Immagine dal sito ufficiale EMBT © Mattia Pedrazzi

L’abbraccio spirituale della Chiesa di S. Giacomo Apostolo a Ferrara

Umanizzare lo spazio ecclesiastico e spiritualizzare lo spazio urbano: possiamo sinterizzare, con queste parole, il percorso intrapreso dall’architetto Benedetta Tagliabue con lo studio EMBT, in collaborazione con l’artista Enzo Cucchi e il liturgista Vincenzo Gatti, a seguito del concorso a invito, vinto nel 2012, indetto dalla Comunità Ecclesiastica Italiana. La nuova chiesa dell’Arginone, dedicata a San Giacomo Apostolo a Ferrara, è stata inaugurata sabato 16 ottobre.

Non si tratta semplicemente di un’opera muraria. Le esigenze della comunità, le potenzialità del contesto urbano e l’identità di quello naturale hanno definito, attraverso il progetto, una sorta di campo magnetico, che si è esteso a partire dal fulcro – fisico e spirituale – della nuova chiesa, la forma circolare della quale enfatizza la forza attrattiva rispetto al contesto. Si è dato vita, dunque, a un modello iconico di architettura contemporanea, che ha reso autentici i valori cristiani e ha favorito l’incontro sociale in un quartiere – l’Arginone – carente fino a questo momento di elementi connotanti.

Il lotto di progetto, a ovest rispetto al centro storico di Ferrara, è da questo diviso a causa della presenza del fiume; il nuovo ponte ne garantisce il collegamento. Il volume principale della chiesa s’impone al centro del lotto; una serie di blocchi volumetrici, che ospitano servizi educativi, associativi e ricreativi per la comunità, è annessa all’aula liturgica ma si estende verso il parco retrostante a ovest. In posizione antistante la chiesa, la piazza pubblica è pensata come estensione del sagrato e, tramite quest’ultimo, sembra invece diminuire la distanza fra lo spazio interno e il perimetro esterno del lotto, caratterizzato da cipressi che fanno da sfondo all’edificio: sagrato come estensione della natura. Gli elementi, dunque, dialogano fra loro: questa dinamicità, però, è raggiunta anche da un rapporto introspettivo fra dimensione umana e spirituale. Vi è, così, un equilibrio fluido e mai statico fra estroversione e introversione, fra tradizione e innovazione. Come afferma la Tagliabue, si tratta di una “una casa fra le case”, di “un’umile capanna fatta di canne e cemento grezzo”, ma in grado di distinguersi per tracciare un nuovo percorso, personale e collettivo, di ricerca spirituale.

Ogni elemento sembra riflettere questi dualismi oppositivi, a partire dall’aula liturgica a pianta centrale, che ricalca e, nello stesso tempo, contraddice la tradizione risalente ai templi monopteri romani o alle cappelle rinascimentali. Infatti, la geometria simmetrica del cerchio ha  rappresentato sempre la perfezione naturale e divina, tanto che sono state considerate, nel tempo, anche tutte le forme in esso inscrivibili – quadrato, esagono, ottagono, etc. In questo caso, però, il volume circolare, quasi risentendo delle forze attrattive del campo magnetico, si è deformato, spezzandosi in spicchi radianti di lunghezza e larghezza variabili, i quali, però, convergono tutti verso il centro, ove un cilindro di luce sovrasta l’altare, posto su un presbiterio anch’esso circolare. Una volta entrati in chiesa, dunque, si è invitati a volgere lo sguardo verso l’alto dove, inoltre, la copertura voltata agisce come una forza centripeta, tesa verso l’anello di luce: le volte, sviluppandosi a raggiera, definiscono esternamente un tetto scultoreo di falde in cemento armato, dal profilo ondulato, inclinate ciascuna secondo una propria direzione; internamente, invece, è ben visibile il ritmo della trama strutturale in legno lamellare, che unifica lo spazio.

Una grande croce orizzontale, composta da travi di recupero, posta al centro sull’altare, sovrasta lo spazio dispiegando le proprie braccia verso la comunità. Anche all’esterno, due direttrici laterali convergono nella piazza antistante, come a rappresentare un abbraccio simbolico spirituale. Ancora, potremmo definire il blocco delle attività culturali e ricreative come un ulteriore braccio che, tanto annesso alla chiesa quanto immerso fra gli alberi del parco retrostante, innesta una connessione orizzontale, piuttosto che verticale: il profilo della copertura, infatti, è visibilmente inferiore a quello della chiesa. Sebbene la forma organica dell’edificio conferisca leggerezza, contrapposta alla compattezza materica degli edifici storici ferraresi, è altrettanto vera la volontà di mantenere un rapporto con la tradizione, dato dall’uso del mattone faccia a vista nell’involucro esterno.

Rispetto al rapporto fra pavimentazione esterna – piana – e copertura della chiesa – ondulata -, sottolineiamo come la prima dialoghi con la città, conducendo allo spazio interno, mentre la seconda, orientando lo sguardo verso la luce naturale e spirituale, inviti di nuovo a uscir fuori, con uno spirito rinnovato. A incrementare lo spirito di sacralità e introspezione, vi è l’apparato iconografico dell’artista Enzo Cucchi: tra le opere presenti, monumentali croci materiche si plasmano lungo le pareti interne in calcestruzzo armato, conferendo unitarietà spaziale e costituendo un insieme organico, che intensifica la prospettiva verso l’altare centrale.

Possiamo così affermare come l’edificio sia in linea con le intenzioni originarie: la Tagliabue e l’intero team di lavoro si sono ispirati ai palloni aerostatici del Balloon Festival ferrarese. Questi, adagiandosi delicatamente sul suolo, aperti e permeabili, sono sempre pronti a spiccare il volo. La nuova chiesa dell’Arginone, dunque, è un organismo composito ed eterogeneo rispetto agli obiettivi, alle funzioni, ai rapporti fra le parti, all’uso dei materiali: si tratta – forse – di un edificio ibrido?

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