Sonia Andresano. Un cielo indomito

La mostra “la linea orizzontale” dell’artista Sonia Andresano è stata ospitata, in occasione del ciclo di mostre e residenze, ideato e curato dalla critica d’arte contemporanea Lori Adragna, nelle sale espositive del Casale dei Cedrati, all’interno della cornice di Villa Doria Pamphilj, a Roma.

La mostra “la linea orizzontale” dell’artista Sonia Andresano è stata ospitata, in occasione del ciclo di mostre e residenze, ideato e curato dalla critica d’arte contemporanea Lori Adragna, nelle sale espositive del Casale dei Cedrati, all’interno della cornice di Villa Doria Pamphilj, a Roma.

Villa Doria Pamphilj

Villa Doria Pamphilj è il più grande polmone verde della Capitale e residenza storica, considerata tra le più importanti ville romane che conserva, tutt’oggi, la sistemazione seicentesca e le principali caratteristiche del Settecento e dell’Ottocento. È situata nel quartiere Gianicolense, appena fuori dalle mura, sulle propaggini occidentali del Gianicolo. Al suo interno è sito il Casino del Bel Respiro o Algardi, sede di rappresentanza ufficiale del Governo italiano. La Villa è divisa in tre parti: il palazzo e i giardini (pars urbana), la pineta (pars fructuaria), e la tenuta agricola (pars rustica). L’edificio più antico della Villa è la “Villa Vecchia”, già esistente quando, il 23 ottobre del 1630, la tenuta fu acquistata dal nobile Panfilo Pamphilj. Il Casino Algardi, invece, trae il suo nome dalla costruzione del complesso della “Villa Nuova”, ad opera degli architetti Alessandro Algardi e Giovanni Francesco Grimaldi, con la collaborazione del botanico Tobia Aldini per i giardini, avvenuta tra il 1644 e il 1652, sotto il pontificato di Innocenzo X Pamphilj. Nel 1849, tra le mura della Villa, si svolse una delle battaglie più intense per la difesa della Repubblica Romana, durante la quale, il 2 giugno, le truppe francesi della Seconda Repubblica occuparono Villa Corsini. Il giorno seguente, le truppe garibaldine tentarono di riconquistarla. L’azione costò la vita al Colonnello Angelo Masina e a Goffredo Mameli che fu ferito a morte. Intorno al 1840, il Principe Filippo Andrea V Doria Pamphilj fa trasformare la Villa in una moderna azienda agricola, annettendo ville e vigne, sulla Via Aurelia Antica, al territorio preesistente, e acquistando Villa Corsini. Tra il 1896 e il 1902 venne costruita, ad opera di Odoardo Collamarini, la neomedievale Cappella, tuttora di proprietà della famiglia Pamphili. Nel 1939, il Comune di Roma ha iniziato l’espropriazione di Villa Doria Pamphili, conclusasi nel 1971. Nel 1957, lo Stato italiano ha acquistato il nucleo originario della Villa che aprirà al pubblico nel 1972. Molti viali, all’interno della Villa, sono dedicati a donne famose, come Simone de Beauvoir, Cristina di Belgioioso, Sorelle Brontë, Maria Callas, Carla Capponi, Maria Carta, Camilla Cederna, Alda Costa, Oriana Fallaci, Artemiasia Gentileschi, Natalia Ginzburg, Dolores Ibárruri, Anna Kuliscioff, Giorgiana Masi, Vittoria Nenni, Florence Nightingale, Anna Politkovskaja, Clara Wieck Schumann e Miriam Mafai.

