Giada Pianon

Giada Pianon intervistata da Lorenzo Kamerlengo per The Hermit Purple, Luoghi remoti e arte contemporanea su Segnonline.

Parlami di un tuo maestro, o di una persona che è stata importante per la tua crescita.

Ho avuto diversi maestri nella mia vita, al di là di quello che viene insegnato, conta molto quello che viene appreso e messo in pratica.
Puoi avere tutti i migliori insegnati che vuoi, ma se non si ha la capacità di ascoltare e intendere quello che viene detto, è solo tempo sprecato.
Alla fine, siamo sempre noi che abbiamo l’ultima decisione sul nostro lavoro.

Quali sono secondo te il tuo lavoro/mostra migliore ed il tuo lavoro/mostra peggiore? E perché?

Spesso le mostre, sono il risultato finale di una produzione di lavori, sono tutte importanti perché è il momento in cui il pubblico vede il lavoro prodotto e finito.
Non ricordo una mostra particolarmente non riuscita o al contrario riuscita, l’intento per qualsiasi mostra così come per qualsiasi opera, è quello di fare sempre del proprio meglio, al di là tutto quello che può succedere nella fase di allestimento o di apertura al pubblico.
Realizzare una mostra, è sempre un convoglio di forze e di energie, non solo da parte dell’artista, ma anche da parte di tutte le altre figure che lavorano per il risultato finale. Spesso, la fase più laboriosa, è la pre – apertura al pubblico, insomma il dietro le quinte.
Personalmente, accolgo sempre con piacere la proposta di una mostra, così come la realizzazione di opere pensate appositamente per un’esibizione.
Il mio lavoro migliore… mi piace pensare di avere più lavori migliori, si lavora per avere dei lavori migliori gli uni tra gli altri, ma anche per continuare la propria ricerca artistica. Credo che per avere un buon lavoro, sia necessario lavorare costantemente, poi, avere un ambiente predisposto, con la giusta attrezzatura, sono altri fattori determinanti per la riuscita di un’opera.
Ogni artista lavora sempre per avere un lavoro migliore del precedente.
Non c’è una formula per avere un buon lavoro, solitamente nasce quando si lavora costantemente alla propria ricerca artistica.

Se ti ritrovassi su un’isola deserta, proseguiresti la tua ricerca artistica? Se sì, in che modo?

Su un’isola deserta credo che continuerei la mia ricerca artistica, penso che dipingerei molto nella mia testa, sicuramente dovrei rivedere materiali e strumenti, da reperire lì in loco. Sarebbe un’esperienza determinante, ma non sarebbe neanche l’unica che farei su un’isola deserta. Probabilmente ci sarebbero anche altre incombenze da risolvere…

In che modo sta influendo l’isolamento di questo periodo su di te?

L’isolamento di questi giorni non tornerà più, anche se all’inizio poteva essere visto come soffocante, dopo poco si è rivelato prezioso, c’è stata la possibilità di fermarsi, pensare e produrre opere nuove.
Uno dei fattori determinanti, per realizzare opere è il tempo, essere costretti a rimanere a casa, è un’ottima opportunità di concentrazione per dedicarsi al proprio lavoro.
L’isolamento, mi ha dato la possibilità di prendermi del tempo in più, per realizzare e percorrere interventi nuovi, al contrario, con la routine del pre- isolamento, sarebbe stato difficile permettersi di sperimentare, non ci sarebbe stato il tempo.
A volte, le costrizioni sono un’opportunità che portano a nuovi risultati.
Credo che l’isolamento, abbia influito positivamente nella creazione di lavori nuovi, anche se ha annullato o posticipato alcuni eventi.
Alcune delle mostre che avevo in programma, sono state rinviate.
Spero che a fine isolamento, tutto possa riprendere come prima, senza avere ulteriori intoppi.

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