Arco Madrid 2025
Ernesto Morales, Clouds VII, 2024. Oil on canvas, cm40x60

Ernesto Morales. La pittura e la luce

Conversazione con Ernesto Morales in occasione della sua mostra personale al Rothko Museum in Lettonia.

Ernesto Morales è un rabdomante. Da sempre, con anelito instancabile, ricerca il prodigio, il mistero dell’ oro nelle cose di natura. Come un chimico padroneggia la materia. Come un alchimista ne rivela la luce propria. Sosteneva Novalis: ” le pietre e le sostanze sono la cosa più alta; l’ uomo è il vero caos”.

Ma la fedeltà alla natura -seppur intimamente trasmutata- e la suggestione dell’ universo sono nella pittura di Morales talmente sentite che la sua poiesi ribalta questa considerazione. Lo spettacolo dell’ universo, visione magnifica, non ha mai smesso di essere nutrimento autentico ed essenziale per questa sorta di teologia della pittura dove sublime, ignoto, mutevolezza, bellezza si risolvono in una testimonianza artistica di grande libertà ma al contempo fondata su principi di profonda coerenza intellettuale. È un fare poetico e paziente, colto, ed insieme lucido e chirurgico, quello con cui Morales manifesta un’ accurata padronanza dei mezzi di pittore. In una ricerca dell’ epifania dell’ intelligenza cosmica dove il corpo luminoso dell’universo ritrova la sua espressione di fiamma, Morales sfrange la struttura delle cose del mondo in visioni altre. Poiché, come sentenziava Rimbaud, le invenzioni d’ignoto richiedono forme nuove. 

Ho avuto il piacere di dialogare con Ernesto Morales. A fare da filo rosso nel nostro conversare la comune ispirazione a Rothko, con cui in questo momento Morales si trova a dialogare artisticamente proprio al Rothko Museum in Lettonia .

Serena Ribaudo: C’è una riflessione di Rothko che mi fa pensare a te: “L’evoluzione del lavoro di un pittore,  nel suo spostarsi da un punto all’altro nel tempo e nello spazio, ha come obiettivo la chiarezza. Ossia l’eliminazione di tutti gli ostacoli tra il pittore e l’idea, e tra l’ idea e l’osservatore”.
Qual è il tuo rapporto con l’ idea?

Ernesto Morales: Il mio rapporto con l’idea è dinamico, mutevole, e si sviluppa in maniera simile al modo in cui la natura si evolve costantemente. Non vedo l’idea come qualcosa di fisso o statico, ma come un’entità in continua trasformazione, che si manifesta in modo diverso quando interagisco con la tela. Ogni volta che inizio un nuovo lavoro, non parto con l’intenzione di rappresentare un concetto rigido o predeterminato, ma piuttosto lascio che l’idea di partenza sia guidata dall’intuizione, dalla materia pittorica, dal colore e dalla luce.
Ogni progetto espositivo così come ogni serie che porto avanti, inizia a germinare dallo studio su un tema, da un approfondimento su un argomento centrale che diventa cardine in quel momento del mio percorso artistico ma che si inserisce in una trama che coinvolge i miei studi e le mie ricerche passate e quelle attuali. Questo argomento dominante cerco di affrontarlo da punti di vista diversi, soprattutto da campi come la filosofia, la scienza e  la letteratura, in modo che l’approccio alla conoscenza sia dinamico, pratico, e certe volte contrastante, e dove la sperimentazione del mio pensiero possa permettere all’idea di cominciare a svelarsi come in filigrana, manifestandosi a un certo punto come una struttura multi strati che assimilo gradualmente nella mia interiorità.
L’idea quindi, intesa come il grande tema che accompagna una mia specifica ricerca, diventa generatrice di un movimento interiore che apre la strada alla esplorazione tecnica e formale. Avendo la mia pittura spesso un approccio aniconico, come nella serie Luce, oppure con pochi riferimenti al mondo animato, la preparazione della materia pittorica, il tipo di pigmenti utilizzati, la stesura del colore così come la scelta cromatica, risponde a questa necessità di materializzare l’idea, di farla diventare il processo che crea l’opera. In questo senso l’idea è per me un punto di partenza, una scintilla che si dilata nel tempo mentre dipingo, capace di aprire uno spazio sulla tela in cui può manifestarsi liberamente in tutta la sua complessità e ambiguità. Mi interessa per ciò creare un’esperienza visiva che vada a suggerire più che a affermare, che offra allo spettatore la possibilità di entrare in contatto con la propria percezione invece di osservare un concetto definito, che possa completare l’opera con la propria esperienza e immaginazione, intraprendendo il proprio viaggio attraverso il colore, la luce e le forme.

