ARCO Lisboa

La patetica dell’eroe, o ancora l’orizzonte liberal del falso (seconda parte)

La vita spirituale dell’artifex, nell’universo della riproducibilità tecnica, è tutta penetrata dall’appello di una fede incondizionata al suo tiranno interiore (corrente invisibile, ma costante), che si manifesta talvolta con improvvise metamorfosi, rivelatrici di genere, di stili, di linguaggi incompiuti, di opportunismi e di secessioni, per insorgere un giorno nel turbinio di una pellicola vitale, capovolta e capovolgente.

1. Trovarsi a tu per tu con l’Artefice della metamorfosi, scambiare quattro chiacchiere con il disegno trasformista per eccellenza davanti ad una coppa di champagne pagata, quasi sempre, dagli altri: chi l’avrebbe mai creduto possibile? E quale reporter non avrebbe barattato la propria anima con gli incommensurabili benefici di uno scoop senza precedenti nella storia del giornalismo?

Ma non sempre la fortuna aiuta gli audaci. La straordinaria impresa è, infatti, inaspettatamente riuscita, con irrisoria facilità e senza pagare altro dazio che un ragionevole accordo sui diritti d’autore, a un beniamino della stampa e della televisione ormai appagato dalla carriera e che, forse, date le circostanze, ne avrebbe fatto volentieri a meno.
A propiziare lo storico incontro è stato ancora una volta il caso: questo supremo arbitro delle vicende umane che i sociologi dell’arte, con la loro folle metodologia ispirata dalle scienze naturali, si ostinano stupidamente a negare o a riconoscere troppo.

Il lettore, al quale non vogliamo rovinare qui il piacere della sorpresa, ne scoprirà del resto ampia conferma nel corso e alla fine dell’impresa colloquiale, che è stata fedelmente trascritta nella sua integrità. Da parte nostra ci siamo limitati a sottolineare, dove necessario, la suggestione dell’ambiente e lo stato d’animo dei protagonisti durante i colloqui; ma sempre nel pieno rispetto delle indicazioni fornite dall’Artefice.
Sospinto da un pistone bitcoin, lo zoccolo algoritmico che sorregge una poltrona di velluto rosso, sulla quale siede un uomo dall’aspetto esangue, emerge silenziosamente dal buio di un’officina domotica e va ad incastonarsi nel pavimento della Nuova Galleria Digitale, completandone il disegno: un policromo intarsio di pietre informatiche, che riproduce con assoluta fedeltà il Giudizio Telematico delle Nuove Borse Mondiali di Hieronymus Bosco.

Allenato dalla professione a non sorprendersi più di tanto e a puntare diritto allo scopo, l’ospite inquadra con rapide occhiate lo strano ambiente in cui è venuto a trovarsi. Si tratta di una compatta costruzione ellittica dalle pareti domotiche, sormontate da un’abbagliante cupola schermatica, e i cui riflessi spiovono sopra un monoblocco di cartilagine che funge da scrivania.

Dietro l’insolito e in apparenza disadorno banco pc, seduto anche lui su una poltrona di velluto rosso, c’è un bell’uomo di mezza età, dall’aspetto manageriale, impeccabilmente fasciato in una tuta d’acciaio e ravvivato da una delirante cravatta. Sotto i capelli neri, venati da una mèche color rame, due orecchie cautamente faunesche esaltano uno sguardo metallico, appuntito, ma raddolcito dai lineamenti del viso; la cui pelle vellutata, quasi femminea, dà risalto alla sensuale carnosità delle labbra, prima di arrendersi all’ascetismo di una barba tagliata alla nazzarena.