Il Casale dei Cedrati

Tra gli edifici seicenteschi, presenti all’interno della Villa, vi è il Casale dei Cedrati, dotato del cortile e dell’annesso Giardino o Cedrara, sorto lungo la pars fructaria, destinata alla produzione agricola, trasformatasi poi – attraverso successive rielaborazioni sette-ottocentesche – in giardino “luogo di delizie”, ricco di cocchi ombrosi, limoni, aranci e melangoli. La posizione è emblematica dell’antica vocazione agricola, in quanto edificio di servizio, stalla e rimessa del Giardino dei Cedrati dei Pamphilj, quando agli inizi del XVI secolo le famiglie nobili romane avevano l’usanza di costruire, lungo i principali assi consolari, grandiose ville suburbane. Edificato al confine settentrionale, una rientranza dell’Acquedotto Traiano Paolo, si individua come paesaggio di storia nel cuore più antico del Parco. Nel Casale è presente uno spazio polifunzionale dedicato alla cultura, la cui programmazione avviene tramite uno stretto dialogo con la comunità locale. È stato restaurato all’inizio degli anni 2000 dalla Sovrintendenza Capitolina, grazie ai fondi del Giubileo. Nel 2013, è stato affidato dall’amministrazione comunale alla Consortile Casale dei Cedrati che ha iniziato a operare nel dicembre 2015. La Consortile è formata da CoopCulture, cooperativa operante nel settore dei beni e delle attività culturali in Italia; da Linea d’Arte, cooperativa sociale integrata, e interlocutore qualificato nel settore della promozione dei beni culturali; in collaborazione con Milleville, associazione culturale del quartiere romano di Monteverde. Successivamente il Casale è stato chiuso per sette anni, quando è stata riconfermata la gestione alla Consortile che ha recuperato il Casale dallo stato di degrado. Oggi il Casale è ri-aperto al pubblico in una rinnovata collaborazione con la Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali e con l’Assessorato all’Agricoltura e all’Ambiente del Comune e d’intesa con il XII Municipio. All’interno si trovano una libreria, una sala lettura, una sala incontri e sale espositive.

