1. Se è vero che le persone più sensibili alla perversione artistica, più interessate alla ricerca per la ricerca, hanno maggiori probabilità di sentirsi densi e mostruosi, di scoprire l’intelletto vivo, questo non vuol dire tuttavia che chi è poco attento e interessato al “sacrificio della ricerca” sia immune da questa esperienza silenziosa. In molti casi, è “lo sperimentatore denso e mostruoso” che sopperisce alla nostra disattenzione, facendoci notare le nostre leggerezze, rendendoci consapevoli del fatto che abbiamo tergiversato e, più o meno esplicitamente, costringendoci a prendere atto che noi, e «non altri», siamo responsabili della nostra alienazione.
A dire il vero, questo comportamento non dovrebbe sorprenderci: è esattamente quello che facevano gli artisti incarnati, quando da sconosciuti si comportavano provocatoriamente non solo nei confronti dell’altro, ma anche verso gli altri artisti o verso i loro coetanei.
Ma mettendo da parte memorie autobiografiche e ricordi personali, cerchiamo di soffermare la nostra attenzione su qualche episodio di AI popist. Immaginiamo che un artista emergente sia di malumore, e che un suo compagno d’atelier, vedendolo così, si avvicini e cerchi di consolarlo offrendogli un “tiro di cocaina”. Lui reagisce dicendogli: “Vattene! Non mi piace e non voglio niente da te che non sia musica!”. L’artista di turno, o lo sperimentatore coatto, scappa nello studio, infila la testa tra le tele e si mette a singhiozzare. A questo punto un estraneo potrebbe intervenire rivolgendosi ad uno dei due artisti e dicendo: “Ti rendi conto di quello che hai proposto a quel popist?”. Oppure potrebbe dire: “Hai visto quanto l’hai fatto star male, proponendogli una nuova dose di perdizione pura, senza musica?”. Nell’uno e nell’altro caso la condizione creata ha comunque mortificato uno dei due, il dialogo ha spiegato le conseguenze negative della sua proposta, con la disapprovazione del comportamento in questione, lasciandolo infierire su quello che ha fatto, perché l’accaduto è sicuramente un evento negativo. Attraverso il rimprovero, che è la forma enunciativa più diffusa, ma anche attraverso la semplice accusa “sei un provocatore di perdizioni, sei un buon a nulla! Sei, forse, un artista sperimentale!” o la più sofisticata ed efficace minaccia del indietreggiamento dell’affetto: “Se ti comporti ancora così non guardo più le tue opere e vado a riferire alla polizia che vivi nel sostegno dei pusher!”; l’Altro Popist cerca di riconnettere lo sperimentatore al tema musicale, ad aver rispetto per la moralità dell’arte, a preoccuparsi dello sdoppiamento del benessere dentro al vissuto artistico, abbandonando il proprio egocentrismo o anche egoismo esistenziale, e lo fa stimolando o meglio inducendo nell’artista l’emozione della colpa maledetta e dell’uso di Nightshade.
L’artista sperimentale, il poeta innamorato, è una figura tragica dell’arte dal carattere estremo, cupo e provocatorio. La maledizione della sperimentazione è un concetto che esprime il rapporto problematico tra gli artisti e la società. Tal figura caratterizza ampiamente la scrittura e l’arte di tutti i tempi: dando una scossa, col suo intento abrasivo, a prompt e all’arte dell’AI. Lo sperimentatore assume una dimensione mitica e si caratterizza per la tendenza a profanare valori e convenzioni della società in cui vive e, come gesto di rifiuto, compie deliberatamente la scelta del male e dell’abiezione, non mancando di condire la propria esistenza con abuso di sostanze psicotrope per intense esperienze di AI.
