Venezia salva

Questo trasloco non s’ha da fare. L’Uomo vitruviano di Leonardo deve restare in Italia. Le opere non sono mica pacchi postali, da sbattere qua e là. Sino a ieri lo avrei scritto senza esitare. Oggi, dopo aver visto i vaporetti incagliati tra i canali e le piazze di Venezia trasformate in laguna ho pensato che sì, hanno fatto bene i giudici a decidere l’espatrio. Anzi, perché non restituiamo alla Francia i cavalli di San Marco? Lì staranno di certo più al sicuro. Non è per questa ragione che i marmi del Partenone dimorano a Londra e non in Grecia? Ricordo che quando, tempo fa, i greci ne chiesero a gran voce la restituzione, dalla National Gallery fecero sapere che ad Atene non c’era un posto adatto ad ospitarli. Detto fatto, i greci costruirono a rate – devono ancora pagarle – un faraonico museo, ma gli inglesi, per loro conto, ribatterono che quelle opere non erano proprietà della Grecia: soggiornando a Londra, erano state viste, studiate, amate dagli inglesi. Erano entrate a far parte della storia della nazione ed erano, perciò, tanto inglesi quanto greche. Anche Venezia è di tutti, e del mare: quel mare che, in una notte di tempesta, ha litigato con la Sposa. E sin qui nulla di strano. La vera sorpresa è l’assenza, o il nascondersi dietro patetiche scuse, di quanti sino a ieri l’altro facevano cenno ai giganti del mare di coprire con la loro ombra mostruosa il campanile di San Marco, o scambiavano per promozione del territorio l’ultimo ponte alla moda, o svendevano un patrimonio inestimabile per quattro bancarelle colme di ninnoli orientali. E dire che si tratta di gente interessata, sensibile all’odore dei quattrini! Non sapete più badare a Venezia? Vendetela, che so, ai cinesi, forse i soli che hanno i mezzi per spostare le sue scarne palafitte, come le statue di Abu Simbel, in un posto più sicuro. O magari, dal momento che i danesi di mollare la Groenlandia non ne vogliono sapere, datela in leasing a Trump, o agli olandesi, che con le piene dell’Oceano un po’ di pratica l’avranno pur fatta. Lasciare che le onde la sommergano, come sognavano romanticamente i futuristi, in tempi come i nostri è uno spreco fuori luogo.