Viana Conti con Jane McAdam Freud e Christine Enrile Galleria C.E.Contemporary Milano mostra L'Autoritratto Impossibile

Autoritratto. Un destino

Jane McAdam Freud scompare a Londra. Il ricordo di Viana Conti.

Dead or Alive/Vivo o Morto, titolo del video sull’indecidibilità tra vita e morte, realizzato nei venti mesi di residenza all’interno del Museo Sigmund Freud di Londra, tra il 2005 e il 2007, diventa attuale oggi alla notizia della prematura scomparsa, a soli 64 anni, dell’autrice artista Jane McAdam Freud. Non è irrilevante, nella storia del pensiero psicoanalitico ed estetico occidentale, essere figlia del pittore Lucian Freud e dell’artista Katherine Margaret McAdam, nonché pronipote dello psicoanalista Sigmund Freud. Prima di scomparire, martedì 9 agosto, nella città natale di Londra – undici anni dopo suo padre – l’artista britannica ha voluto, con il suo compagno architetto Peter Hanson, soggiornare, per qualche tempo, nella Dimora-Museo della famiglia Freud a Příbor/Freiberg, oggi Repubblica Ceca, allestendovi una sua installazione. Era nata il 24 febbraio 1958 a Londra. 

AUTORITRATTO. A proposito dell’interrelata costellazione di famiglia, occorre dire che la madre irlandese Katherine Margaret McAdam, prende le distanze dal coniuge Lucian Freud, padre dei suoi quattro figli – ma impegnato in diverse relazioni extraconiugali – non esitando a elidere dal suo il cognome Freud. Separata dal padre dal 1966, all’età di soli otto anni, Jane McAdam riacquista il cognome Freud ventitré anni dopo, da artista ormai nota e pluripremiata, attuando un auspicato ricongiungimento alla figura paterna, che non manca di autodefinirsi, ironicamente, «il migliore dei padri assenti». Nato a Berlino nel 1922, Lucian Freud morirà a Londra nel 2011, pittore ormai celebre, affermato, insignito, tra l’altro, nel 1983, dell’onoreficenza Companion of Honour

Forse oggi, a proposito della relazione tra padre e figlia, artisti che si cercano e si escludono al tempo stesso, si potrebbe parlare di perturbante freudiano, di doppio legame batesoniano, di stadio dello specchio lacaniano. Ma sono ipotesi di una possibile griglia di lettura critica dell’opera d’arte.  È innegabile che Jane McAdam Freud viva il teatro familiare mettendo in campo, nella sua opera, le figure del desiderio, da una parte, e della paura del rifiuto, dall’altra. Momento significativo, sintomatico, del rapporto genealogico Jane/Lucian, è quello praticato dalla figlia nell’ideazione di un’opera fotografica intitolata US/NOI, 2011, nelle due versioni in bianco e nero e colori: sequenza duale di otto fotogrammi, risultante dall’incastro di parti del volto dell’una in parti del volto dell’altro, a ricostituire, verosimilmente, un’integrità fisionomica strutturata come un puzzle, che rinvia, però, a due soggetti distinti, a due identità. L’opera si presenta simultaneamente come ritratto del padre Lucian, nel suo divenire impercettibilmente figlia – come direbbero Deleuze-Guattari in “Mille Plateaux”, Les Éditions de Minuit 1980 – e come autoritratto della figlia Jane, nel suo divenire impercettibilmente padre. L’attività scultorea di Jane McAdam Freud è sottesa a un’impalpabile struttura arborescente, che tende a dissolversi in un pregnante lavoro manuale e antropologico, su un versante, onirico e proiettivo, su un altro. A partire da un pensiero, condiviso da Freud e Heidegger, sull’inscindibilità tra personale/impersonale, quotidiano/mentale, soggetto/maschera, ciò che risulta ontologicamente inafferrabile nell’opera di Jane McAdam Freud è proprio il suo autoritratto.

IDENTITÀ. Attraverso le sue opere, sculture in primis, bassorilievi, assemblage, fotografie, installazioni, lavori su carta, video, l’artista britannica non hai mai cessato di ricostruire una ricerca della propria identità. On Identity infatti è il titolo scelto da Giovanni Battista Martini per la personale realizzata il 7 maggio 2014 nella storica, internazionale, galleria di Genova M&R Martini & Ronchetti, in collaborazione con Christine Enrile, gallerista di C|E Contemporary, Milano, direttore artistico di Palazzo Tagliaferro, Andora, figura attiva tra i promotori dell’opera dell’artista. Come pre-apertura della  mostra di Genova viene promosso l’evento La famiglia Freud. Incontro con Jane McAdam Freud nella sala del Minor Consiglio di Palazzo Ducale, in collaborazione con la Fondazione Cultura e con International Association for Art and Psychology. Si presenta, in tale occasione, il volume “Intanto rimaniamo uniti. Lettere ai figli” di Sigmund Freud (Archinto, 2013). Una scelta questa che orienta, necessariamente, ma anche apertamente e senza particolari preclusioni, il campo di lettura nonché gli strumenti di analisi critica. Oggi, alla luce di recenti scoperte scientifiche, si potrebbe forse anche parlare di eredità neuroestetica, attuale campo di ricerca connessa alla relazione tra scienze cognitive ed espressione artistica: area teorizzata dal docente britannico Semir Zeki, coautore, estimatore e sodale dell’artista francese, di origine polacca, Balthus, fratello minore di un Pierre Klossowski filosofo, scrittore, studioso di teologia, ma anche dei testi del Marquis de Sade. A ben vedere, Tout se tient!  Negli effetti di rispecchiamento, di presa di distanza, a partire dalla complessa costellazione familiare, affiorano e prendono evidenza formale e virtuale le figure dell’identità e dell’alterità, della somiglianza, del doppio, del frammento, della copia speculare, del dispositivo di appropriazione, del percorso di individuazione e di appartenenza genealogica, psicologica, sociale, culturale, artistica. 

