Questa del corovirus è una storia tutta siciliana. La notizia circolava da un pezzo, ma a dare fiato alle trombe è stato un post su Facebook del direttore generale dell’Asp 7 di Ragusa: “Il Coronavirus (la variante degli sprovveduti): se non fosse da piangere ci sarebbe da ridere: ma davvero per adesso non si può fare a meno di un coro? Evidentemente no! Così, dopo il sassofonista che questa estate ha spruzzato il virus tra i tavoli degli invitati di un paio di matrimoni, ecco i nuovi fenomeni: i coristi. Altri contagi e altre persone in pericolo di vita. Altra sofferenza, altre lacrime e ancora paura (dopo però, in ritardo). E altro duro lavoro per il personale sanitario fuori e dentro gli ospedali. E speriamo che finisca bene”.
Cosa è accaduto? Un gruppo di coristi, dopo mesi di astinenza, si è riunito per provare alcune melodie pasquali. Non si trattava di negazionisti impenitenti, tipo l’infermiere siciliano di servizio a Torino che, tornato in Sicilia per le feste, ha sbandierato ai quattro venti la sua fede senza sapere di incubare il Covid e, dopo aver contagiato un intero paese, è ancora chiuso in casa con la febbre (ed è meglio ci resti: i suoi paesani aspettano con ansia di rivederlo per farla a lui, la festa). Si trattava, al contrario, di gente inconsapevole, che non sospettava di far male. Gente in tutto e per tutto simile al coro di illustri speaker e commentatori che parlano all’unisono di artisti italiani poco attivi o inconsistenti o, detto con la convinzione che di solito si addice alle proteste sindacali, ingiustamente trascurati.
Ora, a sospettare il peggio s’indovina quasi sempre, e a me piace indovinare. Perciò, in tanto conformismo a buon mercato, non posso fare a meno di rinvenire i segni del contagio: lo scoramento, il colpevole accanirsi su chi non si può difendere. Un caro amico direbbe che l’hanno uccisa loro, l’arte italiana, vendendola al migliore offerente. Io credo, al contrario, che essi si siano trasmessi i terribili virioni in perfetta buonafede: vuoi scambiando il successo con la partecipazione a questa o quella fiera; vuoi confondendo la parentesi felice della propria giovinezza col paradiso originale, quello custodito dall’angelo con la spada fiammeggiante; vuoi persuadendosi che agli artisti vadano attribuite le stelline, neanche fossero generali riccamente decorati. Certo gli artisti vorrebbero (dovrebbero) essere aiutati. Ma come si fa a supportare qualcuno se non si ha l’autorità per redarguirlo? Come si può pretendere che gli artisti si decidano a venire allo scoperto se non esiste una critica seria e autorevole, che cioè si concentri un po’ meno su ciò che fa da contorno all’opera (ma senti da che pulpito viene la predica!) e si decida, finalmente, a interrogarsi sul suo significato? Fossi un’artista, me ne starei anch’io quieto a riflettere, lontano dai riflettori.
Durante le pandemie – ne sa qualcosa Adrian Paci, che ha inscenato di recente a Modica il rituale abbraccio pasquale tra il simulacro del Cristo e quello della Madonna mentre tutti i cittadini riposavano beati – gli assembramenti sono fortemente sconsigliati.