Ironico, intraprendente e assolutamente imprevedibile – caratteri che contraddistinguono il suo stesso ideatore – è Cantica Tevere Expo, ultimissimo progetto realizzato dall’artista Iginio De Luca, conosciuto soprattutto per i molteplici interventi urbani e raid notturni conseguiti nella capitale con l’obiettivo di scardinare luoghi comuni, certezze acquisite, infrangere i codici della formalizzazione espressiva ed invitare lo spettatore e l’ambiente circostante ad interagire con l’opera stessa.
A più di un mese di distanza dall’inizio dell’affissione dei suoi lavori tra le maggiori vie di transito urbano abbiamo deciso di parlarne con l’artista Iginio De Luca per capirne motivazioni ed esiti.
Maila Buglioni: «Dopo tanti blitz che hanno preso di mira differenti settori della società – dal mondo della politica a quello della religione, senza omettere quello artistico – oggi ritorni “in piazza” con il progetto “Tevere Expo”, vincitore del bando Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere. Il progetto, consistente in una serie di installazioni o affissioni inserite nella città come fossero semplici manifesti pubblicitari, è una sottile denuncia ed un invito alla sensibilizzazione dei cittadini romani nei confronti di un problema emergenziale come quello dell’inquinamento del “biondo” fiume Tevere. Raccontaci come e quando è maturata l’idea di “Tevere Expo”.»
Iginio De Luca: «Da molto tempo ormai e in periodi diversi dell’anno, a piedi o in bicicletta, scendo giù nelle viscere melmose di Roma e, oltrepassando in apnea l’inferno olfattivo delle scale, scorro parallelo al Tevere, quasi fossi un Jep Gambardella qualunque, assorto nei pensieri che sbattono sugli argini da sponda a sponda fino a rimbalzare come i sassolini a filo d’acqua. In queste derive fluviali percepisco magneticamente un richiamo visivo che mi attrae ancora più in basso, negli abissi di un tempo sospeso, onirico. Sono le reliquie urbane che riemergono da singolari gironi danteschi, prodotti industriali e domestici ormai inservibili, affogati in un naufragio all’inizio privato e poi pubblico che spontaneamente fotografo senza nessun disegno progettuale o intenzione strategica. L’idea di far diventare questa condizione esistenziale un lavoro concreto da esportare all’estero è nata nell’autunno scorso, quando con “Cantica21” pensai che sarebbe stato interessante far esondare metaforicamente il Tevere nelle strade cittadine con un’affissione pubblica per poi dirottarne il suo fluire verso un’altra capitale straniera, quasi che le ramificazioni di un corso d’acqua romano potessero espandersi a tal punto da sorpassare ogni dogana, limite invalicabile o confine patriottico. “Tevere Expo” vuole rendere visibile l’oscuro, riesumare l’anima inconscia del fiume e, di riflesso, anche la nostra, quella clandestina data per scordata e mai condonata e nasce come forma di denuncia poetica che reclamizza il lato più visionario del Tevere, la sua misteriosa e inquietante bellezza. Le questioni ambientali di degrado e di abbandono, le urgenze ecologiste centrali e vitali per una grande capitale europea, in questo progetto sono marginali, diventano pretesti, didascalie escatologiche per una riflessione grandangolare altamente simbolica che pone questioni profonde sul nostro io sommerso, l’abisso emozionale che spesso giace nel fondale soggettivo del quotidiano. Oggi ritorno in “piazza” provenendo da un’altra via, meno frontale ed esplicita, meno provocatoria e dichiarata; oggi mi concedo la spontaneità della riflessione crepuscolare, malinconica, a tratti anche drammatica. I miei non sono più blitz ma azioni urbane poetiche.»
M.B.: «Scarti, rifiuti e oggetti smarriti sono i protagonisti di questa azione installativa così da innalzarli ad opera d’arte e oltrepassando quel sottile confine che esiste tra sfera privata a sfera pubblicA, da “cosa” affettiva a “cosa” collettiva. Un passaggio spesso dimenticato ma da cui si concretizza la deturpazione del paesaggio urbano, naturale e fluviale. Ed è proprio in questo momento che prende avvio la tua operazione di riappropriazione di beni propri ma comuni che, divenuti rifiuti urbani, si prestano alla denuncia sociale e di degrado cittadino: un invito rivolto al pubblico di massa, al semplice passante, a riflettere sul proprio agire, sui propri gesti che, nel corso di decenni, ha prodotto quell’abbondono, quella discarica che oggi, ahimè, osserviamo in alcuni tratti del Tevere. Immagini fotografiche torbide, sfocate ma pittoriche investite di una serie di significati che acquistano carattere evocativo e alternativo rispetto al gesto dell’abbandono…ma perché oggi vuoi far meditare su tale questione?»