la linea orizzontale di Sonia Andresano

Nell’Art project room – luogo dedicato agli artisti che partecipano a una cultura attiva, etica e responsabile nei confronti del territorio e della collettività, favorendo una consapevolezza individuale – è stata allestita la mostra la linea orizzontale di Sonia Andresano, progetto site-specific che fa parte del ciclo di mostre e residenze ideato e curato dalla critica d’arte contemporanea, Lori Adragna.
Le sale espositive ospitano due opere video e una visione unitaria dell’attraversamento performativo, resa tramite l’impiego di tre pannelli fotografici che ricalcano la metodologia scelta dall’artista in un articolato e immersivo percorso installativo. Due video adiacenti, frammentati ad angolo, accompagnano l’osservatore dall’ingresso al primo pannello fotografico, al quale sono legati tramite l’orizzonte elastico che l’artista decontestualizza dal suo impianto naturalistico, riportando nell’ambiente espositivo del Casale dei Cedrati, e attivando un procedere alla scoperta dell’inusitato.
Il nomadismo diviene resistenza in un equilibrio in bilico che snoda processi mentali di trasformazione.
Gli spazi umani non sopportano più statuizioni granitiche di un limes “geometrico”, e inseriscono nello schema un elemento critico, coniugato con l’intangibilità della quarta dimensione: il tempo. Lo sguardo dell’artista è dipoi nuova geografia di visione in un moto che accade in potenza, originandosi come costante possibilità di attraversamento da un punto di partenza in un percorso che tende a riflettere, tramite sottrazione e superamento, fuori da un limite precostituito, nell’immaterialità della dimensione temporale, sul nuovo spazio che la schismogenesi rende precipuamente mutevole nel logos esistenziale. Perdere l’epicentro cartografico del proprio io, infatti, genera una sensazione di irrequietezza che scorge un sottile equilibrio corporeo disposto al di sopra di una lente macroscopica del microcosmo, in una stasi dell’essere. Nel verso “La linea orizzontale ci spinge verso la materia” del brano «Inneres Auge» del Maestro e cantautore siciliano Franco Battiato, si evince il titolo della mostra.
Afferma, Maria Francesca Guida, vicepresidente ECCOM, durante il talk, svoltosi domenica 25 febbraio: “Sollecitazione di una esplorazione di visioni, stabilendo questa linea di orizzonte (Sonia Andresano) ci invita a relazionarci in modo diverso e di conseguenza questo nuovo modo di vedere e relazionarci con lo spazio che si collega al modo di vedere nella vita”.
L’artista, infatti, parte da un elemento materico che è il contesto e vi crea un’apertura, in cui la forma è in movimento ed evoca nuove letture, secondo un approccio libero che permette il cambiamento.
L’artista, focalizzandosi su un campo visivo ristretto e compresso su una linea orizzontale, trae da un insieme più ampio, una sua astrazione, quasi pittorica, ridisegnando l’orizzonte.
Riportandolo nell’ambiente espositivo, ha operato sia sul sito espositivo sia sul luogo che lo accoglie, Villa Pamphili, in un’azione performativa sulla tensione.
La nostra racconta: «Ho cercato di respirare le atmosfere del luogo. La mia volontà è tentare di delineare un nuovo tragitto che, seppur precario, è possibile superare con equilibrio».
La tensione è esibita attraverso la disciplina dello slackline, pratica nata negli anni Ottanta con gli arrampicatori del Yosemite National Park, secondo cui il performer deve porsi in equilibrio su una fettuccia elastica larga da 2.5 a 5cm, montata tra due alberi come punti di ancoraggio, in un sistema di trazione. La fettuccia sintetica si stende sotto il peso dello slackliner, diventando dinamica.
L’artista si situa al di sopra della fettuccia, e attraversa il percorso di cinque metri, sospeso da terra. L’accento ricade sul concetto dello spazio: restringendo il campo, tramite l’orizzonte, si intravede un nuovo paesaggio. L’inquadratura della rilevanza orizzontale rende irriconoscibile sia il luogo, sia il corpo, nella sua propria interezza. L’elastico, concettualmente posizionato in alto, pone in essere un punto di vista rialzato che si colloca, idealmente, come prosieguo delle immagini video e fotografiche. Ciò crea un’immersione del visitatore che, percependo la distanza tra il suolo e l’elastico, si rende soggetto partecipe della tensione fisica ed emotiva che il corpo opera, performando. Il peso spinge l’elastico verso il basso, piegando il flusso orizzontale della linea che continua a percepire una discrepanza, anche a seguito della discesa del corpo, tramite le vibrazioni che produce per trovare un ulteriore e successivo ri-posizionamento. Le vibrazioni sono restituite sincronicamente con l’audio che accompagna l’installazione, amplificandone la sensazione.
«L’opera – precisa l’artista – racconta la tensione, il peso di un corpo sospeso, la vibrazione. Il gesto ostinato della performer mentre pratica lo slackline, sospesa tra gli alberi di Villa Pamphili, è un atto di coraggio, un esercizio di equilibrio interiore. Ho pensato fosse il giusto augurio per il Casale dei Cedrati dopo la sua temporanea chiusura: una rinascita verso la prosecuzione di un percorso iniziato e sospeso».
La forma artistica diviene mutevole e origina nuove attribuzioni di senso, fissate attraverso la documentazione installativa di un frammento di vissuto personale che diviene, consequenzialmente, collettivo.


