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Sul Forum online e il lavoro nell’arte: intervista a Stefano W. Pasquini, Francesca Guerisoli ed Elena Mazzi per AWI, Art Workers Italia

Dal 2015 Il Forum dell’arte contemporanea italiana, svolge periodicamente azioni di discussione sullo sviluppo e analisi di argomenti inerenti il sistema delle arti visive e della cultura. In questa intervista ci dedichiamo al Tavolo 6 coordinato da Francesca Guerisoli e AWI, Art Workers Italia rappresentata da Elena Mazzi dedicato al tema del lavoro nell’arte. A introdurre l’argomento è l’artista Stefano W. Pasquini, membro del board di coordinamento del Forum dell’arte contemporanea italiana.

Fra i sei tavoli tematici, quello dedicato al  “lavoro nell’arte”, sottotitolato “se la normalità era il problema”, ci pare conclusivo al percorso affrontato in queste settimane dal Forum ma preliminare alle prossime sfide che attendono l’intero comparto nei mesi venturi. Che le diverse professioni attinenti al settore delle arti visive, prima fra tutte quella dell’artista, versassero in condizione di precarietà era cosa nota; che il problema potesse esplodere con così tanta urgenza non poteva immaginarlo nessuno. Fatto sta, che se la pandemia qualcosa di “buono” ha generato, ciò va connesso all’accelerazione della risoluzione di un problema, da definirsi in termini di sostenibilità e dignità del lavoro che non può, in virtù delle attuali condizioni sociali, attendere oltre. Quali azioni concrete intraprendere? Come sollecitare la politica a una coscienza del settore, portando le sue fragilità all’attenzione dell’agenda nazionale? Sono domande che abbiamo rivolto a Stefano W. Pasquini, prima di tutto nella sua veste professionale di artista e membro dell’attuale board di coordinamento (costituito da Lorenzo Balbi, Diego Bergamaschi, Eva Frapiccini, Pietro Gaglianò, Ilaria Lupo, Elena Magini, Maria Giovanna Mancini, Silvia Simoncelli, cui si sono aggiunti i membri dei board passati: Ilaria Bonacossa, Fabio Cavallucci, Antonella Crippa, Anna Daneri, Cesare Pietroiusti, Pierluigi Sacco, Chiara Vecchiarelli), cui seguono quelle indirizzate alle coordinatrici del Tavolo 6, Francesca Guerisoli, storica e critica d’arte, autorevole voce della pagina Arteconomy de IlSole24Ore e Elena Mazzi, anzitutto artista ma anche portavoce del neo gruppo AWIArt Workers Italia, nato in modo informale durante il lockdown e formato da artisti e operatori del settore riunite per veicolare le loro istanze con voce indipendente.

Stefano W. Pasquini

Stefano W. Pasquini

M.L.P. Da dove e come nasce la tua esperienza con il Forum?
S.W.P. Il board mi contattò nel 2017 per coordinare un tavolo del Forum di Bologna del 2018, che si intitolava La parola agli artisti. Chiamai Chiara Pergola per aiutarmi a pensare ad un tavolo che mettesse insieme artisti e galleristi, con l’idea – forse utopica – di pensarci sulla stessa barca. L’idea di base era che qualcosa già non stava funzionando, e per evitare di scomparire c’era bisogno di pensare a nuove modalità di lavoro che potessero ampliare la scarsa domanda, lo scarso interesse, che l’arte contemporanea ha scaturito nel pubblico negli ultimi vent’anni. C’è bisogno di un nuovo collezionismo, una nuova comunicazione, così come di arte di qualità che possa toccare e coinvolgere nuovamente il pubblico. Nel contempo c’è bisogno di un ambiente meno ostile all’arte, che viene schermita e sottovalutata anche dal mondo della cultura alta. Penso ad esempio ad un articolo di Umberto Galimberti che pubblicamente manifestava la sua indifferenza per tutte le espressioni delle arti visive contemporenee, senza alcuna distinzione. In un paese normale la categoria l’avrebbe per lo meno costretto a scusarsi.  

