Verso oltremare, serie che include l’omonima opera del 1984 formata da una grande lastra in pietra di forma triangolare, posizionata quasi verticalmente e sostenuta da un cavo d’acciaio. Il vertice superiore tende, senza toccarlo, a un piccolo rettangolo di blu oltremare dipinto a parete. Oltremare è il colore dell’intervento pittorico, ma è anche il nome del pigmento che fa riferimento al minerale da cui ha origine, anticamente importato in Europa da terre lontane, “al di là del mare”. Al blu di quell’altrove Anselmo non cesserà mai di tendere.

Partecipa alla Biennale di Venezia la prima volta nel 1978 e vi ritorna nel 1980. Alla terza partecipazione, nel 1990, vince il Leone d’oro per la Pittura: “Alla Biennale appesi delle lastre di pietra di colore differente a delle tele con dei cappi. Siccome i pigmenti vengono ottenuti dai minerali, in quel caso, contrariamente a quanto era sempre accaduto, era il peso del colore a sostenere la tela, e non viceversa”.

In Particolare (1975), una parte evoca il “Tutto,” l’universale: il dettaglio come unico modo per pensare all’infinito.
Allo stesso modo, le singole opere di Anselmo sondano situazioni e fenomeni specifici, ma possono essere considerate punto di partenza per comprendere l’ambizioso progetto dell’artista. Seduto sul bordo di quello che sappiamo, Anselmo ha passato una vita a osservare il funzionamento del mondo.

Guardare alla totalità della sua opera, con la curiosità e gli occhi nuovi del presente, è il ricordo da coltivare per un artista che sembrerebbe ancora oggi “voglia andare al di là del mondo, voglia avventurarsi oltre i limiti del linguaggio” (Lea Vergine, 1973) oltre la natura dell’universo, oltre le possibilità dell’infinito. 

La fisica insegna come la realtà sia più sottile di quanto possiamo immaginare, e allora Anselmo ne ha interpretato le leggi, come un’elegante danza della materia tra la complessità dell’assurdo e la perfezione del sublime.