I.D.L.: «La bicicletta a noleggio, il ventilatore rotto, la coperta a fiori, il computer sventrato, il cerchione della macchina, prima di essere rifiuti sono stati oggetti a tempo determinato qui sopra in città; un’esistenza circostanziata, prestabilita e funzionale che poco campo lasciava all’immaginazione, all’evasione svincolata da un opportunismo umano troppo interessato. Poi c’è stata la disfatta e il fallimento, la caduta e la stagnazione, l’oggetto entra in un’altra dimensione e, trasfigurato dopo anni di apnea, riemerge, varca il confine dell’acqua per quello dell’aria. E’ una sublimazione alchemica che, paradossalmente, nell’abbandono e nella mancanza di cura trova riscatto estetico e spirituale, libertà di rinascere dall’abisso che ci guarda dentro, come dice Nietzsche. Le 15 immagini sono 15 autoritratti, 15 spazi di meditazione, 15 fusioni identitarie nella contemplazione animistica delle cose: io sono il piumone, la lattina, la busta di plastica, io sono adagiato sul letto del fiume insieme a loro, come Ofelia nel dipinto di Millais. Il lavoro diventa specchio etico e visivo, pretesto allegorico a valenza universale per riflettere e riflettersi negli estremi opposti dell’esistenza, mistici e pratici, lirici e prosaici. Non c’è condivisione senza la dimensione estetica, la forma simbolica e naturalmente aperta del darsi del mondo. Stampate in grandi formati su carta blue back a diffusione di massa, le fotografie tonali, ovattate nei passaggi cromatici, sponsorizzano l’inutile, promuovono in chiave tragica e romantica il frammento, un elogio decadente all’inservibile. Un’urgenza visiva per una condivisione pubblica di un problema. Richiamando Rancière, Claire Bishop concorda che l’estetica non necessita di essere sacrificata sull’altare del cambiamento sociale, perché contiene già sempre questa promessa di emancipazione; l’arte trova la bellezza nei luoghi più impensabili e distanti, nella difficoltà l’incipit della soluzione, insieme alla condanna, la salvezza.»
M.B.: «Il progetto – consistente in 15 manifesti fotografici hanno invaso 15 luoghi di Roma dislocati in punti nevralgici della città, dal centro alla periferia, dal 26 aprile 2021 per due settimane – si è oggi concluso ma cosa e quali sono stati i risultati?»
I.D.L.: «I risultati più belli, come sempre, sono quelli che non ti aspetti, i regali del caso e dell’imprevisto; a cominciare dall’affissione non più autogestita nell’azione notturna e clandestina di un blitz, ma affidata a una ditta specializzata che professionalmente e alla luce del sole ha allestito per tutta Roma una mia “personale”, trasformandomi da autore a fruitore, spettatore di me stesso, passante tra i passanti nel crocevia sonoro del viavai cittadino. Un vortice febbrile e incontrollato che ingloba le immagini in un turbine caleidoscopico di odori, clamori e colori; il Tevere silenzioso fronteggia il caos, si nutre per contrasto di esso rilanciando poeticamente, con mio grande stupore, questo incontro di ossimori. Un lavoro finanziato dal Ministero della Cultura e degli Affari Esteri che evade gli stessi Palazzi e i luoghi deputati all’arte e che democraticamente si espande, irrigando territori inconsueti, alternativi a codici comunicativi blindati. Sconnessioni semantiche, slittamenti mediatici per finti slogan visivi sospesi, taciturni, metafisici: i manifesti inceppano orizzonti pubblicitari, aspettative consumistiche, sono fratture estetiche, nuclei immaginari che deludono ossessioni promozionali. Non vendono, non offrono, non scontano, domandano.»
M.B.: «Oggi – dopo l’arrivo del Covid-19, il lock-down e l’osservazione della natura e degli effetti delle nostre azioni sul mondo naturale tutto – sembra che la popolazione di massa sia più attenta all’ambiente, all’inquinamento, etc. Tevere Expo, infatti, nasce appunto dopo questo periodo di stasi. Pensi che con questo progetto tu sia riuscito a sensibilizzare i romani nei confronti di questa tematica/problematica?»