M.L.P. Cosa rappresenta il Forum per un artista?
S.W.P. Penso che debba rappresentare un canale di dialogo e di incontro tra gli operatori del settore per oliare il meccanismo del sistema e renderlo più lineare, più trasparente e più meritocratico. Dal mio punto di vista dovremmo cercare di renderlo più “anglosassone”, ovvero smetterla di snobbare il grande pubblico e raccontare con onestà e passione quello che è l’arte per noi.

M.L.P. Qual è il tuo ruolo e il tuo contributo quale membro del board di coordinamento?
S.W.P. Nel board non abbiamo ruoli definiti, anche se naturalmente le nostre competenze variano molto, e dunque, dipendentemente da cosa c’è da fare, ci prendiamo i ruoli che più si addicono a noi. Io, per esempio, cerco di mettere in campo le mie esperienze nella comunicazione dell’arte che ho sviluppato lavorando come assistente di un importante critico d’arte a New York, testimoniato di prima mano la nascita degli YBA a Londra, e creando riviste e cataloghi d’arte in Italia negli ultimi due decenni, oltre al mio lavoro di docente di accademia di belle arti. 

M.L.P. Mi puoi dire tre pregi e tre difetti del Forum?
S.W.P. Tre pregi sono la sua visionarietà, la passione e l’opportunità di incontrare così tanti bravi e preparati professionisti del settore. I difetti sono forse la poca apertura al grande pubblico, dettata anche dal poco interesse che i media italiani hanno nei confronti del mondo dell’arte contemporanea, la sua settorialità, e in ultimo la mancanza di un’identità giuridica (che può anche essere vista come un pregio, dipendentemente dai punti di vista), che non ci permette di essere un organo ufficiale con cui comunicare con le istituzioni governative.

M.L.P Come si svolge la professione di artista in Italia? Tu che hai maturato una formazione all’estero, puoi spiegare limiti e qualità del contesto lavorativo italiano?
S.W.P. È un discorso complesso, che tocca anche temi fondamentali della società in cui viviamo. L’Italia è un paese che negli ultimi anni ha ampliato le differenze di classe, e questo influenza molto anche il nostro mondo. Dunque la professione di artista in Italia varia dal quasi-artigiano che con partita IVA vive vendendo il proprio prodotto artistico, all’artista super concettuale che non ha alcuna galleria di riferimento perché nessuna galleria in Italia sarebbe in grado di vendere il suo lavoro – che dunque si deve arrangiare a trovare metodi alternativi di sussistenza – fino al figlio di papà che gioca a fare l’artista, comprando il suo successo, ma che poi magari si annoia e torna nell’oblio. Quello che manca spesso è ciò che gli anglofoni chiamano studio practice, ovvero la pratica in studio. In Italia avere lo studio (e soprattutto il tempo per lavorarci) è più difficile che in molti altri paesi, un po’ per il costo degli affitti, ma tanto per la mancanza di agevolazioni e grantsche tanti stranieri possono avere dalle istituzioni del proprio paese senza nulla in cambio. Qui quando gli artisti ricevono soldi o aiuti è sempre nell’ambito di un progetto specificio (che spesso non include un alcun tipo di salario, come se gli artisti lavorassero per la gloria), che non permette appunto il tempo morto della studio practice, il tempo che ci permette di riflettere su dove il nostro lavoro sta andando, il tempo della ricerca, insomma.

M.L.P. Quale dei temi affrontati dal Forum a tuo parere potrà essere risolto in tempi brevi?
S.W.P. Ci sono istanze che già erano state affrontate dal Forum del 2018 di Bologna, che si stanno mettendo a punto in questi giorni, e che riguardano i metodi di “buona pratica” che tutto il mondo dell’arte dovrebbe adottare. Se riusciamo a definirli in modo chiaro forse potremmo riuscire a emarginare chi decide di non metterli in pratica. Personalmente penso che debbano essere aboliti tutti i concorsi la cui partecipazione è a pagamento. Penso che se un’istituzione di qualunque tipo ha bisogno dei soldi dei partecipanti per organizzare un concorso, una pubblicazione o una mostra, essa dimostra in partenza di non essere in grado di gestirla professionalmente. Consiglio sempre ai miei studenti di non pagare per esporre o per partecipare a concorsi. Comunque spero soprattutto che questo Forum ci permetta di pensare al futuro e di pensare in grande. L’arte in Italia ha un potenziale enorme, e la storia lo dimostra.  

