Gerhard Merz
Paola De Pietri. Senza titolo, 2022, ph Francesco Rucci, courtesy l'artista e Galleria Studio G7

Appunti sulla soglia del visibile. Paola De Pietri e la fotografia come ascolto del mondo

La fotografia di Paola De Pietri torna alla Galleria G7 di Bologna, trasformandosi in un diario etereo, immerso nel paesaggio e nelle sue vibrazioni più delicate. È una riflessione visiva sul tempo, sull’assenza e sulla superficie, vista come una soglia percettiva.

Esistono immagini che non si impongono al nostro guardare e che, in un certo qual modo, inseguono il nostro sguardo in un rarefatto silenzio, attendendo poi sia il tempo a far sì che queste affiorino? Un tempo composito di attraversamenti ripetuti, soste e piccoli ritorni. Le opere di Paola De Pietri si muovono secondo tale ritmo, quieto e laterale, dove la visione non cerca la forma definitiva delle cose, ma le loro oscillazioni impercettibili. Un lavoro di ‘appunti’ di sguardi che si offrono come frammenti di un diario sparpagliato, pagine visive annotate tra un cammino e l’altro, come ‘scritti’ nati per non essere mai pubblicati. Ma è proprio in questa natura provvisoria che si compone una delle riflessioni più lucide e profonde sulla fotografia contemporanea e sul nostro rapporto con il mondo naturale, come sottolinea l’artista emiliana.

Il lavoro presentato nella grande sala della Galleria Studio G7 di Bologna – sviluppato a partire dal 2016 fino agli scatti più recenti, datati 30 dicembre 2024 – non è costruito attorno ad una serie rigidamente tematica, ma si raccoglie quasi per forza di sedimentazione, come se lo sguardo stesso fosse un’argilla da cui far emergere, a distanza di anni, delle presenze. “Le immagini si susseguono componendo sequenze che rintracciano leggere variazioni di luce e sottili cambiamenti atmosferici; in una sorta di diario visivo, gli scatti si rivelano tracce di attimi, appunti […] capaci di cogliere sfumature e impressioni quasi inafferrabili”, come sottolineato nella comunicazione che accompagna ‘In superficie. Appunti sulla natura’. Disposte come in un flusso del tempo le fotografie non raccontano, ma si propongono come ombre che ritornano, tracce di piccoli accadimenti che la superficie del mondo lascia filtrare.

La dimensione della superficie, che già nel titolo appare con una sorta di ambigua consapevolezza si evidenzia quale vero campo d’indagine dell’azione fotografica, ciò non deve però confondere il lettore: non si tratta, invero, di uno strato bidimensionale da indagare con sguardo analitico, tutt’altro; si tratta, difatti, di una sorta di metauniverso poroso, una pelle del mondo su cui si depositano luce, vento, polline, distanza. Paola De Pietri la attraversa come chi cammina senza fretta, lasciando che la percezione tattile e sensoriale quella che Ella immagina come tattilità della percezione delle cose di natura, tramuti l’osservazione in esperienza. Il bianco e nero, in verità una scala di grigi immensa, diventa in questa mostra, una soglia di percezione esperita come forma di sospensione visiva e non un viraggio fotografico, tanto che, quando d’improvviso appare il colore, ciò è sorprendente, quasi fosse accento raro, elemento che rimanda ad un necessario equilibrio.

Non c’è orizzonte, scrive Alessandro Rabottini nel testo critico che accompagna la mostra: “l’obiettivo fotografico vi è immerso, quasi ne fosse imbevuto”​. A guardare, in effetti, ciò che manca in queste opere è proprio la distanza. La De Pietri trasforma la sua fotografia in prossimità assoluta, adesione. Non v’è ricerca di prospettiva, né monumentalità, né di paesaggismo tradizionalmente inteso. Lo spazio è saturato da elementi minimi, come ad esempio un campo, la neve, l’ombra di rami e fuscelli, che non vogliono essere altro da sé. In tal modo l’artista fotografa pare ribaltare il paradigma classico della veduta. Se per secoli, difatti, tanto la pittura quanto poi la fotografia hanno costruito il paesaggio come orizzonte e distanza, dinanzi a questo lavoro si è di fronte ad una natura abitata dal gesto minimo, quasi che nelle sue peregrinazioni di campagna, la De Pietri si fosse trasformata in un elemento tra gli altri di natura.

