Artecinema 26° edizione Teatro San Carlo, Inaugurazione 15 ottobre 2021 ph Francesco Squeglia

26ª edizione del Festival ‘Artecinema’, corti che fanno circuito: L’affaire Banksy presentato nel tempio lirico di Napoli

Nei giorni scorsi, a Napoli nel tempio dell’arte lirica che incardina un’istituzione storica quale il Teatro San Carlo, nell’immaginario collettivo della Partenope che fu simbolo del fasto dei Borbone, è stata inaugurata la 26esima edizione del Festival ‘Artecinema’, a cura dello Studio Trisorio. Manifestazione che a Napoli possiede una riconosciuta tradizione nel pubblico impaziente di presenziare a uno di quei rendez-vous che animano il tessuto della città di dialogo, scambio di sguardi, respiro culturale.

Una formula di successo abbastanza consolidata che gode, in sostanza, di tre aspetti: in primis, l’estrema cura nella scelta di contenuti video in programma, molto spesso introvabili altrove, con una rilevanza internazionale; in secondo luogo, la gratuità assoluta degli eventi, perché è innegabile che il prezzo del biglietto di spettacolo possa a volte costituire un limite per chi vorrebbe accedere alla cultura nel paradosso di un territorio riluttante a programmare un’offerta degna in minima parte del nome di questa città all’estero. E, infine, il binomio che inverdisce e consolida il segreto di questo evento: l’intermedialità. Si va a teatro per vedere dei documentari cinematografici sull’arte contemporanea (inglobando sotto questa definizione anche la fotografia, il design e l’architettura). Tre salti di genere. Tre scatole cinesi da aprire. Tre forme strutturali che si rincorrono e si interrogano sulla possibilità di offrire al pubblico di spettatori tre medium in una sola esperienza, in un unico pass. L’arte e il cinema insieme, erogato attraverso la visione in presenza, sebbene lo sforzo in più dell’organizzazione come lo scorso anno abbia garantito (nonostante il rientro della capienza dei teatri e cinema al 100% dal dpcm dell’11 ottobre scorso) lo streaming dei corti presentati sulla piattaforma digitale online.artecinema.com. Dunque, cinema – presentato anche a teatro (e in un Real teatro, il San Carlo, che vanta il primato più antico d’Europa, con 41 anni di anticipo sulla Scala di Milano e 55 sulla Fenice di Venezia) – fruibile da casa – per raccontare artisti noti sulla scena mondiale, o far sì che loro stessi si raccontino davanti alla telecamera. 

Lecita la domanda che suscita la visione del corto di apertura “Sguardo nomade” diretto da Fiamma Marchione e dedicato ad un’artista guerriera di recente scomparsa, sua madre Marisa Albanese: perché l’arte, quando è raccontata sullo schermo, esercita un potere di fascinazione magnetico? Per l’assoluta continuità del messaggio veicolato dai due codici. Perché il cinema, prodotto per eccellenza del linguaggio audiovisivo, permette – al pari dell’opera pittorica, trionfo del figurativo – di trascendere il tempo, aspirando a superarlo, infrangendo la teca del tempo presente e sconfinando sulla linea dell’immortalità. Osservare un’opera come si osserva la sequenza di un film, entrare nel flusso di una pennellata di colore così come lo sguardo penetra la visione del reale. Un reale che, però, resta imbrigliato allo schermo nelle forme dell’immaginario. Se, possiamo dire, che arte e cinema si trovino sulla stessa traiettoria procedurale e/o formale, stupisce che l’inaugurazione di un Festival internazionale sull’arte contemporanea (questo il sottotitolo di ‘Artecinema’) sia proseguita con l’elogio all’artista più quotato nel mercato dell’arte ma, allo stesso tempo, più ricercato dalle autorità di giustizia.