Francesca Guerisoli 

M.L.P. Da quindici anni lavori nell’arte contemporanea come curatrice, storica dell’arte, docente, saggista, giornalista. Pensi che sia sostenibile, oggi, lavorare nell’arte contemporanea?

Francesca Guerisoli

F.G. Negli anni scorsi sono stati tagliati i compensi di molti degli incarichi di collaborazione di natura pubblica e privata che affiancano l’attività artistica e critico-curatoriale e ne contribuiscono al sostentamento. Penso ad esempio alle docenze a contratto, ai laboratori, all’attività giornalistica, alla grafica. Nel nostro settore, dopo anni di esperienza vengono proposti lavori in cambio di visibilità, e a usare questa moneta di scambio sono anche le istituzioni. Se lo status quo conviene a tanti, c’è anche, però, chi vuole cambiare le cose. Dare dignità al lavoro significa innanzitutto riconoscere il valore di ciò che facciamo, poter godere di una giusta retribuzione, non dover sottostare a ricatti e sfruttamento, vivere degnamente del proprio lavoro ed essere tutelati in caso di necessità. Il paradosso è che a fronte dell’alto numero di accademie di belle arti e di corsi di laurea in storia dell’arte e master in curatela, per la maggioranza dei laureati, compresi gli studenti più meritevoli, le occupazioni previste non sono sostenibili in termini economici. Dunque, le professioni nell’arte contemporanea in Italia scontano ancora un elemento di elitismo.

M.L.P. Da che cosa sono partiti i lavori del Tavolo?
F.G. L’esordio del tavolo è stato molto concreto. Siamo partiti dall’analisi del Vedemecum Amaci delle pratiche museali per evidenziarne le criticità in modo tale da immaginarne il miglioramento e una futura applicazione non solo ai musei Amaci, ma a tutte le realtà che si avvalgono di prestazioni artistiche, come fondazioni, spazi no profit e associazioni, gallerie, fiere, riviste di settore e così via. Cominciare dalla discussione sul giusto compenso delle prestazioni professionali è il primo passo per rendere sostenibile il lavoro che ognuno di noi svolge. Sappiamo infatti che il sistema del lavoro nell’arte è caratterizzato da ampio sfruttamento e auto-sfruttamento. Mentre ci rivolgiamo alla politica, contestualmente dovremmo agire all’interno del sistema dell’arte. Un primo passo potrebbe essere quello che i diversi componenti del sistema applicassero una tabella contenente i requisiti minimi per l’affidamento degli incarichi.

M.L.P. Esiste in Italia un problema di riconoscibilità delle professioni dell’arte? Se sì, puoi spiegare perché a tuo parere?
F.G. Questo periodo emergenziale ha sottolineato la presenza dell’enorme mole di lavoro sommerso anche nel nostro settore. Se alimentati dal lavoro nero, molti lavoratori delle arti visive e artisti risultano invisibili al fisco e allo Stato. Questo è un primo problema reale. Vivi d’arte, ma per lo Stato vivi d’aria. Un secondo problema, annoso, riguarda il lavoro dell’artista. Se la necessità emersa dalla discussione al Tavolo 6 è l’identificazione dei professionisti delle arti visive in modo da poterci rivolgere alla politica dicendo chi siamo e quali sono i nostri bisogni, appare fondamentale partire dal riconoscimento degli artisti professionisti, che non si possono individuare solo attraverso il trattamento fiscale a cui sono soggetti. A questo proposito, l’Italia non ha ancora recepito lo Statuto sociale degli artisti (risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2007), volto alla salvaguardia degli artisti professionisti in Europa. Tra le diverse raccomandazioni, la risoluzione invita gli Stati membri a creare un registro professionale europeo per gli artisti, “nel quale potrebbero figurare il loro statuto, la natura e la durata dei successivi contratti, nonché i dati dei loro datori di lavoro o dei prestatori di servizi che li ingaggiano”. Può essere utile guardare anche all’elenco dei Professionisti dei Beni Culturali, emanato dal MIBACT, Direzione Generale Educazione, ricerca e istituti culturali in materia di profili professionali nei beni culturali, che comprende il sotto-gruppo degli Storici dell’arte, a cui si può accadere se in possesso di determinati requisiti di formazione, ricerca, impiego. Sappiamo quanto possa essere insidiosa la creazione di un elenco; nessuno dei relatori al Tavolo invoca la costruzione di un ordine professionale, di cui conosciamo bene i limiti. Il problema della necessità di riconoscimento professionale è giuridico e fiscale. Come hanno sottolineato Franco Broccardi e Alessandra Donati, “non può esserci riconoscimento economico e lavorativo se non si viene percepiti come portatori di valore. Senza la percezione di questo valore, che passa in primo luogo dalla definizione di ciò che si è, diventa difficile poter emergere”. L’Agenzia delle Entrate ha affermato che “solo definendo in modo preciso le tipologie di attività svolte dagli operatori se ne possono definire i comportamenti economici e, conseguentemente, gli adempimenti fiscali. Classificare correttamente rappresenta un vantaggio reciproco sia per i contribuenti, che vedranno riconosciute le loro specificità, sia per l’amministrazione, che potrà calibrare meglio la richiesta fiscale tenendo conto di tali specificità”.