In ciò si intravvede inoltre una riflessione più ampia sul nostro rapporto con il mondo: non più spettatori del paesaggio, ma viventi tra altri viventi, secondo la prospettiva proposta da Bruno Latour, cui Rabottini fa riferimento. In questa prospettiva, la fotografia non è più mero strumento di rappresentazione della verità del reale, bensì una pratica di coesistenza. Ogni immagine traduce atti di presenza e di resa in un certo senso, senza alcuna imposizione, dichiarazione, pretesa, ‘semplicemente’ è. Così come lo è il camminare solitario dell’artista nei dintorni di Reggio Emilia, privo, in questo caso, di scopo documentario, trasmutandosi, piuttosto, in una pratica d’immersione, di residenza nel mondo.

La Galleria Studio G7 ha accolto pienamente tale prospettiva, riflettendo nell’allestimento tale etica dell’ascolto, con opere disposte lasciando che i vuoti parlino quanto i pieni, in una pluralità di formati che sono a volte piccoli, a volte ariosi, mai centrati. La nostra percezione è di entrare in un tempo disteso, non lineare, come se fossimo chiamati a sostare, a rallentare, a stare dentro l’immagine invece che guardarla semplicemente. Alla stessa maniera i dittici e i trittici suggeriscono un racconto che non si compie mai del tutto, come se mancasse sempre una parte, un margine, un’eco, sembra quasi di intuire una musicalità di pause, intervalli, sussurri. Ed è così che ogni opera diviene vibrante superficie, in cui l’assenza di figure umane è solo apparente. È proprio l’umano, nella sua forma più sottile, a rendere possibile la visione, secondo i prodromi di silente partecipazione, come sguardo che non possiede del tutto, ma accompagna.

‘In superficie. Appunti sulla natura’ si dispiega, dunque, quasi come un diario di visioni senza alcuna gerarchia, una sorta di intimo atlante di intuizioni raccolte nel tempo e condivise in una nuova stagione dell’osservazione, con domande e sguardi sospesi, accenni, gestuali allegorie per abitare la natura attorno a noi, quasi si trattasse, tuttavia, di abitare una lingua che non si domina, ma si continua a parlare per affetto e necessità. Un diario senza destinazione, in fondo – la riconoscibilità descrittiva, o come direbbero, la geolocalizzazione degli scatti di Paola De Pietri, è inservibile – eppur colmo di presenza.

Paola De Pietri. In superficie. Appunti sulla natura
Contributo critico Alessandro Rabottini
Galleria Studio G7
Via Val D’Aposa 4A, 40123, Bologna
02 Aprile – 21 Giugno 2025
051 2960371 | info@galleriastudiog7.it | www.galleriastudiog7.it
Ufficio stampa Sara Zolla | 346 8457982 | press@sarazolla.com

Azzurra Immediato

Azzurra Immediato, storica dell’arte, curatrice e critica, riveste il ruolo di Senior Art Curator per Arteprima Progetti. Collabora già con riviste quali ArtsLife, Photolux Magazine, Il Denaro, Ottica Contemporanea, Rivista Segno, ed alcuni quotidiani. Incentra la propria ricerca su progetti artistici multidisciplinari, con una particolare attenzione alla fotografia, alla videoarte ed alle arti performative, oltre alla pittura e alla scultura, è, inoltre, tra primi i firmatari del Manifesto Art Thinking, assegnando alla cultura ruolo fondamentale. Dal 2018 collabora con il Photolux Festival e, inoltre, nel 2020 ha intrapreso una collaborazione con lo Studio Jaumann, unendo il mondo dell’Arte con quello della Giurisprudenza e della Intellectual Property.