Yael Bartana riceve il premio. Foto Ciaula

Costruire la pace e tessere la felicità

Terza edizione del premio International Female Artists Summit alla Casa internazionale delle donne a Roma

I valori della quotidianeità, così come le donne stesse, sono emarginati da sempre. Va ricordato che tali valori sono un caposaldo della cultura delle donne, e l’importanza di questo premio dedicato alle sole artiste visive, che dopo la pandemia sta alla sua terza edizione, è nel contribuire al contrario ad affermare e sostenere questi fondamenti. 

In un mondo globalizzato e in una struttura sociale diffusa, dove il principio fondamentale è l’economia intesa come accumulazione e profitto, e dunque basato sulla competizione, non ci possono essere né  pace né felicità. Sono cose note, meno diffusa è la consapevolezza che per arginare gli effetti devastanti della competizione selvaggia e onnipresente, valorizzare la quotidianeità è una delle modalità fondamentali.

I valori quotidiani sono una tessitura di momenti individuali emotivi, condivisi in quei piccoli alvei sociali dove crescono i rapporti umani: la casa, il lavoro, il cibo, la famiglia, i relativi, gli affini, gli amici, il sesso, l’amore ecc. Sono quelle microstrutture dove l’importanza della comunicazione è fondamentale. E dove possono crescere le buone pratiche comunicative che fondano e producono la cultura della vita, la felicità stessa dell’essere umano.

La Casa Internazionale delle Donne di Roma da decenni lavora su queste tematiche, e da due anni sostiene questo premio per le sole artiste donne. 

Nella selezione annuale, prodotta da un comitato scientifico che quest’anno vede la presenza (oltre alla scrivente) di Laura Barbarini, Rosanna Cattaneo, Laura Cherubini, Francesca Morelli, Bianca Pedace, Paola Ugolini e Shara Wassermann, le artiste premiate sono: Yael Bartana, Bruna Esposito, Liyu Liu, Daniela MonaciElisa Montessori, Lucilla Ragni, Suzanne Santoro, Georgina Spengler e la giovane marocchina Khadija Jayi

I nomi anche quest’anno riflettono la scelta che poggia sul premiare il valore etico e l’innovazione della ricerca delle singole artiste, che può incontrare il riscontro del mercato oppure andare oltre, includendo anche artiste meno note al pubblico internazionale.

Per quelle che godono di chiara fama Yael Bartana rappresenta una scelta opportuna, perché al di là della notorietà dell’artista a livello internazionale, il suo lavoro e la sua ricerca rappresentano una via estremamente coraggiosa, in quanto contrasta apertamente il politically correct e il pensiero dominante, mettendo in luce al contrario il potere seduttivo e nascosto delle icone dell’immaginario collettivo, e la loro pericolosità nel costruire una subdola ipnosi di massa. L’artista lavora con i media della fotografia e del video, producendo corti di cui è regista, installazioni fotografiche e video realizzati con una grande conoscenza della cultura dei media.  Tra le sue opere che sono rivolte in particolare al superamento delle partigianerie conflittuali, spiccano lavori come Stalag, installazione fotografica di tre tableau vivant, interpretati dall’artista stessa, che veste una divisa sionista nella foto di sinistra, una nazista nella foto di destra, e un mix degli elementi dell’una e dell’altra nella foto in mezzo. In un momento come l’attuale affrontare certe tematiche diventa fondamentale, proprio per sconfiggere quella contrapposizione di affiliazioni che porta inevitabilmente conflitto. E a mio parere solo una donna forse riesce a scardinare questa struttura di appartenenza a sette culturali, chiamandosene fuori e trasformando l’emarginazione culturale da sempre subita, in una formidabile marcia in più.

Su questa strada ma in una versione più individuale che scava nelle emozioni del ricordo personale, Bruna Esposito  gioca e ricerca non solo sull’icona dell’immaginario collettivo ma anche sul linguaggio, e che offre determinati punti di incontro nella memoria e nella caratterizzazione culturale. Come nell’opera  (esempio eclatante) Paesaggio Mediterraneo, un’installazione, presentata al museo Madre, composta da un’Ape Piaggio, colma di piante mediterranee; immagine tipica di una condizione popolare e familiare nella quotidianeità dell’Italia del Sud.

Inoltre Elisa Montessori, una delle colonne portanti del femminismo romano, con la sua ricerca che, partendo addirittura dagli anni 50, scandaglia il rapporto tra donna e natura. Affrontando su questa strada inevitabilmente il confronto con l’arte e la filosofia orientale, che la porta a una raffinata minimalizzazione del segno e dell’immagine, come nell’opera Ponte rosso, presentata e raccontata dall’artista, nella giornata della premiazione.

Infine tra le artiste premiate voglio ricordare ancora Suzanne Santoro, anche lei attivista femminista che ha portato grandi risultati all’interno delle battaglie portate avanti dal movimento, e che concentra la sua ricerca anche e soprattutto sul tema della sessualità delle donne. Ma, ad esempio, anche sulla quotidianeità familiare, descritta nelle opere delle artiste donne del passato. Un ‘analisi, quest’ultima, molto interessante per un confronto emotivo che travalica lo spazio del tempo, come nell’opera The family del 1976.

Il premio vuole evolvere con l’obbiettivo di creare una rete tra tutte le organizzazioni e istituzioni che curano la ricerca artistica e la cultura delle donne. Con questo proposito per il prossimo anno il premio sarà in cooperazione con la Casa internazionale di una capitale europea, sempre con la volontà di tessere la felicità e di diffondere la cultura delle donne, ovvero della pace.