M.L.P. Dove è manchevole la politica nel settore delle arti visive?
F.G. Credo che le responsabilità siano riscontrabili da ambo le parti: di noi operatori del contemporaneo e della politica. Proprio noi che ci occupiamo di arti visive, siamo carenti sul terreno dell’auto-rappresentazione. Riconoscerci è la precondizione per farsi riconoscere, anche davanti alla politica. Per questo abbiamo la responsabilità di coalizzarci, autodefinirci rispetto all’idea di professione nel mondo delle arti visive e formulare una proposta di rivendicazione. Certo la politica non ha mai favorito questo processo e in questo porta una grave responsabilità. Tuttavia i diritti non si chiedono, ma si conquistano, anche attraverso il conflitto. In questo senso non dobbiamo vivere la nostra condizione come una splendida solitudine, ma abbiamo bisogno di riconnetterci ai tanti lavoratori di discipline diverse che praticano quotidianamente un equilibrismo senza rete. L’invisibilità del nostro mondo sul piano del riconoscimento e delle tutele fa drammaticamente il paio con quella di molti altri settori, attraversati da un dato di incertezza, precarietà e sfruttamento. Nel nostro caso, il punto non è solo la condizione materiale delle persone che lavorano, ma riguarda l’identità stessa del Paese. I tagli all’istruzione e alla cultura e la mancanza di un’attenzione ai linguaggi dell’arte contemporanea hanno voluto dire segare il ramo su cui l’Italia è seduta.

M.L.P. Le donne artiste, lavoratrici nel mondo dell’arte, sono più esposte dei colleghi maschi a maggiori situazioni di precarietà?
F. G. Certamente. Ciò purtroppo è trasversale a tutte le professioni, in Italia. Andrebbero attuate immediatamente politiche culturali e sociali sulla parità di genere e adottate misure di sostegno alla genitorialità. In un sistema già estremamente fragile come quello dell’arte contemporanea, essere artiste, anche quando non si è madri, è svantaggioso. I dati sulle artiste in relazione ai colleghi maschi sono agghiaccianti: più si sale verso il vertice della piramide, più il gap aumenta. L’anno scorso ho scritto un pezzo su Alfabeta2 proprio su questo tema, intitolandolo “Artiste, malgrado tutto”. Se poi un’artista è madre, le cose peggiorano ulteriormente. Si registrano casi di artiste a cui è stata negata una residenza perché con bambini molto piccoli. Altri in cui è stato scoraggiato di assumere un incarico di docenza. Parte da qui l’appello Siamo noi le vere mostre! pubblicato ad aprile da tre artiste, il duo Grossi/Maglioni e Sara Basta. Sono situazioni incostituzionali, e per questo andrebbero denunciate agli organi competenti, ma ciò non avviene perché coinvolgerebbero indirettamente anche amici e colleghi. Ma attenzione: il problema del genere va di pari passo con quello economico: non possiamo far finta di non vedere che in situazioni di particolare agio familiare, tanti problemi comuni non sono nemmeno percepiti.

