Gabriella Benedini, ph. Andrea Valentini

Gabriella Benedini | Un viaggio

La Fondazione Sabe per l’Arte ospiterà, sino a luglio, la mostra ‘Un viaggio’ di Gabriella Benedini, a cura di Francesco Tedeschi. Un itinerario estetico e filosofico in cui le opere tratteggiano una mappa dialogica con lo spazio e la vita.

Nel riflettere sui caratteri e le proprietà del linguaggioscultoreo oggi, nelle sue molteplici versioni, un aspetto importante da considerare è quello della sua valenza narrativa.

Francesco Tedeschi

Nelle parole del curatore Francesco Tedeschi è racchiusa la chiave di lettura del progetto espositivo Un viaggio, di Gabriella Benedini promosso dalla Fondazione Sabe per l’Arte di Ravenna. Secondo tale approccio, quello di una scultura narrante, la poetica dell’artista emerge nella sua plurima valenza che è quella, per l’appunto, di una tessitura di mondi, storie, ricordi, racconti ed emozioni, traslati e sostanziati dalla materia, dal suo rapporto con lo spazio, quasi metafora, ex post, dell’esser stati in un luogo, in un tempo antecedente; tuttavia, le consapevolezze di un trama temporale, mnemonica ed emotiva hanno dato origine ad una gemmazione altra di pensiero e senso, di lacerti ontologici capaci, hic et nunc, di dare nuovo tragitto ad esperiti percorsi.

Segnonline ha incontrato Gabriella Benedini per porle alcune domande da cui si evince ciò che gli occhi sanno guardare e tradurre attraverso l’arte.

Azzurra Immediato: Viaggio come metafora. In che maniera i frammenti mnestici del Suo percorso biografico, storico ed artistico sono riusciti a concretizzarsi sino a comporre un mosaico, una mappa tale da generare la costituzione di una sorta di parco archeologico in grado di racchiudere passato e presente, soggettivi ed oggettivi?

Gabriella Benedini: Un viaggio” è il titolo di questa mostra, ma devo rispondere che di viaggi ne contiene molti: viaggi nelle materie di cui sono composte le mie opere, viaggi nei tempi necessari alla loro elaborazione, viaggi per riconoscere i segni che il tempo ha lasciato, viaggi nell’universo personale di cui siamo coscienti e di quello che resta sotterraneo. Niente di più rivoluzionario di un “parco archeologico” che partecipa all’attuale sentire contrastando la velocità e la decadibilità dei linguaggi, mettendo l’esperienza visiva in condizione di accogliere la molteplicità di giacimenti, rendendoli metafore.

A.I.: Terre d’Asia, come Afghanistan ed Iraq, ad esempio, si pongono, nella mostra, quale baluardo di una visione verso confini che d’improvviso appaiono vicini o lontani, a seconda della rilevanza che la cronaca assegna loro. Nella cecità occidentale, in che modo, l’Arte e le Sue opere riescono ad avvicinare la percezione che i luoghi del mondo e dell’umanità non sono lontani se indagati secondo semi filosofici e storici?

G.B. Le parole baluardo e confini non fanno parte del viaggio, sono stridenti con l’idea dell’erranza che il viaggio comporta. Ho avuto la fortuna di non aggirarmi solo attorno al mio orticello, ho attraversato quelle terre per conoscenza e per avvicinarmi alle radici della nostra cultura.  Ho elaborato le mie memorie di viaggio facendo una mostra nel 2006 a Palazzo Magnani di Reggio Emilia, quando era scoppiata la guerra del Golfo, ricordando le testimonianze culturali straordinarie del museo di Bagdad disperse e svendute.  Una grande autentica pena. Sono nate così le “arpe di Ninive” che ho esposto anche nell’attuale mostra quando purtroppo stiamo vivendo di nuovo le distruzioni culturali di una guerra. Come Lei ben dice i luoghi del mondo non sono lontani.

A.I.: Mappe, Arpe, Vele. Sono le titolazioni che Lei ha dato ai lavori afferenti a questo progetto. L’allegoria cui esse rimandano, di matrice immaginifica, sono tradotte in opere sostanziate dal ruolo attoriale principe affidato alla materia. Ciò che appare lontano, ciò che appartiene al ricordo di viaggio è qui trasformato in oggetto sensibile che abita lo spazio. Cosa spera che il pubblico percepisca attraverso la visione delle opere e il camminamento attraverso le sale espositive.

G.B.: Mappe, Arpe, Vele. La speranza è dura a morire! Le opere di certi artisti sono organismi viventi, ci vuole tempo per comprendere il loro fare, le loro estensioni, i fili che sono la loro tessitura. La fisicità primaria suggerita dai relitti che compongono le mie opere conserva la natura di oggetti fatti con le mani e appartengono a una attività umana il cui flusso continuo occorre riconoscere, si chiama ‘poiesis’.

