La mostra è ampia, scientificamente accurata, necessaria e pure divertente: compresenza di qualità rara per una mostra di architettura. Inoltre, configura un calibrato incrocio con la contemporanea mostra al Maxxi di Roma, dedicata ad Aldo Rossi: uno dei maggiori architetti milanesi celebrato a Roma (lo scorso 3 maggio Rossi avrebbe compiuto novant’anni), uno dei maggiori architetti romani celebrato a Milano (è da poco trascorso il decennale dalla morte di Aymonino).
Fedeltà al tradimento si apre illustrando l’iniziale vocazione pittorica del giovane Aymonino: alcuni quadri di genere (paesaggio, ritratto, natura morta) mostrano un’adesione ai temi del realismo e al magistero di Guttuso, pittore ufficiale, allora, del Partito Comunista Italiano. Ma, come si usa dire nella famiglia Aymonino: “fiamma d’amore m’arse nel petto. Ero pittore e divenni architetto!”: l’apprendistato presso lo studio di Marcello Piacentini, prozio di Aymonino, rivela un’attitudine per l’architettura che allontanerà inesorabilmente il giovane Carlo dalla pittura. Questa tornerà prepotentemente soprattutto nella stagione finale del romano, anche se, lungo l’intera carriera di architetto, meravigliosi disegni, soprattutto a mano libera, riveleranno sempre la sua potente maestria pittorica.
Dopo questa overture, la mostra si divarica in due pareti, entrambe ordinate cronologicamente ma nettamente distinte per tema. La parete di sx racconta delle principali opere architettoniche, progettate e costruite a Matera, in Puglia, a Roma, a Milano, a Pesaro, a Venezia e altrove. Quartieri di edilizia residenziale ed edifici pubblici di vario genere: teatri, uffici, complessi scolastici, musei ecc., in un percorso di grande varietà e ricchezza. Quantità e qualità delle opere fanno di Carlo Aymonino uno dei protagonisti dell’architettura italiana del Novecento.
La parete di dx, invece, racconta “dell’intreccio di vite e passioni” che ha segnato la traiettoria di Aymonino. E lo fa mettendo in mostra il costante impegno politico e pubblico, la vita accademica e la vicenda biografica e privata, dell’architetto: attraverso una gran quantità di fotografie (di persone, situazioni e luoghi) e di disegni (di vario genere). Ovvero quel che, nel bel catalogo (Electa, 375 pp., tutto a colori e riccamente illustrato), viene parzialmente riassunto nella sezione Pensare per figure.
Sono due gli aspetti dell’operato di Aymonino che restano un pò tra le righe, e pour cause: la sua attività teorica, elaborata alla metà degli anni Sessanta e raccolta in libri ancora importanti come Il significato della città e Lo studio dei fenomeni urbani; e la sua attività di Assessore per gli interventi nel Centro Storico di Roma, svoltasi tra il 1981 e il 1985. Obbiettivamente, due aspetti difficili da illustrare in una mostra. La quale ha invece il merito di restituire alla scena un protagonista inspiegabilmente rifluito, negli ultimi decenni, nelle retrovie. Destino comune, peraltro, a tanta ottima e circostanziata architettura italiana, messa in ombra dalla pretesa attualità di tanta roboante architettura internazionale e dallo stato patologico della cultura nazionale, sempre più incapace di comprendere necessità, importanza e valore dell’architettura.
Carlo Aymonino. Fedeltà al tradimento
14 maggio – 22 agosto 2021
La Triennale di Milano