M.L.P. Quale dei temi affrontati dal Forum a tuo parere potrà essere risolto in tempi brevi?
F.G. Il nostro settore è uno dei più duramente colpiti da questa crisi. Abbiamo visto come i Decreti emanati per l’emergenza stanzino risorse molto significative. Ma il sistema di protezione costruito negli anni è piuttosto frammentato e a maglie larghe. Il paradosso è che ci sono molti soldi ma spesso questi non arrivano a coprire tutti i lavoratori. Il caso dei lavoratori dell’arte è emblematico perché sono invisibili ai sistemi di protezione del Paese. Il primo passo, come detto, è quello di una presa di consapevolezza si sé. Ma quello successivo è far capire a un perimetro largo dell’opinione pubblica che la nostra non è una delle tante battaglie corporative. Pensiamo di svolgere una funzione sociale ed è dal riconoscimento di questa funzione che passa la valorizzazione del nostro ruolo, quindi la giustezza delle nostre rivendicazioni. Se non operiamo questo salto saremo una delle tante micro categorie che protestano sotto a un ministero. Dentro questo quadro ci sono alcune cose che possono essere fatte subito. Èinsopportabile, ad esempio, che comportamenti che producono lavoro precario e lavoro povero vengano da privati; che vengano dal pubblico è totalmente ingiustificabile. Alla Plenaria del 30 maggio faremo alcune proposte sia per la fase emergenziale sia per il medio e lungo periodo, perché per rifondare il sistema dobbiamo agire sul piano strutturale.

Elena Mazzi

M.L.P. Cosa significa, sotto il profilo del lavoro, svolgere la professione di artista in Italia?
E.M. In Italia la professione dell’artista non è legalmente riconosciuta, quindi è sempre molto difficile vivere del proprio lavoro. Non essendoci borse a sostegno della ricerca, ma solo piccoli grants che aiutano talvolta in piccole produzioni, la pratica è frammentata ad altre occupazioni. Non essendoci regole da seguire, ognuno tende a fare un po’ da sé, rendendo ancora più difficile l’individuazione di un percorso comune.  Personalmente, negli anni sono riuscita a trovare un mio equilibrio tra residenze e progetti all’estero, grantspubbliche, qualche commissione privata e qualche vendita, periodi di insegnamento e consulenze per programmi di educational legati all’arte.

Elena Mazzi

M.L.P. Quali sono le difficoltà che quotidianamente incontri nel tuo lavoro?
E.M.In primis, trovare i finanziamenti per le nuove produzioni. E poi riuscire a trovare il giusto equilibrio nella gestione del lavoro. La mia base è in Italia, ma non riuscirei a vivere del mio lavoro stando solo qui, è necessario per me lo scambio con l’estero.

M.L.P. Dal tuo punto di vista, quali sono le differenze fra lavoro pubblico e privato? Che diversità intercorrono fra committenze pubbliche e il lavoro in galleria per un artista? Quali le forme contrattuali attualmente disponibili?
E.M. Soprattutto per me che lavoro spesso con pratiche relazionali e specifiche al contesto, la differenza è abissale. Le committenze pubbliche sono sicuramente più interessanti, perché mi permettono di dialogare con un ampio pubblico, inoltre il lavoro in galleria (per chi ce l’ha) è ormai ridotto all’osso dato che le vendite avvengono prevalentemente in fiera. Ma auspico a una collaborazione tra le parti sempre più forte nel breve periodo. Del resto, non vedo altro modo di uscire da questa crisi, se non quella di aumentare e ridefinire i finanziamenti pubblici e una più forte collaborazione tra pubblico e privato. Le forme contrattuali al momento sono scarse e inadeguate, sicuramente da ripensare.

M.L.P. Come nasce AWI, Art Workers Italia? Quali i suoi obiettivi?
E.M. AWI è un gruppo informale, autonomo e apartitico, di lavoratrici e lavoratori delle arti contemporanee, formatosi su base partecipativa nel contesto dell’attuale crisi dovuta alla pandemia di Covid-19. La crisi ha determinato, per molti di noi, la sospensione e/o la perdita di impieghi e progetti. AWIaccoglie e dà voce a urgenze e prospettive molteplici, attraverso modalità di ricerca collaborative e autoformative, facendo massa critica e lottando per il diritto incomprimibile al riconoscimento del nostro stato di lavoratrici e lavoratori.

