Plinio Mesciulam

Scompare Plinio Mesciulam

Artista mediterraneo creativamente-concettualmente mitteleuropeo. Nato a Genova nel 1926, uno degli artisti italiani che più acutamente e consapevolmente hanno vissuto la contemporaneità dell’arte e del pensiero, scompare, pienamente lucido e attento agli effetti della condizione pandemica da Covid 19 in atto, il 20 maggio all’età di 94 anni.


Ne dà notizia il figlio Massimo Mesciulam, attore, regista, pedagogo italiano. Della qualità di questo artista danno concreta testimonianza le opere conservate nelle collezioni permanenti di musei italiani e internazionali, il livello e la quantità degli eventi espositivi e delle uscite bibliografiche a cura di critici, storici, direttori di musei, epistemologi, artisti, a partire da Pierre Restany, da Aldo Giorgio Gargani, assidui frequentatori del suo lavoro, fino all’archivista statunitense Jean Brown.

La presenza dell’Archivio Mohammed al J. Paul Getty Museum Los Angeles, firmato dal grande architetto Richard Meier, insieme alla presenza di opere del Segno Precario e delle Epifanie Ostensibili al Museo Pecci di Prato e a quella negli innumerevoli siti online, diventanol’incontrovertibile espressione di un tributo ampiamente condiviso.

Dopo l’esordio, nel 1948, alla V Quadriennale di Roma, l’artista anticipa un significativo saggio della sua ricerca formale nelle Chine del 1949, esposte a Genova in una mostra personale al Caffè Venchi nel 1950: sorprendenti scomposizioni mentali di un impianto geometrico in una pura espansione segnico-calligrafica, protesa sul bordo del vuoto.

In seguito alle sollecitazioni, dapprima di Guido Le Noci e Gianni Monnet e poi di Atanasio Soldati, Mesciulam aderisce al M.A.C. (Movimento Arte Concreta) nel 1952, diventandone, nel 1953, membro del Comitato Promotore. In tale contesto l’artista ricompone la composizione, riservandosi un’uscita dalla geometria puramente ortogonale e prefigurando quelle che poi diventeranno le sue assidue frequentazioni dei dislivelli architettonico-strutturali. Solare o notturno, il vuoto è sempre dietro la soglia delle sue concrezioni immaginative e operative, come d’altronde l’informe in lui tradisce sempre la cancellazione o la ricerca di un fantasma di luce.

Tra gli anni 1950 e 1960  inaugura in pittura una maniera materica, apprezzata da Gillo Dorfles, ricorrendo all’uso drammatizzato del cartone ondulato. A partire dal 1962, intuendo l’importanza, ai fini di una fruizione estetica allargata, dei mezzi di informazione in una società di massa, attua una sua ricerca metalinguistica sull’interazione tra parola e immagine, promuove un’indagine su retini e strutture visive optical, anticipando significativi rinvii allo schermo video prima e poi alle elaborazioni digitali al computer. Tale ricerca culmina nella fondazione, insieme ad altri artisti, del Gruppo COND nel 1965. Ancora per poco, prima di un’interruzione della pittura, la forma naufraga dolcemente nel mare della luce, nell’onda del colore; in tracce grafiche ondulatorie, sospese sempre tra la luce e il buio, s’ingenera Venere, si nasconde Circe.

Da un’esperienza massmediale e di Verboscrittura Mesciulam perviene all’ingrandimento fotografico di reperti di calligrafia corsiva quotidiana. Il processo viene messo a fuoco in un testo fondamentale: Macroscopia del segno precario del 1973, edizioni Rinaldo Rotta, Genova. Il volume, che suscita un interesse inconsueto in critici come Filiberto Menna e Renato Barilli e in artisti come Ugo Carrega, viene richiesto ed acquistato dall’archivio di Hans Sohm a Markgromingen e poi a Stoccarda, dal Jean Brown Archive di Tyringham, Massachussets, dal Franklin Furnace di New York e dall’editore Abrams, sempre a New York, che ne ordina venti copie.