IL PERTURBANTE. La problematica dell’identità ritorna con la mostra, a cura della scrivente con Christine Enrile, dal titolo emblematico L’Autoritratto Impossibile – Freud’s Study Merge, riferibile al ciclo tematico Arte e Perturbante, presso la C|E Contemporary di Milano, 2017-2018. La mostra, trasformando con un’installazione simbolicamente evocativa, gli spazi della galleria nel Freud’s Study London, genera un dialogo fra passato e presente, fra presenza e assenza, creando una sovrapposizione significativa tra le antichità, collezionate da Sigmund Freud, e le opere realizzate dall’artista che qui danno vita a una catena di slittamenti in cui l’autoritratto si dà e si dilegua come “irretimento” fisico e metaforico del doppio. Il materiale utilizzato, messo in forma in ritratti e autoritratti, è, infatti, rete metallica da recinzioni, in filo d’acciaio zincato. Confrontandosi con il mitico Freud Museum London, l’artista  celebra un rituale d’identificazione, deponendo materialmente e riprendendole con la videocamera, le sue sculture sul leggendario lettino d’analisi freudiana – un divano avvolto da un tappeto persiano Shiraz – quasi per essere analizzate a loro volta. Gli autoritratti dell’artista, in disegno, pittura, rete metallica, calco in terracotta, taglio in pietra, fotografia, accostati ai ritratti del padre e del bisnonno, sembrano provenire da lontano e guardare lontano, calati nel silenzio del Tempo, affiorati dai meandri della memoria, inquietanti come dei revenants, immersi nell’aura sacrale della grande storia dell’uomo e della mente che li accompagna e li sovrasta. Oh…Ineluctable modality of visible…shut your eyes and see! (James Joyce, “Ulysses” 1920). L’artista, mettendo in opera la dinamica del gioco del rocchetto Fort/Da (S. Freud, “Al di là del principio di piacere” 1920) esprime iterativamente – in una sorta di coazione a ripetere – un mondo nel cui contesto affiorano e interagiscono l’anagramma, il motto di spirito, il dialogo tra sé e l’altro, vita e morte, estraneità e familiarità. Il contesto è, indubbiamente, quello del Perturbante freudiano. Al termine Perturbante Freud accenna, una prima volta, in “Totem e Tabù”  nel 1912-1913, riprendendolo, nel 1919, nel suo noto saggio Das Unheimliche.  Del settembre 2017 è infatti la mostra tematica svizzera Die Kunst und das Unheimliche, a cura della scrivente e del direttore del Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona Mara Folini. Espongono con l’artista britannica, nel Museo Comunale di Casa Serodine, in collaborazione con la Fondazione Monte Verità – con cui viene promosso un convegno/laboratorio – gli artisti Giuliano Galletta, Mauro Ghiglione, Chantal Michel, Maria Teresa Sartori. È ancora Mara Folini che promuove con l’Associazione Visarte-Ticino la Mostra-concorso Arte Ascona 2017-2018, sempre sulla tematica del rapporto tra Arte e Perturbante, rapporto che intende ricondurre alla modalità in cui l’artista esprime una condizione emozionale non solo ambivalente, ma addirittura antitetica. Il termine freudiano interviene nel contesto della mostra come dispositivo estetico analizzato nel suo dar adito a un paradosso cognitivo. In tedesco l’aggettivo sostantivato Heimlich, che significa familiare, intimo, si colora, nella sua perversione lessicale, del significato opposto Unheimlich, che significa estraneo, non familiare. Viene a crearsi così uno stato di frizione destabilizzante individuabile nell’apporto creativo di ogni artista e nella relativa soluzione estetica: è giusto la scintilla scatenante di quel cortocircuito interno e quella dissonanza cognitiva, che ingenerano, nell’opera, la condizione del turbamento. 