M.L.P. Cosa significa per AWI essere presente al Forum? Cosa vi attendete da esso?
E.M. Siamo stati invitati a partecipare al Forum dell’Arte Contemporanea per coordinare il tavolo sul lavoro nell’arte. Abbiamo reputato necessario unire le forze al fine di sottolineare problematiche esistenti all’interno del sistema dell’arte, e individuare istanze di cambiamento da presentare in un documento condiviso al governo. Auspichiamo, nel contesto del Forum, a un dialogo condiviso sul futuro dell’arte e della cultura, a un riconoscimento e sostegno del lavoro artistico, a una riformulazione e aumento dei finanziamenti, al momento inadeguati, in tempi immediati.

M.L.P. Quali sono gli obiettivi di AWI dopo e oltre il Forum?
E.M. AWI si è unita per innescare una riflessione comune, trasparente e solidale su una condizione professionale troppo spesso fragile e vulnerabile. Ci stiamo impegnando in pratiche di ricerca collaborativa e auto formativa per articolare proposte di cambiamento concrete, in coordinamento con altre iniziative del lavoro culturale precario e rivendicando autonomia da istituzioni politiche o artistiche preesistenti. Gli obiettivi a lungo termine su cui AWI lavorerà con enti e istituzioni riguardano diverse macro-aree legate alle tutele, all’istituzione di fondi speciali e al ripensamento del sistema dei bandi e della formazione artistica, agendo come un organismo in grado di connettere una costellazione di individui e associazioni, rappresentandone necessità e istanze nella sfera pubblica. Per informazioni più dettagliate, rimando al manifesto: https://artworkersitalia.it/

Relatori al tavolo  

Musei e associazioni
Emma Zanella, Direttrice museo MA*GA
Beatrice Oleari, Barbara Oteri, FARE
Alessandra Pioselli, Direttrice Accademia Carrara
Nicoletta Daldanise e Irene Pittatore, Impasse
Marta Bianchi, Careof
Francesca Comisso, a.titolo
Paolo Mele, Ramdom
Marco Trulli, Cantieri d’arte e Arci

Artisti
Iacopo Bedogni (Masbedo) con Federica di Carlo, Valentino Catricalà, Giuliana Benassi (HUB-ART)
Francesca Grossi/Vera Maglioni/Sara Basta, Appello Siamo noi le vere mostre!
Flavio Favelli
Stefania Galegati
Domenico Antonio Mancini

Altri 
Alessandra Donati, Avvocato of Counsel in NCTM, docente UNIMIB e NABA
Franco Broccardi, Economista della cultura, esperto di mercato e fiscalità
Donato Nubile, Smart
Enrico Eraldo Bertacchini e Paola Borrione, Fondazione Santagata
Luca Dal Pozzolo, Osservatorio Piemonte e Fondazione Fitzcarraldo
Ilaria Oliva, Manager culturale
Marianna Agliottone, Esperta di economia, collezionismo e mercato dell’arte
Irene Sofia Comi, Curatrice
Nicola Fratoianni, Deputato LEU

FORUM DELL’ARTE CONTEMPORANEA ITALIANA
http://www.forumartecontemporanea.it
Plenaria Forum online 30 maggio ore 14.30

Maria Letizia Paiato

Storico, critico dell’arte e pubblicista iscritta all’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, insegna Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Dottore di Ricerca (Ph.D) in Storia dell’Arte Contemporanea, Specializzata in Storia dell’Arte e Arti Minori all’Università degli Studi di Padova e Laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Ferrara, è ricercatore specializzata nel campo dell’illustrazione di Primo ‘900. La trasversalità d’interessi maturata nel tempo la vede impegnata in diversi campi del contemporaneo e della curatela, della comunicazione, del giornalismo e della critica d’arte con all’attivo numerose mostre, contributi critici per cataloghi, oltre a saggi in riviste scientifiche. Dal 2011 collabora e scrive con costanza per Rivista Segno, edizione cartacea e segnonline. letizia@segnonline.it ; letizia@rivistasegno.eu