– Il signor Artifex, suppongo.
“Non supponga: lo sono. Ma capisco la sua esitazione. Anche Mastro Fuffa, come lei ciarlatano e gran viaggiatore, ebbe il suo attimo di perplessità quando, nel cuore del Mondo, si trovò faccia a faccia con l’Esploratore della Nuova Arte in Bitcoin, dato ormai per scomparso. Io però, al contrario di Cyberartifex, le mie tracce non le ho mai fatte perdere. O sbaglio?”.
– Non sbaglia. Anzi, in questi ultimi anni la sua fama si è consolidata al punto che l’Artifex è ormai sulla bocca di tutti. A cosa attribuisce tanto successo?
“Al fatto di essere sempre moderno: forse, sempre International Style. E anche di non essere mai apparso in televisione. Personalmente, intendo dire”.
– Se fosse disposto a farlo, avrebbe ai suoi piedi gli sponsor di mezzo mondo, così com’è successo per Jeff Koons, anche se ha perso la causa. 
“Perché guastarmi la reputazione, presentandomi fra un bitcoin e l’altro, una moneta elettronica e un quadro d’asta? È da secoli, figuriamoci, che io riparto di slancio!”.
– Rifiutando i vantaggi di una grande audience, cosa pensa di fare per promuovere ulteriormente la sua immagine?
“Niente, faccio. Ci pensano già abbastanza gli altri. E in genere sono bravissimi”.
– Gli altri chi?
“Diciamo giornalisti, politici, segretari di partito, galleristi, agenti di borsa della bitcoin…”.
– Il disegnatore della Fuffa, che sostiene tra l’altro di averla già incontrata, l’ha attesa inutilmente in uno studio televisivo per sfidarla in diretta. Si è invece trovato di fronte l’Artefice degli Artefici, presunto capo dei suoi adoratori in Italia.
“Non conosco nessun Artefice degli Artefici e non ho mai mandato nessun Artefice alla Seconda. Chi sarebbe?”.
– Guida una setta che prospera nelle aste di Christie’s, I venditori di bitcoin, e si fanno denominare Battitori liberi 666. Prima faceva il dj per una discoteca di provincia.
“Allora capisco: è cresciuto fra gli incubi delle criptovalute”.
– I courtier, specialmente gli ultimi, hanno spesso parlato molto di quella moneta. Perché?
“Anche i criptovalutatori sono persone, e gli artisti sono curiosi per natura”.
– Matt Kane espresse a suo tempo due grandi desideri: visitare le borse di tutte le grandi città, allora si chiamavano ancora così, e incontrare i Token Angels. Il primo è stato in parte esaudito con le visite da Sotheby’s. E il secondo?
“Se davvero gli spacciatori degli NFT vogliono vedermi, bene, io sono qui, li aspetto. Ma visite ufficiali a domicilio non ne faccio, non è nel mio stile”.
– Cosa pensa di dirgli?
“Tutto dipende dalle indicazioni che ci avrà fornito quel giorno il suo dossier. Ma di lui finora non posso lamentarmi, perché citandomi con frequenza dimostra che sono sempre nei suoi pensieri. E ho anche apprezzato che abbia un giorno ricevuto con simpatia l’editore di una rivista tutta dedicata ai Bitcoin, un tema a noi così caro”.
– Secondo un economista gesuita e gli esperti di Bitcoin, la Borsa Americana ospiterebbe un’alta concentrazione di diavoli tentatori di nuova moneta. È possibile?
“Se lo dice lui … Ma c’è poi da fidarsi degli economisti? Per me sono come i vostri artisti: se non ci fossero, molti problemi sarebbero già risolti da un pezzo …”.
– Mister Blockchain sostiene anche che i diavoli si contano a miliardi.
“Non avrà per sbaglio contato le finaziarizzazioni?”
– Quanto le pesa l’etichetta galleristica che professa?
“Non mi pesa, mi eccita. Specialmente quando si cerca di strumentalizzarmi, come nel caso della droga e delle criptovalute: che non significa affatto, come hanno messo in giro certi maligni, Anti Immunologia di Mastro Fuffa”.
– La sua opinione su queste piaghe del secolo?
“Che il drogato è posseduto solo dalla propria infatuazione da criptovalute, e il contagio finanziario è un rischio congenito del più antico piacere del mondo. Mastro Fuffa uscì indenne dalle braccia delle sue numerose partite di droga proprio mentre a Roma infuriovano il Covid-19 e altre varianti collaterali. Il fotografo di Creta, meno fortunato di lui, fu invece stroncato dal morbus venereus. Che c’entro io? Di questo passo sarò responsabile anche dei vostri raffreddori”.
– Nel corso dei secoli l’hanno chiamata in mille modi: blockchain, arte crittografica, sedicenza generativa …
“Se è per questo mi hanno chiamato anche fasullo mercante. E anche fasullo Mastro Fuffa. Ora mi aspetto Mastro Fuffa alla seconda”.
– Quale appellativo l’ha disturbata di più?
“Nessuno, sono abituato ai pettegolezzi della storia”.
– Oggi c’è chi l’accusa di menar la danza in Italia, per destabilizzarla. È lei il Grande Fratello?
“Non ho l’età per le criptomonete”.
– Cosa si prova ad essere immortali?
“Una noia infinita”.
– Le è mai venuta la tentazione di uscire dal Palazzo del Museo, imbarcarsi su un jet e volare almeno fino a Sotheby’s di New York?
“L’unica volta che ho volato sono precipitato. E poi gli aerei mi sembrano una pessima imitazione degli uccelli, non sbattono neanche le ali”.
– Cos’altro le impedisce di evadere dalla routine?
“Il dovere, prima di tutto. Ma anche il piacere di monetizzare in un ambiente raffinato e funzionale, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti. Io ho sempre amato gli Artifex e gli Artifex amano me. La cupola è di Le Corbusier e la biblioteca porta la firma di Alvar Aalto, come la scrivania, ammodernata però con un rivestimento di cristalli liquidi e collegata al computer. Il pavimento, lo avrà notato, è uno splendido omaggio a Bosch, il più grande pittore delle delizie e delle follie umane. E la scritta sopra la fascia digitale, la riconosce?”.