DONNA E TABÙ. Di particolare rilievo, nel percorso dell’artista Jane McAdam Freud, la residenza a Genova nell’articolata rassegna Woman as Taboo, criticamente introdotta dalla scrivente, allo Spazio 21 a cura di I.M.F.I. Istituto per le Materie e Forme Inconsapevoli a Genova-Quarto, ex Ospedale psichiatrico, dal 7 dicembre 2018 al 13 gennaio 2019, in collaborazione con lo Spazio Aperto di Palazzo Ducale, la Fondazione Cultura, l’Assessorato alla Cultura del Comune di Genova e la Direzione dell’ASL3 Liguria. Come pronipote del fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud e scultrice, figlia del pittore Lucian Freud, l’artista formula un progetto espositivo sulla “Donna” come “Tabù” il cui referente tematico scaturisce dalla relazione tra antropologia e psicoanalisi, rinviante al libro di Sigmund Freud “Totem und Tabu” del 1913 e, in parallelo, a quello omonimo, pubblicato dall’artista di segno antropologico-concettuale e poetico-scritturale Claudio Costa (Tirana,1942- Genova,1995) nel 1988. Dal 1986 fino alla morte Claudio Costa risiede, come arte-terapeuta, nel contesto dell’Istituto per le Materie e Forme Inconsapevoli di Genova-Quarto, in cui fonda nel 1992, con Slavich, che ne è il direttore dal 1978 al 1993, il Museattivo Claudio Costa. Dopo aver rapportato il suo linguaggio creativo, articolato sui livelli psicoanalitici di pre-conscio, conscio, inconscio, subconscio, alla sua personale dimensione genealogica, l’artista/ricercatrice/saggista londinese inaugura un percorso operativo che mette al centro della sua analisi la Madre come archetipo del femminile, diversamente dal “Totem e Tabù” di Claudio Costa in cui l’artista britannica percepisce principalmente la figura del Padre. Le opere esposte sono l’esito di un assemblaggio intuitivo-creativo-empatico di reperti oggettuali che la scultrice ha realizzato, da una parte, su pulsioni inconsce immediate e su attivazioni neuro-estetiche, e dall’altra, su mediazioni cognitive, aventi alla radice motivazioni, prevalentemente improntate alla sdefinizione della visione della Donna come Tabù, come subliminale tentazione alla trasgressione, alla pratica edipica dell’incesto. Basti pensare alle icone orrifiche di Medea e Medusa come perturbanti rappresentazioni della misoginia di una società patriarcale, educata e formata culturalmente in una modalità ambivalente che, sotto le forti pulsioni del desiderio, consce o inconsce, produce effetti di attrazione e repulsione, odio e amore, passione e violenza. 

La versatilità multimediale, la capacità compositiva manuale, la formazione psicoanalitica e antropologica, la sua identità di donna fortemente connotata e ascrivibile alle modalità contemporanee del Movimento femminista, consentono a Jane McAdam Freud di elaborare-assemblare-rigenerare non solo i materiali di un vissuto quotidiano – reperiti proprio in quel luogo e in quella forma in cui la patologia psichica convivrebbe con la psicoanalisi e la creatività – ma anche la dimensione immateriale di concetti e situazioni di genere. Non esita, con le sue opere, a discutere la parità dei diritti uomo-donna, gli stereotipi del femminile e del maschile, le attitudini sociali, le prevenzioni, le repressioni, le discriminazioni, relative a tematiche come la libido, la genitalità, la procreazione, la religione, l’emancipazione sessuale, la superstizione, l’aggressività, l’orgasmo, l’abuso, la visione negativa di pulsioni istintuali del corpo inteso come feticcio. «Mantenere in vita i miei sogni durante questa residenza – annota l’artista britannica – è stata un’ardua impresa. Questa ambientazione lascia affiorare il meglio e il peggio di noi. Vedo questa gabbia come una metafora del mio studio. La porta è aperta…ma con quale  intento uno la varca?»  Jane McAdam Freud conclude la sua riflessione “congedandosi” con i versi di William Butler Yeats tratti da “Aedh wishes for the Cloths of Heaven/Egli desidera il tessuto del Cielo”, 1899: «…i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi; cammina leggera, perché cammini sui miei sogni».

Jane McAdam Freud accanto a una sua scultura in terracotta che ritrae il volto del padre Lucian Freud

Jane McAdam Freud, Us/Noi, montaggio fotografico, in bianco e nero e a colori, che ritrae in puzzle il volto del padre e il proprio volto, 2012, cm. 84,1 x cm. 59,4, courtesy C|E Contemporary, Milano

Jane McAdam Freud, Ritratto del padre Lucian Freud

Jane McAdam Freud, Eye Outgreat-grandfather Sigmund Freud, coppia del ritratto in rete metallica in filo d’acciaio zincato, 2014

Jane McAdam Freud, Dead or Alive, frame video 24’55”, Freud Museum London, contesto Relative Relations, 2005

Jane McAdam Freud, Selfportrait/Heads,  2014, rete metallica in filo d’acciaio zincato, 2 elementi di cm. 43X38 x3 cad., Courtesy C|E Contemporary, Milano

Jane McAdam Freud al centro, tra il critico d’arte Viana Conti e la gallerista Christine Enrile, all’opening  della mostra  L’Autoritratto Impossibile – Freud’s Study Merge, del ciclo tematico Arte e Perturbante, C.E. Contemporary, Milano, 28 novembre  2017, copyright foto Alessio Delfino.