Banksy Most Wanted, Stati Uniti, 2020, di Aurélia Rouvier e Seamus Haley

“Banksy Most Wanted” (Stati Uniti, 2021) è il titolo del film diretto da Aurélia Rouvier, giornalista del magazine Les Inrockruptibles, e Seamus Haley, montatore cinematografico. Questo loro primo lungometraggio non racconta tanto l’evoluzione crono-artistica del personaggio di Bristol, ma l’hype del fenomeno Banksy vissuto dagli occhi dell’opinione pubblica e della stampa internazionale. Come il gatto che gioca al topo. L’artista che entra nel mondo dell’arte e diventa multimilionario sottraendosi ai suoi modelli di comunicazione, anzi dichiarando guerra aperta ai sostenitori di questo establishment chiuso: i musei, circoli imperialisti, e i loro servitori, galleristi e acquirenti d’arte. Già in un altro film documentario uscito nel 2020, disponibile su Prime Video, “Banksy – L’arte della ribellione”, di Elio Espana, era stato raccontato l’evento-happening che ha segnato, in via irreversibile, l’ingresso del nome di Banksy nei libri di storia: la performance che andò in scena nell’ottobre 2018 nella più nobile istituzione del mondo dell’arte, la casa d’aste londinese Sotheby’s. 

Un happening programmato: non appena fu battuta all’asta per oltre un milione di sterline la rivisitazione dell’opera murale ‘Girl with Balloon’ (Ragazza con palloncino, il cui stencil originale è allocato lungo le scale del Waterloo Bridge a Londra dal 2002), la stampa finì per semidistruggersi fuoriuscendo in sottili striscioline dalla cornice. L’evento distruttivo oggi, però, ha moltiplicato per sei il suo valore e condotto i detrattori di Banksy a bollarlo come un mero speculatore del marketing d’arte. Per non parlare di quanto sia contradditorio, eppure legittimo, che si possa effettivamente vendere, se si vuole, un’opera consacrata allo spazio pubblico. Pur compiendo il crimine etico di astrarla dal suo contesto d’origine è, difatti, del tutto legale. E ancor più strano che, in occasione della presentazione del documentario, i due registi abbiano omesso che il risultato di quell’opera per metà tritata, poi rinominata da Banksy stesso ‘Love is in the bin’ (L’amore è nel cestino), era ritornata da Sotheby’s e venduta a un collezionista privato esattamente il giorno prima, il 14 ottobre scorso. Un altro clin d’oeil del geniale affaire Banksy. 

Ma, in fin dei conti, eravamo al San Carlo, l’istituzione dove si accoglie con il tappeto rosso l’artista underground più celebre al mondo, mentre all’infuori di quelle mura le autorità puniscono i suoi simili con l’accusa di graffitari vandalici ed eversivi. Che un giorno uno dei writer beccati a ‘deturpare’ i muri non sia proprio Banksy? Che le amministrazioni comunali si decidano a comprendere che la street art – la presenza di un Banksy a Napoli (la Madonna con la Pistola, in via dei Tribunali) – stia riqualificando e arricchendo la vis turistica di questa città mediterranea? Chissà se – ma sicuramente non – lo sapeva colui che nel 2010 cancellò l’altro Banksy di Napoli (una rilettura dell’Estasi della Beata Ludovica Albertoni del Bernini con una cocacola e un panino di McDonald’s, apparsa in via Benedetto Croce, sulla facciata opposta al Monastero di Santa Chiara) che quello stencil poteva rivenderselo a più di 100mila dollari?

Coraggiosa, quindi, la scelta di Laura Trisorio, madrina della kermesse, a cui va riconosciuto il merito di portare a Napoli corti che fanno circuito, lasciando che anche alle opere emerse nelle nostre gallerie urbane sia riconosciuto il valore intrinseco di creazione, se è vero che – come lei dice – l’arte resta “l’unica luce per riuscire a scorgere in questi tempi ancora bui la bellezza del mondo che ci circonda”. E le sue sensazionali, viventi, secolari contraddizioni.