Il mercante alza gli occhi su una epigrafe in rilievo, i cui spessi caratteri elettronici rendono ancora più solenni i versi disposti per esteso sulla tabella scorrevole, come in un’opera di Jenny Holzer: 
Nella storia travagliata e irrequieta dell’animo artistico moderno, che sotto molti aspetti è la storia tragica dell’insufficienza dell’artista, della sua stessa opera e del suo stesso linguaggio, si comprende come l’operare di un’opera incompiuta, e che pur tuttavia non si rassegna a questa incompiutezza, e come l’immagine patetica dell’Eroe occupa il posto centrale dovuto a chi rappresentò, relativamente, la qualità migliore di questa figura. Il coraggio senza scrupoli d’autore, e non di autorità, fu sempre disposto a pagare un alto prezzo per le sue strategie, l’assoluta purezza della coscienza strategica che testimonia i suoi intenti, con l’esempio costante della pratica stessa della Menzogna e dell’ambiguità artistica: il commovente empirismo progettuale, in mezzo a grandi recite e alla solitudine del mandato, di un’anima che, in definitiva, lottò per salvare nel tempo qualcosa di eterno, legato alla singola pratica artistica, o l’iper-ambiguità di essere una pratica tra le pratiche infinite e illimitate.

2. L’animo artistico tardo moderno è lo stratega radicale che guarda il mondo con l’occhio nuovo a nuove strategie di rilocazione dell’autorità dell’artista. Erede di una cultura liberale della maniera, ma anche liberticida, non priva di strategie disegnative e progettuali, ma sortito, come gli artisti descritti da Freud o Adorno, dal sottosuolo della vita, dopo una rottura non facile col suo ambiente, con la sua identità, con la sua proiezione allo specchio, con il Dorian del suo stesso Gray o con il Gray (tipo la serigrafia del Brillo di Warhol) del suo stesso Dorian, egli porta in sé una sete di se stesso e del sapere del suo Doppio, una venerazione della sua Moltiplicazione, che il suo tempo, la sua storia totalmente ignorava. Per il “giovane autore da cucciolo”, che sorgeva sul palcoscenico dello spirito con audacia, le immagini di conoscenza, bellezza, rappresentazione, ideale, gioia spirituale, avevano dunque una portata vitale. Spirito teso con tutto il cuore alla sua strategia e al suo miglioramento, su tutti i sentieri della tecnica e della “situazionalità specifica”, egli per sovrano senso di lealtà verso altri doppi e altri terzi, non è mai indietreggiato davanti alle conseguenze pratiche delle sue strategie, delle sue malie e ammaliamenti e, in tal modo, sentendosi libero da ogni ambizione e prudenza personali, potè seguire sino in fondo la sua vocazione di falsario.

