Come l’isola nel male

Mentre imperversano cicloni tropicali, fortunatamente si organizzano mostre di foto o di pittura.

Mai come in queste ore ho compulsato la pagina Facebook del mio sindaco. Con Colapesce che, per andare in pensione (quota mille e due) ha abbandonato la sua postazione sotto i flutti e Giove pluvio che ha scommesso con le parche di spegnere il Vulcano, desideravo sapere se l’amministrazione comunale avesse decretato, in ragione dell’emergenza idrogeologica, la chiusura delle scuole.
Ieri l’altro, durante l’alluvione di Catania, Ragusa era difatti zona rossa: peccato non sia caduto un solo goccio d’acqua. Oggi però la situazione è cambiata. Se mi accosto alla finestra non odo il trillo dei gabbiani ma il fischiare vorticoso, ritornante di un ciclone tropicale.

Dov’ero rimasto? Sì, la pagina Facebook del sindaco. La apro e mi trovo in cima un’immagine di Armando Rotoletti, apparsa sul Corriere della Sera. Rotoletti, che è un ottimo fotografo, da venerdì 29 ottobre al 7 novembre è a Ragusa con la mostra Morte in Sicilia, inserita nel programma culturale La Festa dei morti. Considerate le circostanze, non rimane che pregare. Magari dopo una lettura veloce dei commenti “sindacali”: “Tutto molto bello ma in questo momento vorremmo sapere quali provvedimenti ha preso per domani”; “Comu finiu cu l’allerta meteo?”; “Signor Sindaco romani nun vulissi cascari malato, ciuriemmu sti scoli!” (traduzione: domani non vorrei ammalarmi, chiudiamole ‘ste scuole); “Scusa amore mio, ti ricordo che ti sei dimenticato l’allerta meteo di domani”.

Adoro i social network, sono sempre capaci di tirarmi su il morale. Metti un Oliviero Toscani che ci insulta: “la Sicilia è la più grossa discarica di intelligenze che esista al mondo. In Sicilia trovi persone geniali, e sono tante, ma non riescono a emergere per colpa di un sistema fondato sul compromesso”. Ci sarebbe da ritirargli il passaporto. Peccato non esista un documento da bloccare. Esiste, tuttavia, un siciliano d’onore che non ha mai rinnegato il nostro sole – quando non piove, ma questo vale pure per Milano –: il mitico Vittorio. “Oliviero Toscani”, afferma senza mezzi termini, “la discarica ce l’ha nel cervello”. E ancora: “L’avanguardia della cultura italiana parte dalla Sicilia”. In piena crisi energetica, mentre la Cina si appresta a invadere Taiwan e il parlamento nostrano discute di tutele e… cosa mi sto scordando?

Certo, la pandemia di Covid olia la falce dell’oscuro mietitore, in Sicilia, anzi a Ragusa, presso la galleria soquadro dell’ottima Susanna, Giovanni Blanco e Domenico Grenci espongono… fiori. Avete capito bene, fiori: fiori isolati come su un tavolo chirurgico da Blanco, che adora sadicamente percuoterli, farli sanguinare, attendendo paziente, come accanto al letto di un malato terminale, che esalino l’ultimo respiro, sicché il colore – il giallo assoluto, il purissimo minio – è una goccia di sangue che celebra il trionfo della natura nel momento esatto in cui la cultura, coi suoi tristi artifici, prova a soffocarla. La pittura è finzione. Finzione che replicando il vero insinua che esso vale, che non è cioè un assurdo, come il volo di una foglia investita da un ciclone. E se Giovanni Blanco si accanisce su un fiore alla volta, Grenci, bolognese d’adozione, geograficamente più vicino ai campi di sterminio, ci costringe a osservare, come in una medievale gogna, o in una serie televisiva di barbari o vichinghi, una scena di suicidio collettivo, con la natura che si accende, si alza, sfrigola in un impetuoso incendio in cui le individualità si accartocciano comprimendosi nell’uno.

L’incendio del tempo, del tempo che tutto divora, che atterra cavallo e cavaliere, carta e colore, sino all’ultimo fiore. Intanto le giunture delle finestre di casa, sospinte da un vento maligno, stridono e gemono come ossa scricchiolanti. Cosa può insegnarci la pittura? Niente, oppure tutto. Proprio come l’isola nel male – volevo dire mare – in cui ho la fortuna di abitare che, quando non fa sorridere, e accade raramente, stilla lacrime di assurda commozione.

A sinistra: Giovanni Blanco, Voci prime #7, olio su tela, cm 50×35, 2021
a destra: Domenico Grenci, Natura morta, olio acrilico e bitume su tela, cm 46×33, 2021