Se da un lato la pandemia ha fatto diventare la logica del distanziamento sociale una delle componenti imprescindibili delle nostre vite, dall’altro, a fare da contrappunto all’impossibilità di accesso ai luoghi deputati alla cultura, si è assistito in questi mesi a un progressivo proliferare sul web di iniziative di vario genere, dai tour dei musei on line fino alle performance in streaming.
Non si sottrae a questa logica di espansione “altra” e capillare nemmeno CORPO, il festival dedicato alla performance e live art a cura di Ivan D’Alberto e Sibilla Panerai, con l’organizzazione di CAPPA – Centro di Archiviazione e Promozione della Performing Art di Pescara e il patrocinio della Fondazione Pescarabruzzo, che quest’anno ha deciso di festeggiare il suo decimo compleanno on line.
Dal 29 al 31 maggio infatti, sul sito www.cappaperformingart.com, saranno visibili per la prima volta una selezione di video-performance realizzate dal 2011 ad oggi da Marco Casolino, Mandra Cerrone, Francesca Fini, Nicola Fornoni, Kyrahm e Julius Kaiser, Giovanna Lacedra, Francesca Lolli, Ruben Montini e Noema Pasquali.
Francesca Fini vi partecipa con BLIND (2013) una performance sinestetica di live media che si innesta perfettamente nel percorso di questa artista che da sempre si confronta con il cinema sperimentale, l’animazione digitale, l’installazione e la performance art. I suoi progetti affrontano spesso questioni legate al rapporto tra spazio pubblico e privato, tra spettacolo e spettatore, tra rappresentazione e interazione, ma riflettono anche sulle influenze della società sulle questioni di genere e sulla distorsione nella percezione della bellezza prodotta dal mercato e dai media mainstream. Le sue opere sono un mix di media tradizionali, tecnologie lo-fi, dispositivi di interaction design, audio e video generativo.
«Blind è un esperimento performatico che fonde i linguaggi della body art e dell’interaction design. Da persona sinestetica, io riesco quasi a “sentire” il suono del colore. Lo scopo della performance è esattamente quello di trasportare il pubblico in una dimensione immersiva, quella che vivo io nel rapportarmi con il colore, una dimensione in cui il performer diventa il mediatore di un’esperienza di colore attraverso il suono interattivo. Durante la performance io eseguo un bodypaint dal vivo di fronte a una webcam che è programmata per riconoscere colori diversi. Le informazioni prodotte vengono quindi elaborate dal computer e inviate a un sintetizzatore digitale che attiva un suono speciale per ciascun colore. Il flusso armonico e la modulazione di ogni strumento sono determinati dai dati prodotti dalle coordinate delle macchie di colore nello spazio, in modo che le mie mani dipinte, tracciate dalla webcam, si trasformano in uno strumento musicale che posso effettivamente suonare, e anche con una certa precisione. La ricerca scientifica sulla relazione profonda tra suono e colore è il punto di partenza di un viaggio personale in cui scopro le connessioni tra i sensi.» Francesca Fini
Fruibile on line, sempre nell’ambito del festival, anche il lavoro di Francesca Lolli dal titolo E 123 (2013), una performance che ruota intorno al tema dei coloranti alimentari chimici e della loro tossicità. Artista che fin dagli esordi ha concentrato la sua indagine sulle diversità di genere e le questioni socio-politiche, mossa da un’urgenza che la porta a comunicare, cerca attraverso il corpo e il video di farsi veicolo di emozioni, di sublimare la sua visione della vita e del mondo che la circonda. L’obiettivo principale della sua ricerca è quello di ricevere ed elaborare l’hic et nunc, di parlare del presente e di poterlo trasporre in una dimensione universale. Nel suo approccio all’arte il video è spesso usato come mezzo, come protesi corporea per sottolineare o elaborare modalità d’azione o gestuali, in modo da prendere forma proprio nella dimensione reale, fisica, circoscritta dalla ripresa e da un uso non invasivo del montaggio.
«Vorrei che il mio corpo, dal vivo o passando attraverso l’obiettivo, fosse un mezzo pulsante e ricettivo dei mali e beni dell’epoca nella quale mi è dato vivere. Parlando di quest’opera, che nello specifico tratta il tema dei coloranti alimentari chimici, sono partita dalla considerazione che alcuni sono ammessi in certe parti del mondo e vietati in altre, tanto che il dibattito sulla tossicità di molti di essi è ancora aperto. Durante l’azione, il corpo della performer si trasforma nel piatto sul quale vengono serviti i coloranti, diventando lei stessa e lei per prima una cavia che ne assorbe tutti i principi chimici.» Francesca Lolli
Insieme a Francesca Leoni, artista che ha progressivamente spostato il suo interesse dal teatro alla performance e le pratiche cinematografiche focalizzando la sua ricerca sul tema dell’identità in quanto fusione tra corpo sociale e corpo personale, Fini e Lolli hanno dato avvio al progetto My name is Francesca www.mynameisfrancesca.com, a cura della sottoscritta. Una galleria virtuale nella quale confluiscono, suddivise in cinque aree tematiche, alcune tra le loro opere video, unitamente a degli inediti.Nata come articolata proposta di mostra fisica per spazi tradizionali, l’iniziativa ha avuto il 16 marzo 2020 il suo improvviso debutto in rete, come risposta attiva alla crisi del contatto e del contagio, distinguendosi come una delle primissime iniziative artistiche legate alla pandemia. Il 18 maggio 2020, in concomitanza con il decreto del governo che ha stabilito la fine del lockdown nazionale, il progetto artistico ha inaugurato la sua FASE 2, dandosi carattere permanente di Art Social TV. È nata quindi MNIF TV con l’obiettivo di proseguire, attraverso appuntamenti settimanali, la raccolta di frammenti di voci autorevoli che contribuiscono a comporre, o a ri-comporre, il mosaico della riflessione sull’arte contemporanea.
La forza del video, supportata anche dall’irruzione di una tecnologia progressivamente più maneggevole e capace di allargare gli scenari di ricerca, insieme alla pluralità di voci che caratterizzano questo genere artistico, ne fanno un mezzo di espressione estremamente duttile e molto probabilmente quello che meglio si è adattato a questo scenario virtuale e pandemico, confermandolo come una delle più vitali e innovative forme dell’arte contemporanea.