Fernweh 2023 Installation view, Roberto Casti, Aleph 2023

Fernweh. Una mostra-viaggio tra nostalgia e desiderio di fuga

Fernweh è l’espressione tedesca che descrive il desiderio di abbandonare circostanze conosciute per aprirsi al mondo esterno, ma è anche il nome della mostra in corso presso lo spazio KA32 di Berlino, che fino al fino al 30 novembre presenta le opere degli artisti Roberto Casti e Friedrich Andreoni.

“Fernweh” è l’espressione tedesca che descrive il desiderio di abbandonare circostanze conosciute per aprirsi al mondo esterno. Linguisticamente definita come il contrario di “Heimweh”,la nostalgia del ritorno, “Fernweh”non trova un equivalente esatto nelle altre lingue. I due termini, caratterizzati dalla loro intraducibilità, si definiscono reciprocamente, per contraddizione e raccontano di sentimenti opposti e complementari. Fernweh è anche il nome scelto per l’esposizione attualmente in corso presso lo spazio KA32 di Berlino, che fino al fino al 30 novembre presenta le opere degli artisti Roberto Casti e Friedrich Andreoni.

Il progetto, a cura di Caterina Angelucci e Andrea Elia Zanini, muove i passi dalla rilettura di The Dubliners (1914), la raccolta di quindici racconti scritta da James Joyce che rappresenta la vita quotidiana di gente comune nella Dublino della prima parte del XX secolo. La profonda attualità dell’immersione nei recessi della condizione umana ha ispirato un nuovo capitolo nel dialogo tra artisti la coppia di curatori che culmina con il progetto di mostra.

“Moriva dal desiderio di salire in cielo attraverso il tetto e di volare verso un altro paese dove non avrebbe più sentito parlare dei suoi guai, eppure una forza lo spingeva dabbasso scalino per scalino.”

La sensazione di vuoto, la paralisi collettiva e la frustrazione, la noia e la monotonia, il desiderio irresistibile di evasione riecheggiano nelle opere sonore realizzate appositamente per il progetto da Andreoni e Casti.

“Ending Times” (F. Andreoni), installazione sonora multicanale, propone un viaggio che attraversa gli ultimi secondi degli audio di colonne sonore cinematografiche più o meno note. Il susseguirsi di spezzoni da’ vita a un ciclo infinito che scorre continuo, attraversa lo spazio e accompagna l’esperienza del visitatore. Senza capo né coda, una serie infinite fini si rincorre simboleggiando il perpetuo, il metamorfico, invitando il pubblico a perdersi e a dimenticare le nozioni di tempo e di spazio. 
Lo spazio espositivo, appositamente brullo e abitato quasi esclusivamente dal suono si trasforma in un non-luogo di emozioni complesse e sfumate, caratterizzate da una mescolanza di malinconia e frustrazione chetalvolta sembra essere illuminata dal barlume di una nuova, nascente, speranza.
Come per la Eveline di Joyce, che udendo il suono di un organetto decide di fuggire da Dublino per iniziare una nuova vita a Buenos Aires, la speranza si rivela fatua all’incedere della traccia audio successiva, trattenuta da nostalgia, timori e rimorsi.

Se l’opera di Andreoni significa in mostra la paralisi di un eterno ritorno da cui sembra impossibile sfuggire, l’”Aleph” di Roberto Casti rappresenta la possibilità. Rallentando registrazioni ambientali precedentemente campionate e trasformate in tappeti sonori, l’artista sfida le nozioni convenzionali di arte. L’opera apre finestre sonore su luoghi lontani: New York, Sardegna, Tokyo e Thailandia.
“Un picchiettare sommesso sui vetri lo fece voltare verso la finestra: aveva ricominciato a nevicare. Osservò assonnato i fiocchi neri e argentei che cadevano obliqui contro il lampione. Era giunto il momento di mettersi in viaggio.”

Il suono invade la sala espositiva portando al suo interno tracce, odori ed esperienze di luoghi altri. Integrando le opere nei dispositivi funzionali di ambienti espositivi, domestici o commerciali Casti sottrae la presenza dell’artista e dell’opera offrendo un’esperienza sensoriale che invita gli spettatori a una fruizione più lenta e meditativa.

“Nelle strade, nelle piazze, in chiesa, nelle botteghe e negli uffici, al lavoro e al riposo, Davin sempre cercava di unirsi agli altri, di collegare la propria vita con la vita degli altri.”

La partecipazione attiva del pubblico è un elemento chiave di “Fernweh”, evidenziato dall’esercizio di immedesimazione proposto da Casti attraverso una lista di domande per “Aleph (Milano-Berlino)”. Questo coinvolgimento aggiunge uno strato di connessione tra gli spettatori e le opere, spostando la narrativa del progetto dall’individuale al collettivo.