A Sapri, sul Lungomare Italia, il 25 di settembre, Giuseppe Conte e altri hanno inaugurato una statua della donna più famosa della ridente cittadina. Sì, proprio lei, la protagonista della poesia di Carlo Mercatini con cui mia zia Concettina stava quasi riuscendo a distogliermi dalla letteratura: “Eran trecento, eran giovani e forti, / e sono morti”. Chi, ascoltando questi versi, non ha provato il sano istinto di fare uno scongiuro?
Il problema della statua, subissata all’istante da critiche feroci, non è stato però la retorica celebrativa, da cui evidentemente guerre e attentati non ci hanno ancora del tutto vaccinati, ma il suo presunto sessismo, dovuto alla cura con cui lo scultore Emanuele Stifano ne ha plasmato il posteriore. Guardate un po’ che arriva a scrivere (in un italiano un po’ stentato) Manuela Repetti, ex senatrice del Gruppo Misto e blogger per l’Huffington Post: “Qualcuno ha detto che quella statua attrarrà più turisti a Sapri… Purtroppo è probabile e mi fa venire in mente quando un ministro ugandese qualche anno fa aveva fatto una campagna per il turismo con cartelloni raffiguranti donne ugandesi procaci. Insomma, inorridita da quella statua e dalla sua inaugurazione, suggerirei di abbatterla. Sarebbe un segno di consapevolezza della gravità di certi fatti e di porvi rimedio. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico”.
E che mai avrebbe fatto, la nostra ex senatrice, se l’artista avesse rappresentato il suo soggetto in una posa più tradizionale, alla Millet? D’accordo, le donne di Millet sono tutto fuorché libidinose. Ma siamo sicuri che la statua di Stifano lo sia? Il David di Michelangelo, con il suo sesso vistosamente esibito al pari della mano che obbedisce all’intelletto, lo è forse altrettanto? Non credo proprio. L’artista si serve della bellezza del campione per presentarci il suo ideale artistico e umano. Persino Mercatini approfitta della meritata fama delle donne campane – che immaginiamo almeno pari per avvenenza al giovane “dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro” della lirica, quello che fa una brutta fine – per portare acqua al mulino dell’Italia, senza interessarsi minimante alle spigolatrici.
E tuttavia la statua di Stifano non è il David di Michelangelo. Con la sua anatomia imperfetta, la sua mascella squadrata, è una figura che vive, al pari della Sirenetta del porto di Copenaghen, ispirata alla tristissima favola di Andersen, di una gloria non sua. Prima o poi, come è accaduto più volte alla creatura dell’altrimenti quasi ignoto Eriksen, qualche situazionista la farà saltare in aria, guadagnandosi la nostra indignazione. Lei però, come la protagonista al femminile di un’altra favola di Andersen, Il soldatino di piombo, potrà infine ricongiungersi con l’imberbe rivoltoso, che tanto la faceva palpitare. Svanire, come diceva Montale, è la ventura delle venture.