S. R. : Rothko: “Accetto la realtà materiale del mondo e la sostanza delle cose. Mi limito a estendere la portata di questa realtà, arricchendola di elementi tratti dall’esperienza dell’ambiente a noi più familiare. Insisto sulla parità dell’esistenza del mondo generato dalla mente umana e del mondo generato da Dio al di fuori di essa. Se ho esitato a usare oggetti quotidiani è perché mi rifiuto di mutilarne l’apparenza a beneficio di un’azione che non possono più svolgere, o per la quale forse non sono stati concepiti”. E ancora : “Non credo che sia mai stata questione di essere figurativi o astratti. Piuttosto si tratta di porre fine a questo silenzio e a questa solitudine, di dilatare il petto e tornare a respirare “.
Questa l’urgenza che sottende ai congegni artistici di Rothko, alla sua necessità intima e spirituale di dare la luce con libertà ad universi mai visti prima.
Per quello che concerne la tua opera, Ernesto, ti muovi in una geografia che abbraccia e l’oggetto e la realtà cosmica, il dato empiricamente percepito e l’astrazione; non c’è una assoluta evasione, una assoluta distillazione delle forme del mondo. La bellezza,  il dominio della pittura non posseggono mappe soffocanti. Il ductus, la struttura, la teologia della tua pittura la rinvengo nella luce, principio informatore, al contempo oggettivo e mitico.  Come dialogano in te questi due codici ? Con quanta sincerità, con quanto abbandono ci si può lasciare andare al principio demiurgico della creazione?

E. M.La tensione tra raffigurazione iconografica del mondo naturale e ciò che potrebbe intendersi come astrazione, anche se è un termine che sento non mi rispecchia, accompagna da sempre la mia ricerca artistica, e ciò si manifesta in un equilibrio dinamico che mi permette di esplorare i confini tra il mondo reale e quello immaginario o della percezione. Nelle mie opere, soprattutto nelle serie in cui si accennano elementi naturali, come nuvole o foreste, non sono interessato a una rappresentazione mimetica o descrittiva della realtà, ma piuttosto a un’indagine che riguarda ciò che sta oltre il visibile: nel mondo del pensiero, della memoria, del tempo, o meglio ancora della coscienza, e che si manifesta nell’opera in uno spazio sospeso, indefinito.
Concentrarmi sugli elementi propri del linguaggio della pittura, mi consente di esplorare il lato più intangibile della realtà: l’atmosfera cromatica, la luce, la vibrazione emotiva che certe tonalità di colore possono evocare. Mi interessa creare un dialogo tra ciò che è riconoscibile e ciò che rimane nascosto, tra il concreto e l’effimero. Un’esplorazione di quella linea sottile dove i due mondi si incontrano e si fondono rendendosi evidenti solo nel momento in cui viene osservata.
Attraverso l’uso di colori vibranti e di strati trasparenti, mi interessa che chi osserva possa sentirsi immerso in uno spazio che sfida le convenzioni della realtà. La luce diventa un protagonista silenzioso, capace di trasformare la percezione e di evocare emozioni diverse, dall’intimità alla meraviglia, influenzando le nostre esperienze quotidiane, e questo perché ciò che vediamo non è mai solo quello che si presenta davanti a noi; ma è anche un riflesso della nostra interiorità, delle nostre emozioni e delle nostre esperienze passate.
Quando penso al principio demiurgico della creazione, penso al potere intrinseco che si manifesta nel processo artistico, un potere che richiede abbandono e fiducia rispetto all’arte. Intesso in questo modo l’artista diventa un tramite tra un’idea primordiale e la materia, e per poter realmente raggiungere una creazione autentica è necessario abbandonarsi a questo principio con totale fiducia.
L’atto di creazione non è mai del tutto sotto il nostro controllo. Se lo fosse, l’opera rischierebbe di essere troppo razionale, troppo pianificata, e perderebbe quella scintilla che la rende viva e vibrante. Per questo credo che abbandonarsi al principio demiurgico significhi fidarsi del processo, accettare che l’arte possa prendere una direzione propria e inaspettata. Più ci si lascia andare, più l’opera riesce a superare i confini della nostra immaginazione iniziale, diventando qualcosa di autonomo.
C’è, però, una sottile linea tra l’abbandono e la perdita di controllo totale. L’artista deve mantenere un equilibrio delicato, essere parte attiva della creazione ma allo stesso tempo lasciare spazio all’imprevedibile, in modo che l’atto creativo diventi un dialogo tra l’intenzione e l’ignoto.
Infatti la mia pratica artistica riflette spesso una continua tensione tra due poli, tra l’invisibile e il visibile, tra il pensiero e la materia, tra la forma e l’idea, dove l’opera nel suo processo di realizzazione diventa un ponte tra mondi all’apparenza dualistici ma che nella realtà sono manifestazione di un unico principio cioè di una realtà non duale, quindi dell’Uno

S. R. – Sempre Rothko: “L’ arte è per me un evento dello spirito: solo nell’arte lo spirito trova una forma concreta e il senso della sua vivacità o della sua quiete”.
Per me l’arte è una condizione esistenziale imprescindibile -fatta di energia profonda e di sottile vulnerabilità, di una sensibilità mitica e non mediata – che consente allo spirito un’irruzione improvvisa e rituale nella realtà. Quale porta segreta, quale stanza trascendente dell’anima si apre ogni qualvolta dipingi?