La precarietà del segno s’innesta sulla precarietà dell’uomo, che, con le Epifanie Ostensibili, del 1976, ne diventa portatore addirittura in processione, anche in un’occasione eccezionale come quella della Settimana Internazionale della Performance, nel 1977 a Bologna, a cura della compianta critica Francesca Alinovi. Dopo le Epifanie Ostensibili, che mostrano al passante la bellezza del loro senso spezzato, disarticolato nella visività del segno, che altro non può essere che precario, è Il minimo gesto dell’uomo che viene enfaticamente osteso con gesto trionfale nelle architetture-sculture dei Trionfi, del 1978. Nel 1976, tuttavia, ha già preso prepotentemente forma quell’istanza irrefrenabile verso l’ecologia di una Comunicazione Ristretta, che ha spinto Plinio Mesciulam a una sostituzione di persona, facendogli assumere l’identità pirata e la natura vampiresca di Mohammed, nato con un destino di diffusione intercontinentale, davvero come Incunabolo della comunicazione connettiva delle reti, secondo la brillante definizione del critico internazionale Pierre Restany, come incrocio planetario di mittenti e destinatari sulla lunghezza d’onda di un dialogo strappato al ronzio dell’informazione e scaturito dal silenzio abissale della solitudine dell’artista.

Nel continuo percorso transmediale di Mesciulam, il ritorno alla pittura della fine anni Settanta è sotto il segno dell’eccesso, della complessità, della struttività pitto-scultoreo-architetturale, delle modalità formali a germinazione cellulare, di ascendenza secessionista, accostate a forti eventi materico-gestuali. Il tissulare del retino tipografico, già frequentato nella cosiddetta esperienza pre-mediale, diventa il cellulare delle sue germinazioni pittoriche. Sono nati i primi quadri denominati dall’artista stesso Iperdecorativi.

Come nel Surrealismo la realtà si confronta con il delirio del sogno, così nel Sovraespressionismo di Mesciulam l’espressione si confronta con l’inesprimibile del linguaggio. Dall’inespresso del Segno Precario (1973), dal rigetto dei luoghi deputati delle Epifanie Ostensibili (1976), dalle Unità di Comunicazione Ristretta del Centro Mohammed (1977), l’artista transita nella condizione sovraespressionista dei cicli, che significativamente denomina Boehme e Horrores, nel 1987, e negli anni successivi Prigioni, Lande Urbane, Emblegrammi, Ghost Art, Essentiae, Ectolassie, dove non cessa di monumentalizzare l’icona a livello estetico-etico. Mentre costruisce un linguaggio personale fondato sul symbolon/diabolos, sulla metafora, sull’allegoria, sui topoi del sacro e del profano, decostruisce e frammenta l’ossatura della parola come portatrice drammatica di senso e nonsenso o lirica di poesia, per farne un subitaneo e fulgido lampo di memoria e di emozione. In lui il pensiero forte fa razza con il pensiero debole, la qualità sfida la quantità. Ne deriva una Weltanschauung tempestosa e tersa al tempo stesso, attraversata da fervori e da orrori.

Tutta la sua opera è tesa lungo il doppio filo, rosso-nero, dell’aporia, dell’ossimoro, del costrutto positivo e del suo analogon in negativo, ed è proprio in virtù di questa lotta permanente che il suo pensiero si materializza in immagini che non cessano di schiudere porte su enne dimensioni, dai paradisi immateriali dello spirito agli inferni delle prigioni, dai ribollimenti vampireschi ai geli delle Lande Urbane, delle Case del delirio, dei Paesaggi di neve. La sua forza fisico-morale è in qualche modo il riflesso della sua architettura immaginativa. Il suo quotidiano è una gara di resistenza contro le cadute di energia, i black out del corpo e dell’animo. Non c’è provocazione a cui l’artista non reagisca, domanda a cui non risponda.

Albe, aurore, tramonti al di qua o oltre la collina sono rimandi a condizioni emotive unite a dischiusure di soglie di conoscenza, transiti dal fisico al metafisico. Correndo e ricorrendo su tornanti metaformali, egli concretizza un impulso immaginativo in una struttura bi e tridimensionale o in un elemento di arredo urbano o domestico, comunque ambientale.

Plinio Mesciulam, genio mediterraneo, tende verso la Mitteleuropa proprio come Böcklin, genio mitteleuropeo, tende verso la Mediterreneità: entrambi oscillano tra la misura e la dismisura, tra la sottrazione e l’eccesso, tra la luce e l’ombra, lo spazio vuoto o vorticoso. Quel vertice-abisso che l’artista svizzero tocca nella Toteninsel, viene colto, giusto alle soglie del terzo millennio, da Mesciulam nell’abbacinata Totentanz dei suoi filanti ed affilati Ritratti d’ombra.