Evviva. L’Italia vince a man bassa. E vince medaglie pesanti. Una scarica d’adrenalina era quel che ci voleva: il Pil avrà di certo una bella impennata. E però non tutto quel che luccica è oro colato. Non ci vuole Pasolini per sapere che progresso e sviluppo son cose differenti. Dalle nostre parti, in tempi di riscaldamento incontrollato, la civiltà dovrebbe scorrere sui colli con la portata dei torrenti ingrossati dai nevai; ciò non ostante, non siamo stati capaci di difendere il Parco dell’Etna o la Pineta dannunziana di Pescara dagli incendi; non siamo stati capaci di impedire ai corsari delle crociere di tornare in quella Venezia da cui li avevamo per un attimo banditi. E non è che all’estero se la passino meglio.
Proprio ieri mi è caduta sotto gli occhi, pubblicata da un’amica, una foto del Partenone assediato dal cemento: cemento, si difende l’architetto direttore dei lavori, necessario per mettere il sito in sicurezza; pare infatti che ogni anno un paio di centinaia di persone si rompano le gambe nella divina traversata. Peccato che il primo ad avvantaggiarsi delle “migliorie” sia stato Dior, per uno shooting di moda. Intendiamoci: adoro le sfilate. E so benissimo che i siti turistici devono essere protetti, accoglienti e magari redditizi. Ma davvero non è possibile farlo nel rispetto della natura e della storia?
Sì certo, avete ragione. Neppure la dry stone di Atene e i templi rifatti – volevo dire ripuliti – rispettano la storia. A furia di scavare in cerca di reperti, il terriccio, e le piante, già da tempo erano stati sfrattati. Né, come negli ottimi restauri, ci sono interventi irreversibili, su cui non si possa ritornare. Ma vuoi mettere arrampicarsi sull’Acropoli per guardare in faccia il cielo nelle notti di plenilunio quando il biglietto non si paga? Se tutto diventa facile, scorrevole, se le mete, anziché allontanarsi, si avvicinano, che senso ha cercare di raggiungerle? Il punto, ragazzi, è proprio questo: interventi del genere, e non parlo semplicemente dell’amato Partenone, relativizzano ogni forma di ascesi.
E lo stesso vale per la spettacolarizzazione delle Olimpiadi – complice anche la necessità, per ovvie e indiscutibili ragioni, di gareggiare a porte chiuse – dove a contare non è più lo sforzo fisico, ma il gesto teatrale, l’accordo sulla medaglia contesa o l’uncinetto antistress alla fine della gara. Ho insomma paura che, a furia di rendere tutto più facile, e di starcene seduti a contemplare l’ultimo show della Ferragni – per non parlare di Cicciolina, in formato estintore della concupiscenza, recentemente nei panni della Venere di Botticelli per uno spot di Pornhub – non ci rimanga più la forza di afferrare un secchio d’acqua per spegnere i falò. O, visto che siamo in vena di citazioni partenoniche, per trovare l’effetto bagnato tirando gavettoni sulle magliette dei vicini(e).