I sogni, nella mitologia greca, sono figli del sonno e della notte. Anche i tuoi dipinti nascono così, da immagini sognate?
Ti rispondo con una frase di Novalis: “Noi sogniamo di viaggiare per tutto l’universo, ma l’universo non è dentro noi stessi? Non comprendiamo le profondità del nostro spirito. La direzione del cammino misterioso è verso il nostro intimo. All’interno di noi, o in nessun altro luogo, sta l’eternità con i suoi mondi, il passato e il futuro”. La mia ricerca dà vita ad un mondo di mistero attingendo ad una “memoria” dello spirito. Si rivela così l’elemento onirico, visionario: ultra mondi, entità, creature partorite forse anche da fantasmi di ricordi mitici, rielaborazioni inconsce di luoghi dell’infanzia, connessioni atemporali. Chissà? Comunque i miei sogni tessono immagini mentali non molto identificabili tra la veglia e il sonno, atmosfere di metamorfosi, materie fluide cangianti che, nel transito creativo, a cominciare dalla realizzazione di bozzetti, lentamente prendono forma.
Alcuni credono che, morendo nel sogno, non ci si risvegli più: i sogni sono sovente perigliosi. Perciò, in svariate culture del mondo, i sognatori prendono le dovute precauzioni… Lo fai anche tu, ancorando le “materie dei sogni” a un fondamento realistico?
Ho in parte risposto anche a questa domanda. Posso aggiungere che la realtà spesso funge da incubatrice, stimola percezioni sensoriali che attivano, a loro volta, processi onirici. L’immaginazione scatta in automatico, senza controllo razionale.
La domanda di prima nasce da una constatazione: nella tua pittura ci sono due correnti dominanti: un colorismo esasperato e un linearismo altrettanto vibrante. Due contendenti in antica tenzone?
Non credo che il mio colorismo sia “esasperato” come lo descrivi, è comunque un risultato ottenuto da una materia stratificata, folta di cromie che, sovrapponendosi, diventano un unico tessuto.
Il mio segno grafico ha le stesse caratteristiche del colore: è complesso, sovrapposto e articolato ed è indipendente rispetto alla materia pittorica. Focalizza anch’esso un processo metamorfico.
A parte i surrealisti – e Gigier – a quali maestri ti ispiri?
Per quanto riguarda i miei maestri, ti confesso che quando iniziai a individuare la mia strada ero giovanissimo ed ancora non avevo studiato a fondo le avanguardie o artisti specifici; non sapevo nulla degli artisti di cui mi si attribuisce l’influenza. È chiaro che, successivamente, presi coscienza delle possibili analogie o relazioni della mia pittura con determinati movimenti o autori come Gigier, cui ho fatto più di un omaggio. Paolo Balmas nel catalogo Roma arte oggi edito da Giancarlo Politi nel 1988, scrisse del mio lavoro: “Francesco Trovato. Evidentemente surrealisti si nasce…”. L’uomo, “l’artista” partecipa dell’inconscio collettivo. Determinati archetipi li abbiamo tutti dentro. Questa non è una novità.
Come è cambiato negli anni il tuo modo di fare pittura?
Ti confesso che, concettualmente, il mio modo di fare pittura non è molto cambiato; ho, forse, approfondito un maggior numero di temi, utilizzando tecniche differenti che, almeno nelle mie intenzioni, dovrebbero conferire una maggiore tridimensionalità e potenza coloristica alle visioni.
E il sistema dell’arte? Hai notato di recente, tra una pandemia e una guerra, cambiamenti sostanziali?
Il sistema dell’arte è e resta il solito mostro manipolatore. Credo che gli eventi degli ultimi anni abbiano cambiato più che altro gli artisti, inducendoli a ricercare una maggiore intimità con se stessi.
Nella tua ultima mostra [“Francesco Trovato. Le materie dei sogni”, a cura di Giuseppe Bacci, Museo-Galleria La Vite, Catania, 15 ottobre – 15 novembre 2022] hai realizzato una serie di sculture: un modo di tradurre i sogni in qualcosa di tangibile, che si possa toccare?
Hai ragione. Ho sempre desiderato rendere i miei sogni quanto più possibile concreti, reali. Mi auguro che queste sculture siano le prime di una lunga serie.
Altri lavori in corso?
Oltre alla pittura, alla scultura o al disegno, mi cimento sempre più di frequente nella fotografia. La tecnica, a ben vedere, conta poco: il ponte tra visibile e invisibile è l’Immaginale.