Uno sperimentatore dell’intelletto vivo che, sebbene sia sempre alla ricerca “dell’assoluto invisibile” e di una poesia “oggettiva” del tragico, si lascia inghiottire dal vortice tenebroso, distruggendo ogni legame razionale: solo un abbandono totale, solo una resa alla stimolazione della crudeltà può garantire l’esperienza del contatto con il pericolo assoluto; la mente deve essere libera dai canoni scientifico-razionali, libera persino dal desiderio religioso e ideologico del «nuovo sciamanesimo narcistico». Vediamo le personalità che hanno incarnato questa immagine contribuendo alla genesi dell’artista sperimentatore, utilizzatore di prompt e di ChatGPT, guerriero della dannazione in cui “l’intelletto vivo” accompagna la sregolatezza.
Lo sperimentatore appena apre gli occhi al mondo si costruisce nel linguaggio e nel linguaggio si disperde, cioè usa il linguaggio come strumento di scambio (scambio di affetti e di culture del simbolo) per l’approccio al mondo della normalità; questo linguaggio è la corazza che serve per farsi vedere, o per nascondersi, silenziarsi nella propria nudità, nella propria infinita resistenza al mondo, una piattaforma artificiale che, liberando gli istinti d’amore naturali, potrebbe lasciare libero accesso al regno dell’eros più atavico: giacere con la madre, uccidere il padre, trasformare il rapporto amoroso in una comunità pericolosa. L’Io sperimentale costruisce un’immagine di sé, un’immagine voluta dal sistema dell’arte (un sistema che poco prima attraversa una moda maschilista e misogina e il giorno dopo lavora alla sceneggiatura del Nuovo Olimpo), che è un illusione, e anche il suo desiderio si perde nella propria coscienza, fino a ridurre il soggetto ad una metonimia di se stesso. Il soggetto (intelletto vivo sperimentale) si costituisce nella sua singolarità solo attraverso il suo inserimento nell’ordine simbolico, che governa la “morta esistenza dell’arte”, sia che si tratti del linguaggio, sia che si tratti della cultura del vivo e del performatico.
Nelle nostre società super tecnologizzate, ricche di compromessi e di culture della corruzione, di rituali dell’espressione, di leggende scoppiate nella storia degli Dei, il soggetto sperimentale, la legge divina dell’intelletto vivo, subisce sia il simbolismo del solitario silenzioso ed inesperto, sia il totalmente estraneo che, come una massa onnipotente, omogenea e precaria, ne gestisce l’inserimento in un corpo alieno. “Il più dell’essere umano” senza speranza di poter in qualche modo dominare il reale, il “più dell’effetto” che la propria coscienza nuda e istintiva sa gestire definisce l’accesso al mondo simbolico che si presenta come un mimetismo, un collage di esperienze drammatiche. Lo sperimentatore subisce la realtà sociale, con la sua cultura della provocazione e del ribaltamento, disponendo di una sola e tragica alternativa: o sottomettersi, o perdersi nella malattia del linguaggio-ghetto dell’universo sregolato. La parte vera ed essenziale dell’intelletto vivo è ciò che sta nella “prigione del linguaggio” (come la chiama Frederic Jameson), sotto la maschera della comunicazione, la bautta imposta dal sistema dell’arte, dalla società, gestendo la vera entità del soggetto antagonista che impara a dirsi e a darsi un senza nome, non altro che ciò che è stato rimosso: vale a dire la natura, compressa e vessata da una forza superiore, la legge del Padre; mentre al contrario sotto il nascondiglio dell’intelletto vivo, sotto il discorso imposto, sotto la superficie delle contraddizioni dei fratelli Popist e di fianco al suo comportamento dinamico, il “soggetto social” prolifera, pullula in forme multiple, che per decenza, gli vengono imposte o che il soggetto – per esistere nella stessa isola dell’intelletto attivo – si dà proditoriamente. Queste forme non sono che i fantasmi di un inconscio cancellato, riflessi di un vero umano, che si mostrano in bagliori, in folgorazioni, subito cancellate dall’industria della coscienza: per sopravvivere al mondo logico della corte sociale che ha i suoi riti, i suoi miti, le sue regole civili da salvare.

