Una carriera longeva e straordinaria quella di Hicks. Dopo aver conseguito i diplomi BFA e MFA presso la Yale University, riceve nel 1957 una borsa di studio Fulbright grazie alla quale si trasferisce in Cile e proprio in Sudamerica sviluppa il suo interesse per la lavorazione delle fibre, traslando la sua indagine da un piano prettamente pittorico a un altro; un nuovo medium, il tessuto, che si fa luogo per eccellenza della sua progettualità creativa. Ha esposto a livello internazionale in innumerevoli mostre personali e collettive. È stata inclusa nella Biennale di Venezia del 2017, nella Biennale di Whitney del 2014 a New York, nella Biennale di San Paolo del 2012 in Brasile. Le sue opere sono presenti nelle collezioni dei più prestigiosi musei di tutto il mondo.
“Questo è il primo progetto che l’artista realizza nella mia galleria” racconta Francesca Minini. “Hicks ha immaginato una serie di elementi che arrivano dal cosmo dentro lo spazio espositivo, quasi cadono, come fossero dei meteoriti. Alle pareti ritroviamo le sue sfere, le sue “boules”, e poi al centro della sala principale una grande installazione realizzata con delle ruote che hanno misure così ingrandite da non renderle funzionali. Un effetto surreale quindi. Anche queste, sono come degli elementi che cadono dall’alto. Ad accoglierle, il colore dei gomitoli di lana che invadono lo spazio a terra. Un lavoro nuovo ma che si riallaccia in realtà a quello delle sfere: i raggi delle ruote dialogano all’unisono con l’intreccio finale che l’artista compone dopo aver creato una forma e giocato con i tessuti. Per concludere infine, i pannelli composti in dittici o trittici, lavorati in maniera uguale sul fronte e sul retro, trasformati dal paziente uso del filo in superfici pittoriche.”
E’ viaggiando in lungo e in largo per il Sudamerica che Hicks scopre la bellezza e la magia del filo, della tessitura e di una ritualità che già i murales realizzati tra il 1350 e il 1620 sulle pareti delle camere cerimoniali dei popoli Pueblo, denominati kivas, evidenziavano. Se duemila anni fa le popolazioni andine erano in grado di realizzare tessuti al telaio, l’annodatura, i lacci intrecciati e la tessitura attorcigliata erano già in uso intorno al 3.000 a.C. C’è tutto il dinamico retaggio visuale del continente sudamericano nel suo lavoro e la consapevolezza di un’eredità che va ben oltre quella manuale e oltre i criteri estetici per giungere alle credenze e ai valori che ne stanno alla base.
“Nell’altra stanza, adiacente a quella centrale, ritroviamo a una parete i “bâtons”, i bastoni, elementi arcaici utilizzati ancor oggi in Africa come arma e non solo con funzione di sostegno, assemblati insieme in una vera e propria esplosione di colore. E all’altra, a fare da contrappunto a questa energia cromatica così incisiva, un articolato gioco di strutture e di nodi totalmente bianco. Un’ opera molto elegante il cui ritmo – Hicks parla spesso di musica e di ritmo – è spezzato da questi bastoni che abbiamo composto e installato noi qui in galleria. Un processo lungo e difficile eppure divertente, ci siamo divertiti a cercare di capire cromie, sospensioni, intrecci. Ma Hicks ama molto che le persone collaborino anche alla composizione del suo lavoro e che partecipino così al suo gioco dell’arte.”
Questo approccio vitalistico, la sua capacità di tessere trama e ordito delle vicende umane tutte, crea un’energia invisibile, eppure palpabile, che scorre lungo un’asse tempo-spazio potenzialmente infinita. Un cosmo per l’appunto, dove corrono valenze alchemiche, poetiche e metafisiche di antica tradizione.
SHEILA HICKS | COSMIC ARRIVALS
Galleria Francesca Minini | Milano, Via Massimiano 25
fino al 17 luglio 2021