E. M. Quando dipingo quindi ogni volta che mi trovo di fronte alla tela, vivo in un dialogo intimo e profondo con l’essenza stessa della creazione. C’è una relazione con il trascendente che emerge in quel preciso momento in cui il colore si mescola con la luce, e il gesto del pennello diventa quasi un atto spirituale. Non si tratta solo di rappresentare ciò che vedo, ma di esplorare l’ineffabile, di tradurre emozioni e sensazioni in forme e tonalità che possano parlare a chi osserva.
Il processo di creazione di un’opera si manifesta a volte come un mezzo attraverso il quale posso accedere a una dimensione più alta, come se fosse una sorta di meditazione visiva. Quando lavoro sulla luce, ad esempio, non mi limito a catturare la sua bellezza, ma cerco di comprenderne la natura profonda e la capacità di trasformare lo spazio. La luce diventa un veicolo per trasmettere emozioni e stati d’animo, un linguaggio che va oltre il visibile, è un potente simbolo del cambiamento e della trasformazione. La luce rappresenta l’interconnessione tra tutti gli elementi della natura, un modo per esplorare la nostra posizione nel grande disegno dell’universo. Osservare la luce da punti di vista diversi, partecipare alla creazione della luce grazie allo spostamento del nostro punto di osservazione sull’opera, ci aiuta a percepire un flusso di energia vitale che riflette il continuo divenire del nostro esistere. La luce come le nuvole ci parlano della transitorietà, ma anche della bellezza che si può trovare nell’impermanenza, intesa nel suo senso più profondo che comprende il non attaccamento al mondo materiale e alle proprie convinzioni, e accettare che tutto è mutevole, che anche il più piccolo degli elementi condiziona il più grande, in una rete di interconnessione e interdipendenza indefinita, infinita e inesauribile.
In questo senso la luce e il colore sono gli strumenti principali nella mia ricerca. La luce, soprattutto, gioca un ruolo fondamentale nella mia poetica perché è attraverso di essa che il mondo si rivela e si nasconde, che prende forma e allo stesso tempo sfuma. La luce trasforma ciò che tocca, e la mia pittura mira a rendere visibile questa trasformazione. Ogni pennellata, ogni strato di colore che aggiungo o sottraggo è parte di un processo continuo in cui ogni cosa è in trasformazione, quindi impermanente.

S. R. Una domanda che pongo sempre : cosa è la Bellezza? 

E. M. La bellezza per me è profondamente legata all’esperienza emotiva, intima, spirituale, e non si basa tanto sulla rappresentazione della realtà esterna o sulla perfezione formale anche se questa nel suo insieme può esserne parte, ma sulla capacità dell’arte di evocare un senso di trascendenza, creando in primis un legame empatico tra l’opera e lo spettatore, un incontro che coinvolge non solo l’occhio, ma l’intera esistenza e che può essere percepibile attraverso l’esperienza diretta dell’arte.
Questa ricerca dell’essenziale, attraverso la sintesi formale e l’uso di particolari pigmenti e colori, mette in evidenza l’obiettivo di creare un’esperienza che vada oltre il nostro rapporto con la percezione visiva quotidiana.
La Bellezza se si intende come esperienza, potrebbe essere immaginata per l’artista nella sua fase di creazione come quel momento in cui il gesto pittorico incontra un’idea, e  dove entrambi si manifestano in una sorta di congiunzione in cui tutto diventa Uno.

 S. R.- Prossimi progetti di Ernesto Morales? 

E. M. Il progetto espositivo “The beginning and the light” presente al Rothko Museum, in Lettonia, paese natale dell’artista Mark Rothko, che si terrà dal 24 novembre 2024 fino al 25 febbraio 2025, e che coinvolgerà più di quaranta opere la mia ultima ricerca incentrata sulla creazione e percezione della luce attraverso la pittura; per la primavera del 2025 sto preparando una grande mostra che si terrà nel Duomo di Prato dove le mie opere dialogheranno con le opere dei grandi maestri del Rinascimento italiano presenti nella loro raccolta, quindi artisti come Filippo Lippi, Donatello, Paolo Uccello, tra altri maestri storici, ma che include anche alcune opere di artisti contemporanei del Minimal Art americano degli 60 e 70. 

Serena Ribaudo

Serena Ribaudo vive tra Palermo e Firenze. È saggista, storico dell'arte. Si occupa dell'organizzazione e del coordinamento curatoriale, scientifico e tecnico di mostre d'arte contemporanea presso organismi pubblici e privati. Ha dedicato la sua attività più recente alla curatela di mostre ed eventi artistici all'interno di sedi storiche al fine di una maggiore valorizzazione del dialogo tra arte contemporanea e patrimonio artistico-architettonico del passato

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