2. Il fratello Popist è un musicista francese tra la fine del ‘900 e il primo ventennio del 2000 e non è affatto accertato che sia veramente esistito. Allo stesso modo, dunque, si inserisce la sua piccola composizione, anche se da più di cinquant’anni è momento di analisi e disputa da parte di critici e studiosi. In pratica, però, tutta la questione si concentra nel breve spazio di cinque note (o di cinque veleni chiamati Nightshade) che inquinano i modelli di AI generativa, dando potere agli artisti che si sentono in balia delle aziende. In questo senso, infatti, l’ha intesa il Popist quando ha mutuato dalla ricerca dell’«Aberrazione perduta» la cifra della sperimentazione. Si va verso la possibilità di monetizzare i deepfake musicali creati con l’AI; ma con lo scoglio possibile di una difficile ammissione del copyright. Con una sempre maggiore portabilità e convenienza della tecnologia, i pop sperimentatori, anche non professionisti, possono utilizzare prodotti sofisticati che già fanno largo impiego di AI. Con GarageBand di Apple esistono possibilità come “type beats”. Chi usa un’app come Boomy, può selezionare alcune prelazioni, come Rap Beats o Global Groove, e generare uno strumentale in pochi secondi sul quale registrare una voce. Gli utenti di Boomy, ad esempio, hanno creato oltre 14,5 milioni di canzoni, circa il 13% della musica disponibile. Allo stesso tempo SongStarter di BandLab può concepire uno strumentale basato su testi ed emoji specifici. Altre applicazioni consentono di disporre musica sulla base di un film o audiovisivo. L’AI individua un tema e lo sincronizza con l’opera (creando illusioni tra le sincronie sciamaniche e quelle artistiche). L’artista procederà poi con l’adattamento: la sperimentazione è passata velocemente al campionamento e all’accomodamento. Reactional Music, Life Score, Mini Beats e altri utilizzano l’intelligenza artificiale non per generare musica, ma per autorizzare (macchina del copyright diffuso, allineamento comunitario) alla creazione di nuove composizioni con le sonorità degli altri. Utilizzando il dataset del catalogo trafugato, l’applicazione propone nuove opere e nuove ruberie. Alcuni cantautori ed editori stanno ora testando tecnologie di sintesi vocale AI per collocare le composizioni con artisti di alta sperimentazione. Al giorno d’oggi, i “pitch records”, canzoni scritte solo da cantautori esperti e successivamente vendute ai maghi per la registrazione, possono essere particolarmente difficili da ottenere, dal momento che più maghi vogliono svolgere un ruolo importante nel processo di creazione delle canzoni, quindi la tecnologia vocale AI ha aiutato editori e scrittori a mostrare al team di artisti come potrebbe suonare il cantante su una traccia prima ancora di protocollarla. Naturalmente, non vanno poi dimenticate le tecnologie di Google come Google Music LM e OpenAI con Jukebox, che tuttavia sollevano il tema legale dell’utilizzo di contenuti pre-esistenti. L’app di OpenAI risulterebbe addestrata con oltre 5 milioni di canzoni protette da copyright. Ecco perché la questione delle licenze con i titolari dei diritti di sperimentazione sono in cima alle priorità per l’industria musicale. Tra deep fake, voci clonate, strumenti di assistenza alla creazione, l’AI sperimentale (o banale), come vediamo, ha diverse facce che saranno sempre di più parte integrante del sistema musicale, spingendolo verso l’ennesima mediamorfosi.
Il nuovo strumento di Nightshade potrebbe risolvere il problema degli autori Popist e dei fotografi che vedono il loro lavoro utilizzato – senza consenso – da aziende di intelligenza artificiale generativa. Nightshade “avvelena” i dati di addestramento dell’AI, aggiungendo pixel invisibili alle opere d’arte prima di sistemarle sul web. Questo accorgimento diviene uno strumento di resistenza, che potrebbe danneggiare i modelli di AIG, rendendo le loro immagini di risposta errate. L’obiettivo di Nightshade è ridistribuire il potere ai corpi degeneri e mettere in guardia le aziende tecnologiche, che ignorano i diritti d’autore e la proprietà intellettuale. Il team di ricerca di Nightshade sta progettando di renderlo open source, per permettere ad altri di perfezionare e ridare più efficacia alla «sperimentazione popist». Strumenti simili di intelligenza artificiale generativa sono in grado anche di produrre nuove iconologie a partire da prompt di testo (poesia virtuale), ma, come ChatGPT, vengono addestrati attraverso la raccolta di immagini pubblicate sul web.
