Jim Lambie, Metal Box (Tangier), 2019. Courtesy Anton Kern Gallery, New York

Eppure, ti sto facendo studiare

In questo breve articolo Franco Broccardi – Dottore commercialista ed esperto in economia della cultura – e la sociologa Giovanna Romano – presidente dell’Ass. HUB C – intervengono sull’affaire Ferragni preso a pretesto per argomentare l’ipocrisia che spesso si nasconde nell’ “illuminato” mondo dell’arte e della cultura.

Eppur, ti sto facenn’ studia’. Così esclamò mio padre quando un giorno, con fare arrogante, misi in imbarazzo un signore che stava a fare i conti con lui nel piccolo studiolo di casa. Spavalda e boriosa, come tutti gli adolescenti, per quei pochi libri che mi avevano condotti al liceo, volli far comprendere all’ospite con aria di sufficienza che quel parlare e quei conti erano malfatti. Penso che non dimenticherò mai lo sguardo severo di mio padre, per cui provai una vergogna profonda, e quella frase, che ancor oggi mi tuona nella testa. In famiglia non c’erano dubbi: la conoscenza era fortemente connessa al buono. Andavano a braccetto per le vie del paese e tenevano per mano tutti, grandi e piccini. Conoscere voleva dire innanzitutto imparare a vedere, rendere l’occhio capace di una profonda contemplazione, uno sguardo lento e prolungato sulle persone e sulle cose per allenarsi a far bene e a fare meglio sia per sé e che per gli altri. Accogliere e comprendere, creare nuove e diverse relazioni e laddove le differenze si accentuavano, per non sfociare in inutili e dannose barbarie, si cercava di mitigare i conflitti, per tutelare soprattutto chi non era in possesso degli stessi strumenti. L’alterità giocava la sua parte.

“Ogni società deve giustificare le sue disuguaglianze (…). Ogni epoca produce, quindi, un insieme di narrative e di ideologie contraddittorie finalizzate a legittimare la diseguaglianza, quale è o quale dovrebbe essere, e a descrivere le regole economiche, sociali e politiche che permettono di strutturare l’insieme (…). La nuova narrazione dell’iperdisuguaglianza che si è affermata a partire dagli anni ottanta e novanta del Novecento è in parte il prodotto della storia e del disastro comunista ma è anche il frutto dell’ignoranza e della separazione dei saperi e ha fortemente contribuito ad alimentare il fatalismo delle attuali derive identitarie”1.

C’è una vicenda in questi giorni che ha riportato alla mente queste parole. Una vicenda in cui si sono volute rimarcare diseguaglianze, innalzati muri, frontiere e soglie, ipotizzato invasioni di campo e profanazioni di chiese che impediscono il normale processo di scambio. Il re è di nuovo nudo e quello che pensavamo essere come un campo, aperto e libero, in cui coltivare e crescere è in realtà un castello medievale, con fossati e ponti levatoi che qualche barbaro sta assediando e non si sa come ha, temporaneamente, occupato provocando una ondata reazionaria. Una vicenda ipocrita in cui il mondo della cultura, antirazzista e antifascista per definizione, ha lasciato qualche dubbio sul fatto che quelle definizioni alla prova dei fatti non sempre reggono.

Chiara Ferragni qualche giorno fa è andata agli Uffizi. Per lavoro giacché era lì per uno shooting fotografico. Per beneficenza, probabilmente, visto che era lì per la First Initiative Foundation, una no profit culturale di Hong Kong. Da allora non sembra parlarsi di altro anche se ce ne sarebbe. La visita della Ferragni ha squarciato un velo. Ha mostrato chiaramente qualcosa che in realtà si dice e denuncia da tempo, un virus che qualcuno aveva pensato avrebbe trovato il proprio vaccino con il Covid e che invece no: ha mostrato in tutta la sua volgarità e la miopia di un mondo fatto di “Eguali” che giudica e lascia fuori dalla sua porta i 20 milioni e mezzo che seguono l’imprenditrice cremonese. Un mondo a caccia di soldi per la propria sopravvivenza ma talmente snob da rifiutare sdegnato l’aiuto gratuito di una giovane e influente donna di successo che solo poche settimane fa in pochi giorni ha raccolto su GoFundMe più di 4 milioni di euro per l’ospedale San Raffaele.

Si è gridato allo scandalo ma è stato forse sottratto qualcosa? Al museo, ai suoi visitatori, ai followers degli Uffizi (che sono 1/41esimo di quelli della Ferragni)? Si è forse svilita la funzione dei musei che, gioverebbe ricordarlo, dovrebbero essere luoghi vivi capaci di interagire creare, accogliere più che tacciare, proliferare grazie alla diversità? La colpa della Ferragni sembra essere quella di Prometeo su cui incombe il compito assai gravoso di definire l’esatta frontiera tra il mondo degli Dei e quello degli uomini. Il titano, scaltro e astuto, ruba il fuoco agli Dei per regalarlo agli uomini. Il fuoco che rappresenta il potere della conoscenza e del progresso. La punizione è durissima: Prometeo viene imprigionato da Zeus su una montagna legato a una colonna diventando vittima dell’aquila di Zeus, che si ciba per giorni della sua carne. Una gogna non troppo diversa da quella imposta da certi tribunali mediatici.

La cultura quando non sa parlare alle persone bensì le offende perde la propria funzione e ci rende tutti più soli. Serve che ognuno di noi con i mezzi di cui dispone possa interiorizzarla e farne ciò che vuole, senza nuocere nessuno, per trarne il giusto beneficio, a partire dai giovani.Un giovane (appunto) parroco della provincia di Varese, Alberto Ravagnani, è diventato un influencer raccontando il vangelo sui social con un linguaggio diverso, leggibile dalla sua generazione senza rinunciare alla qualità del messaggio. Ecco, qualche giorno fa don Alberto ha criticato Fedez, che della Ferragni è marito, per una frase in una sua canzone che faceva riferimento alla pedofilia. Da lì ne è nato un dialogo tra sacerdote e rapper fatto di stories su Instagram su musica e religione. Per dire che pure la Chiesa quando vuole sa essere più dialogante e comprensiva della cultura.

Con questa vicenda ci siamo di fronte a qualcosa che ha ben poco a che fare con le premesse della cultura che anziché allargare lo sguardo, ci riporta alle parole di Baudrillard “chi vive dell’eguale muore dell’uguale”2 e ciò che ne scaturisce è una violenza verso l’esterno in cui il nemico, a seconda delle fasi, si trasforma in lupo o ratto.

[1] Thomas Piketty, Capitale e ideologia, La nave di Teseo, Milano, 2020

[2] Jean Baudrillard, La trasparenza del male. Saggio sui fenomeni estremi, SugarCo, Milano, 1991