I.D.L.: «Assolutamente no, in questo senso l’installazione urbana può agire come detonatore mentale a rilascio graduale e cadenzato, meno come persuasore ecologico immediato, etico e pratico. In questa realtà tuttora fluida e inarrestabile, difficile da codificare, questo lavoro è una sedimentazione creativa, una risposta involontaria e inevitabile di quello che è uno smottamento globale economico, etico e biografico oltre che pandemico, in cui tempo e spazio si congelano in apnee infinite, sospese. Come gli iceberg, la maggior parte degli oggetti è sommersa nell’acqua e una minima percentuale affiora in superficie; anche noi adesso riemergiamo, torniamo gradualmente all’aria, al respiro. Un principio dinamico ascensionale nella stasi dei mesi precedenti, un moto a luogo metaforico e fisico verso l’esterno in cui, titubanti e impauriti, facciamo capolino, ci affacciamo curiosi e scettici sul davanzale della vita pubblica, siamo aggettanti con riserva, come le immagini dei manifesti aggrappati ai cartelloni pubblicitari. Il futuro è ancora da scrivere e sarà il frutto di una trasformazione viscerale prima che razionale e strategica. L’arte, come ha sempre fatto, sublimerà ogni aspetto pragmatico, ogni quotidiano impedimento indicando, tra problemi e difficoltà, poetiche uscite di emergenza e visionarie salvezze. Di questo volevo parlare, molto meno dell’inquinamento ambientale e di un’amministrazione capitolina che ogni giorno arranca e affoga nel pantano della politica, nei goffi approdi della burocrazia, impotente nell’educare al rispetto, alla cultura e alla tutela del bene pubblico.»
M.B.: «Credi che queste immagini fotografiche siano state capaci di farsi osservare, di distrarre il passante ed invitarlo a riflettere su ciò che quotidianamente ognuno di noi è artefice?»
I.D.L.: «Credo di si; le immagini assolute e fuori luogo, spogliate di ogni appiglio verbale e perdenti nella seduzione subliminale e pubblicitaria acquistano, per sottrazione, capacità magnetiche e ipnotiche: è in quel momento, nel bilico di un messaggio ambiguo, polivalente e ramificato che si genera uno spazio di confine, una zona franca di senso, un disorientamento del giudizio. Un sabotaggio del pensiero logico e strumentale, lo stesso che ho avuto io quando un accumulo di reperti mi ha sfilato davanti, nel silenzio del fiume che tutto trattiene e tutto ridà.»
M.B.: «A un mese di distanza dalla conclusione dell’affissione di queste immagini hai notato qualche cambiamento o piuttosto hai potuto avere il piacere di parlarne al di fuori del settore dell’arte ovvero con qualche passante che ha visto l’immagine mentre la installavi….»
I.D.L.: «Per sua gestazione poetica questo progetto, come tanti altri, è a diffusione di massa, contempla in sé un riscontro collettivo, orizzontale; non predispone gerarchie di utenze o platee settoriali. Di contro non vuole essere necessariamente di facile comprensione pur essendo di facile accesso, si affida alla casualità delle interpretazioni e alle stratificazioni delle letture personali, si relaziona frontalmente con gli imprevisti e le meraviglie di un contesto pubblico. Con questi presupposti espansivi e dialoganti, il mio lavoro innesca un costante dispositivo relazionale. E’ una dimensione sorprendente che ogni volta mi smentisce, mi sottrae alla solitudine per poi abbracciare il rischio, sempre appagato, dello scambio, nell’adrenalina di un incontro con chiunque abbia voglia di sospendersi un istante, alzare lo sguardo, specchiarsi e smettere di pensare.»
TEVERE EXPO, di Iginio De Luca
Installazione urbana,affissione pubblicitaria. Dal 26 aprile 2021 a Roma
Progetto vincitore di Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere.
I 15 luoghi delle affissioni a Roma:
1- Via Maresciallo Diaz (Ministero Affari Esteri)
2- Lungotevere Maresciallo Diaz (stadio Olimpico)
3- Piazzale Clodio, angolo viale Mazzini, (Tribunale Ordinario di Roma)
4- Viale De Coubertin, piazza Apollodoro (museo MAXXI, Auditorium)
5- Via Pinciana, 55 (Galleria Borghese, Villa Borghese, galleria Nazionale)
6- Corso Trieste, via Trau, 1 (villa Torlonia, via Nomentana)
7- Via delle Scienze (università La Sapienza).
8- Via Tiburtina, San Lorenzo (Casa della Memoria, Pastificio Cerere)
9- Via Prenestina, piazzale Labicano (Porta Maggiore)
10- Via Palmiro Togliatti, angolo via Serafini (Cinecittà)
11- Via Duilio Cambellotti (teatro Tor Bella Monaca)
12- Via Tuscolana (Acquedotto Claudio, Quadraro)
13- Piazzale 12 ottobre 1492 (stazione Ostiense, Eataly, Piramide)
14- Largo Giovanni Battista Marzi, (lungotevere, ponte Testaccio, Mattatoio)
15- Viale Trastevere, 141 (Ministero della Pubblica Istruzione, Mibact)