Venute meno le Grandi Narrazioni, diviene urgente un nuovo tentativo di autocomprensione di sé. È, dunque, necessario affrontare un nuovo orizzonte dinamico. La modernità ha dischiuso un orizzonte di mobilità sociale che ha profondamente mutato le condizioni, in cui è situata la nostra esistenza.
Il lavoro dell’artista coglie tale fragilità.  Il movimento dinamico del transito si svolge da sinistra verso destra, secondo un linguaggio direzionale che vuole mettere in luce i movimenti liberi, in quanto naturali.
L’artista dirompe il limite del noto assunto socratico per spostarlo oltre la temporalità dell’hic et nunc e operare delle modificazioni sul senso stesso di limite, di ciò che viene annunciato per essere infranto. Allarga convintamente quei confini individuati sia fisici sia psichici, spingendo il loro svanimento verso l’orizzonte.
La nostra va oltre la filosofia accademica per introdursi nella filosofia pratica, in quella predisposizione mentale, razionale ed emotiva che spinge a interrogarsi su sé stessi e sul circostante, indagando uno sguardo che prevede una prospettiva insolita e che si pone, al di là di quei recinti rassicuranti del vivere, il nuovo e il diverso. Viene violato quel ripetitivo modo di osservare ciò che già abbiamo percorso ripetutamente con lo sguardo, per aprirsi, con uno sguardo “sospeso”, all’assenza di confini ottico-mentali, e successivamente riattivare la conoscenza che ridefinisce “il già dato”. Si rinuncia all’aspettativa a favore del dubbio e, forse, della scoperta. Si sviluppa un esercizio critico del sentire e del pensare. È una riflessione critica sui temi dell’agire e del sapere per ampliarne i paradigmi. Tuttavia, non implica quella sterilità derivata dal trovare necessariamente risposte dettate dal fare pratico.
Il confine segnala il limite e il desiderio del suo superamento. Limite e possibilità formano un circolo “ermeneutico”, in cui una sfera di senso si appropria dell’altra senza ridursi, ma depositando fecondi semi, in un nesso vitale insito nella reciproca differenziazione del processo dell’individuo-artista che, ponendosi nell’abnegazione del pre-giudizio, installa la sua ricerca.
Il paradosso ontologico si scioglie in un esistenzialismo jaspersiano. Il limite diviene cifra del trascendere: si va verso la perdita del limite e delle possibilità che contiene, in quanto non è più il “medesimo” e neppure ancora l’“altro”. Quel limite è principio ineludibile del pensiero intellettivo ed agente. Il soggetto non si dichiara chiuso ma prefigura un al di là da mirare. La trascendenza, dunque, “abita” nel limite “di fronte”, aprendo la distanza che permette il dispiegarsi delle possibilità per attuare il pensiero e l’esistenza stessa. Quel senso di urto fichtiano, contro una resistenza trovata, non si presenta come passivo e come fenomeno patologico ma come chiave chiarificatrice ed esplorativa del contrapposto. La sintesi imperfetta dell’azione costituisce l’agire di quel limite, facendo insorgere talvolta un’insufficienza epistemologica teoretica nell’indagine e una tendenza sempre maggiore verso l’etica e la fattualità pratica. Il limite trova valenza nella prassi esistenziale.
Jasper, in un suo assunto, afferma che: «Ciò che esteriormente è determinazione e limite, interiormente è manifestazione dell’essere autentico».
Il finito è camminamento che tradisce il “vuoto esistenziale” per tradursi in istanza dell’apertura all’esserci. La tendenza, nel rimanere in quella specifica soglia, permette all’io di coltivare l’esperienza sua medesima nell’abisso della libertà. Dunque, il rapporto limite-libertà si esplica con il binomio esistenziale tentativo-decisione. L’esistenza tenderebbe a dissolversi, privandosi di un agire conscio, all’interno di quel limes individuato, esaminato e setacciato nei suoi tentativi circostanziali. Il “risultato” di tale prassi, se è possibile impiegare questo termine, non avrà un’esperienza dimostrabile come validata universalmente, ma richiederà il ricorrere alla proiezione visiva di un’esperienza vissuta nella sua paradossalità e veridicità dell’esistenza stessa del limite e delle sue implicazioni sul corpo-mente dell’individuo. Un cielo indomito.  

SONIA ANDRESANO | la linea orizzontale
a cura di Lori Adragna
dal 21 gennaio al 3 marzo 2024
Visitabile tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 17 – giorno di chiusura martedì
Casale dei Cedrati – Parco di Villa Pamphili
Via Aurelia Antica n. 219 – Roma
Telefono: 06 6227 8986