© Letizia Battaglia

A chilometro zero

Un irriverente e divertente editoriale su arte e potere che fa riflettere sull’odierna pratica messa a punto dai popolari influencer.

Neanche fossi un corrispondente di La7 alle elezioni americane, non ho nemmeno fatto in tempo a rendermi conto di come ferocemente divampasse la polemica intorno alle foto palermitane di Letizia Battaglia con bambine e Lamborghini che lo scontro era già giunto al suo drammatico epilogo: le dimissioni dell’artista dalla direzione della scuola di fotografia fondata da lei stessa e la rimozione degli scatti dalla campagna pubblicitaria della casa automobilistica italo-tedesca.

Una riflessione però voglio condividerla, non so se più vera o banale: quando fai dell’arte un prodotto, non puoi pretendere di averne il controllo. Esso appartiene al mercato, che non risponde ad altri che a sé stesso. Del resto, come diceva mio nonno, cu prattica cco zuoppo, all’annu zuppichia; chi si accompagna allo sciancato, presto o tardi inizia a claudicare.

La breve escursione tra il machista e il pedopornografico – così almeno è stata letta – della Battaglia per le strade della Sicilia non è infatti che l’ultimo atto di una pratica di asservimento dell’arte (o di ciò che si pretende tale) a principi a essa estranei cui siamo tristemente assuefatti. Quando, per dirne una, Chiara Ferragni posta un selfie con la Venere di Botticelli sullo sfondo, cos’altro fa se non sfruttare in modo indebito l’aura del dipinto? Che cosa distingue il suo gesto – nella dinamica, s’intende, non nella sostanza o negli effetti – dall’accostamento tra una mascolinità repressa e un’infanzia sfacciata?

Se così stanno le cose, coi milleuno capolavori italici da pubblicare sui social, e (parlo per me) con qualche ritocchino, abbiamo tutti un futuro da influencer assicurato. Dicono si guadagni bene. Abbastanza, ci auguriamo, dal risparmiarci la candidatura a gestori della miglior località a chilometro zero per turisti pervertiti.