Tadao Ando, Rock Sculpture Garden. Image @ Haruo Mikami

Tadao Ando: parole rifondative per il futuro

Se Tadao Ando, architetto giapponese di fama mondiale, fosse chiamato a scrivere dieci testi, di che cosa parlerebbe? Rispondiamo alla domanda attraverso i suoi scritti, pubblicati sulla rivista «Domus», per la quale ha ricoperto il ruolo di guest editor nell’anno 2021.

Estrapolando dai testi alcune parole-chiave, notiamo innanzitutto come Ando si riferisca a concetti tanto astratti quanto concreti, considerandoli aspetti differenti della medesima realtà nella quale viviamo. Seguendo la cronologia dei testi, ho raggruppato tali concetti in due gruppi che, a loro volta, includono specifiche relazioni duali. Tale suddivisione non è in alcun modo esplicitata dall’architetto giapponese: si tratta del risultato della mia personale analisi critica dei testi, la quale mi ha condotto a scelte ben precise, focalizzando cioè l’attenzione su certe questioni piuttosto che su altre.

Il primo gruppo racchiude quegli elementi che Ando reputa all’origine dell’architettura e tramite i quali è possibile raggiungere strati conoscitivi del mondo sempre più profondi. In qualsiasi ambito, infatti, la conoscenza è la condizione necessaria per agire in sintonia con lo Zeitgeist. Dunque, le prime tre parole, luce, città e casa, risultano tutte collegate al quarto testo, Confrontarsi con la natura, che sintetizza quanto esplicitato nei primi tre scritti e che considero una sorta di spartiacque fra i due gruppi.

Perché un architetto invita a conoscere il mondo, a partire da un’entità impalpabile come la luce? Ando risponde dando alcune definizioni d quest’ultima, una delle quali la descrive come manifestazione astratta della natura, intesa, questa, come anima del mondo. La luce, perciò, sebbene invisibile, è in grado di rendere visibile e vivo quel che incontra, manifestandone l’anima.

Tuttavia, anche l’uomo e le sue azioni sono in grado di illuminare. Ce lo insegna De Carlo: solo uno spazio abitato, cioè esperito, usato e trasformato dall’uomo, diviene luogo. Tadao Ando, nel secondo testo sulla città, infatti, reputa necessario stimolare le pratiche creative e sociali degli uomini, attraverso i cosiddetti portagioielli, ovvero edifici – si riferisce soprattutto a quelli pubblici – in grado di custodire e manifestare la radiosità – la luce – degli uomini. Per raggiungere tale scopo, l’architettura non ha altra scelta se non quella di attivare un dialogo sintonico con i luoghi che è chiamata a trasformare, per emettere uno spirito che non accetta compromessi.

La città, dunque, come rete comunicativa fra portagioielli e natura; ma non solo. Sappiamo, infatti, dove risiede l’anima umana? Come Ando scrive nel terzo testo, è la casa ad essere coinvolta con la vita umana in modo profondo e diretto. E sebbene venga esplicitata l’incertezza che oggi avvolge il futuro della residenza, Ando sottolinea come la casa rimanga all’origine dell’architettura: essendo un microcosmo slegato dai valori arbitrari del capitalismo, è in grado di difendere lo Zeitgeist e di mostrare le problematiche sociali, permettendone, dunque, la conoscenza.

Come anticipato qualche riga sopra, il quarto testo sintetizza quanto enunciato nei primi tre e introduce alla seguente riflessione: noi architetti, dopo esserci resi consapevoli, come possiamo agire nel mondo e con quali strumenti? Analizziamo, così, il secondo gruppo di concetti, ricordando – come fa Ando – che qualsiasi cultura architettonica è sempre il prodotto di una specifica percezione della natura a livello sociale: è questa la base dello spazio costruito.

Il quinto testo, Modellare il paesaggio, si riferisce, in realtà, al ruolo del giardino nelle diverse epoche e nei diversi luoghi. Tralasciando questa probabile imprecisione lessicale, il messaggio dell’architetto è comunque chiaro: il progetto di un giardino – prima ancora di uno volumetrico – è sempre stato l’occasione per anticipare e alimentare un nuova cultura, trasmettendo i sogni di una generazione a quella successiva. Con l’esempio del Central Park, Ando dichiara come il giardino sia divenuto un intermediario materico fra natura e città. Inoltre, aggiunge che lo sviluppo sostenibile coincide con l’esatta coesistenza di natura e ambiente urbano.

Ma qual è lo strumento operativo alla base del disegno architettonico, di un giardino così come di un edificio? Certamente la geometria, che in greco significa “misurazione della terra”. Ando, attraverso alcuni esempi, spiega perché l’uomo si sia sempre confrontato con le regole geometriche, tanto assecondandole quanto contraddicendole: essendo dotato di senso e intelletto, ha sempre avuto bisogno di forme tangibili e di porre ordine sulla terra.

Ordine nello spazio, dunque, attraverso la geometria, ma anche nel tempo, attraverso i concetti di passato, presente e futuro, questi ultimi creazioni della sola coscienza umana: è difficile, infatti, immaginare Madre Natura dar vita al mondo con in mano un orologio. Non solo: ogni uomo considera il tempo a modo proprio. Per l’occidente è lineare, per l’oriente è ciclico, per Lina Bo Bardi è un “meraviglioso groviglio”. E come ne parla Tadao Ando? Lo fa attraverso il concetto di restauro, nel quale tradizione e modernità si fondono, annullando qualsiasi distanza temporale, per assicurare la salvaguardia delle città, ove sono stratificate le memorie collettive di diverse generazioni. Quest’incontro, sottolinea Ando, condurrà certamente a conflitti e resistenze, ma la natura, che dimora nell’eternità, saprà avvolgere qualsiasi relazione oppositiva, trasformandola in dialogo.

Infine, attraverso un breve resoconto storico dell’espressione artistica e architettonica, Ando sottolinea l’indissolubile appartenenza dell’architettura all’arte, perché entrambe chiamate ad affrontare l’ignoto, a spostare il limite più avanti rispetto alla realtà e ad anticipare, così, lo Zeitgeist. L’architetto afferma che, nell’arte e nell’architettura, le menti creative – direi, piuttosto, immaginative – affrontano domande che non hanno ancora risposta: è questo coraggio la speranza del nostro mondo.

Tadao Ando ha, così, esplorato l’origine e il futuro dell’architettura e, nel suo ultimo testo, Un futuro incerto, si chiede se esista un’idea condivisa tanto forte da divenire il seme di un’epoca migliore. E ci invita a prestare attenzione all’architettura invisibile, rimasta sulla carta: spesso, infatti, è questa che immagina ciò che la società non è ancora pronta ad accettare. Usando la metafora di De Carlo, i progetti chiusi nei cassetti – Ando riporta l’esempio di molti concorsi non vinti da Rem Koolhaas – sono come gli aquiloni in cielo: non scendono sulla terra, ma continuano incessantemente a muoversi, con la speranza di illuminare l’immaginazione degli uomini.