A.I.: Lei ha affermato: “Credo che aver visto gente e culture diverse mi abbia liberato da schemi e condizionamenti.” Molto spesso viaggiare significa non già e non solo muoversi attraverso le distanze geografiche ma anche varcare quelle culturali, o meglio, sfondare i clichés ed i preconcetti che, certa storia antropologica, ha innalzato. Quali erano gli ‘schemi e condizionamenti’ di cui Lei è riuscita a liberarsi grazie ai Suoi viaggi?

G.B.: Gli schemi di formazione non si cancellano anche se il viaggio libera in parte dai doveri di appartenenza. C’è un’idea di salvezza nel recupero di frammenti e di archetipi. Quando diventano una nuova realtà, certe presenze fanno percepire altre presenze; spesso sento la necessità di non concludere un lavoro sapendo che le tappe del viaggio possono improvvisamente illuminarne altre.

A.I.: La Storia dell’Arte è la Storia dell’Umanità; il viaggio è parte integrante della formazione e della crescita di una civiltà e l’Arte, le Arti hanno tracciato una serie di rotte parallele che hanno tessuto trame infinite di viaggi alteri. La mostra Un viaggio, per la Fondazione Sabe per l’Arte, appare quale perimetrazione di una Sua geografia interiore. Esiste, secondo Lei, un percorso entro il cui alveo i visitatori possono innervare le proprie personali geografie per dialogare con le Sue opere in maniera extranarrativa?

G.B.: “L’innervamento” che, secondo la sua domanda, i visitatori dovrebbero trovare vedendo mie opere è il viaggio che anch’ essi potrebbero intraprendere interrogandole e interrogandosi.

A.I.: Un elemento spesso ricorrente e riconoscibile del Suo lavoro è il ricorso alla volumetria, l’elemento ontologico che entra e abita lo spazio. Qual è il fattore che porta a tale necessità di estroflessione della materia e del pensiero?

G.B.: È una bellissima domanda, mi porta all’incontro avventuroso e casuale con un relitto; è un’avventura creare connessioni. Forme antichissime e attualissime mi sono servite per un oscuro sentire verso nuovi attraversamenti; così una forma madre come il resto di una barca mi è servito per partire per altre navigazioni o farle diventare viaggi di vento quando dal loro guscio sono nate delle vele. Il bisogno della fisicità dell’opera, estroflessione come introflessione fanno parte del contenuto.

A.I.: Ed infine, Un viaggio è una sorta di taccuino visivo, tangibile ma anche racconto di precedenti racchiusi in una clessidra del passato. Se dovesse aggiungere tale mostra, tale progetto, in una aggiornata mappatura artistico esistenziale, quali sarebbero la tappa precedente e, soprattutto, quella futura?

G.B.: Grazie anche di questa domanda, la risposta è qualcosa che non può aver fine: farò una biblioteca.

Gabriella Benedini, Memorie del vento / Vele, 2004
Scultura legno, tela e ferro

I visitatori dovrebbero trovare vedendo mie opere è il viaggio che anch’ essi potrebbero intraprendere interrogandole e interrogandosi.

Afferma Gabriella Benedini ed è ciò che, sino al 2 luglio, il pubblico potrà fare, dialogando e costruendo nuovi immaginifici viaggi, grazie alle opere dell’artista, alla Fondazione Sabe per l’Arte.

Gabriella Benedini. Un viaggio
A cura di Francesco Tedeschi
Fondazione Sabe per l’Arte | via Giovanni Pascoli 31, Ravenna
Dal 26 marzo al 2 luglio 2022
Orari giovedì, venerdì e sabato ore 16-19
Ingresso libero

Informazioni: info@sabeperlarte.org
Ufficio stampa: Irene Guzman | press@sabeperlarte.org | +39 349 1250956

Azzurra Immediato

Azzurra Immediato, storica dell’arte, curatrice e critica, riveste il ruolo di Senior Art Curator per Arteprima Progetti. Collabora già con riviste quali ArtsLife, Photolux Magazine, Il Denaro, Ottica Contemporanea, Rivista Segno, ed alcuni quotidiani. Incentra la propria ricerca su progetti artistici multidisciplinari, con una particolare attenzione alla fotografia, alla videoarte ed alle arti performative, oltre alla pittura e alla scultura, è, inoltre, tra primi i firmatari del Manifesto Art Thinking, assegnando alla cultura ruolo fondamentale. Dal 2018 collabora con il Photolux Festival e, inoltre, nel 2020 ha intrapreso una collaborazione con lo Studio Jaumann, unendo il mondo dell’Arte con quello della Giurisprudenza e della Intellectual Property.