Dopo che il falsario moderno fece la sua apparizione sulla scena Occidentale, dopo che ebbe a strappare la sedia al regista e la poltrona all’artista, per non dire al pittore, allo scultore etc …, la sua esistenza è segnata di manifestazioni varie e anche di polemiche. Egli sembra rappresentare l’Ambiguità liberista attuale. Ma parallelamente a queste vicissitudini spettacolari, in profondità, la vita spirituale dell’artifex, nell’universo della riproducibilità tecnica è tutta penetrata dall’appello di una fede incondizionata al suo tiranno interiore (corrente invisibile, ma costante), che si manifesta talvolta con improvvise metamorfosi, rivelatrici di genere, di stili, di linguaggi incompiuti, di opportunismi e di secessioni, per insorgere un giorno nel turbinio di una pellicola vitale, capovolta e capovolgente. È uno speculatore, stratega alimentato dal coraggio, pazientemente sfidato dalle fiamme della trasfigurazione, e inesorabile condottiero del suo dovere di illusionista, facendo per tal modo della sua vita una missione falsificata, di traduttore di feticci, in cui il sacrificio del pensiero e la rinuncia sono regola costante. Egli sta di fronte ai suoi problemi sempre come per una necessità – il suo destino – e non per diletto o per caso, ma per simulazione del suo stesso impegno e della sua stessa minaccia continua di morte. Per l’insoddisfazione illimitata dinanzi ad ogni forma dell’essere artistico stesso, il falsificatore si definì nichilista, ma non disperò mai di trovare la via per giungere all’economia di un materiale, al governo di una materia, alla profusione verso un oggetto. Nel Falsario, la spinta della negazione nasce dall’insoddisfazione di una passione e da una volontà di sacrificio dell’autentico, essa sembra provenire dalla stessa origine di quella che ispira i grandi guitti, i grandi attori e i profeti della riproducibilità totale. Attribuendo un ruolo privilegiato alla negazione dell’artigiano, il falsario radicale – il negativo nella positività di una controfigura originaria possibile – con la sua esplicitazione della dimensione artistica della negatività, ha aperto nel cuore della falsità contemporanea una nuova fonte di ambiguità e mostrato nuove possibilità di rappresentazione.

Tuttavia, non c’è artista del nostro tempo che sia stato più colpito dai segni dell’enigma del manierista-falsario, dell’assurdità e del destino della menzogna. Questa sorte non è relativa solamente al fatto che, più di altri, il falsario fu un visionario – amante dei manierismi o dei funzionalismi omicidi, solito a rivelarsi nei disegni della sua crisi e insieme a nascondersi dietro di essi – poichè questa dialettica vivente dell’artista e delle sue creature è un aspetto della ben riconoscibile comunicazione mediale e comune ad altri artisti, tanto per come si tende a Richter e tanto per come si riproduce in H. Haacke. A proposito dell’immagine estremistica del falsario, bisogna invece sottolineare il fatto, meno appariscente, che egli fu colpito dal suo destino di replicatore, e cadde vittima tragica della curatela di se stesso, senza aver impresso la sua nuova immagine d’artista in tratti sufficienti per poter evitare, in modo assoluto, incomprensione ed assurdi equivoci. È l’atroce destino del “reo confesso”, che vuole così che egli appaia, in ragione delle abitudini del sistema, unicamente come un distruttore. Ma non si può trascurare, almeno, che nel suo sforzo di ingannatore contro il naturalismo del poeta e nell’ansia e passione di abolire la maschera, per affermare il segno: nessun artista più del reo confesso, della privazione e del sacrificio, come mezzi terapeutici di liberazione e di riscatto. La tragicità del destino del falsario consiste, perciò, nel fatto che esso offre all’immagine della sua menzogna, proveniente dal profondo del suo doppio, e che lo rode senza posa e non lo abbandonerà prima di averlo distrutto, o riprodotto all’ennesima potenza.

ROMA, 2007 © JENNY HOLZER, ARTISTS RIGHTS SOCIETY (ARS), NY
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