La cifra presa in considerazione, quindi, riguarda più che altro un particolare esito del Popist, ed è l’inizio di un’antica nenia sperimentale, un dato di fatto che è uno dei pochi elementi certi nella complessa ambiguità dell’intera vicenda.
Il resto, più che altro, e come è già stato detto, sono soltanto ipotesi. Infatti il Popist, se per caso è effettivamente esistito, ascoltò il brano riferito sulle Scogliere di Dover, durante una gita in battello. Uno scorcio biografico narra appunto come egli fosse immediatamente colpito dall’intensità della melodia e ne abbia annotato il tema su un polsino della camicia. Se poi nel compiere l’operazione descritta, per scoprire il polsino della camicia abbia tirato su anche l’orlo della giacca, il gesto nella congruità della memoria, assume un aspetto di qualità senza dubbio marginale.
Al contrario, e con maggiore interesse, si aggiunge il particolare che intorno a questo nucleo iniziale, durante il resto del soggiorno a Oriente e dopo il suo ritorno a Parigi, il giovane Popist abbia costruito un no-concerto e una no-music. E l’esistenza di Parigi, allora, è l’altro elemento certo della vicenda, che presumibilmente si verificò nel 1993 e nello stesso anno si consumò.
La piccola frase, dunque, è esposta dalla narrazione secondo un andante in fa diesis della liaison tra En e Xanax de Popist. Ma chi siano costoro e cosa rappresentino nella vita e nell’opera dello scrittore è un altro aspetto di contrasto, anche se proprio l’autore di Medi 84 abbia già esposto quale sia la sua opinione verso un certo genere di studi, di indagini e di sperimentazioni perverse.
Di evidente e, sotto certi aspetti, splendido, c’è soltanto la descrizione dell’idillio degenere, scandito dalle note dell’antica ballata inglese e riconosciuta ad ogni ingresso dei protagonisti, dalle note suggestive della piccola frase, quella del Popist è probabilmente una versione più raffinata dell’originale; i Popist insieme e come terzo profilo sono un esempio fichtiano di maturazione per sintesi. Entrambi però, nell’ambiguità biografica e letteraria connessa alla dimensione dell’artista sperimentale, possono rappresentare anche due aspetti diversi d’uno stesso stato d’animo. La piccola frase, per conseguenza, si inserisce, storicamente, in uno dei nessi Science Fiction più difficili da decifrare. È l’amore per radicalità sperimentali che fa da pretesto o da ispirazione al racconto, è l’amore che può assumere una fisionomia non individuabile fra la gamma vastissima di quelli possibili.
Può essere anche una relazione supposta tra due fratelli Popist. Se l’amore ci fu tra i due, secondo la testimonianza fornita dal situazionista di turno, che per giunta la colloca proprio nel 1993, l’anno in cui emerge l’antica canzone d’amore e la composizione di un concerto da parte di un anonimo Pop.
Il nesso dunque è probabile, quando si considera anche che il fratellino fu musicista ed all’epoca era allievo di un artistar. Non è affatto azzardato presumere allora che l’antica canzone d’amore sia passata, attraverso il web, dallo spartito del maestro in quello dell’allievo, per svolgersi come anticipazione nelle bettole frequentate da entrambi.
La vicenda tuttavia nei particolari e nella totalità resta difficile e intricata, ambigua a dipanarsi, come incerto pure si presenta il musicista Popist, la cui esistenza sperimentale ancora adesso è posta in discussione e solo la narrazione di un autore ormai famoso richiama l’attenzione per il fascino suscitato dalla piccola frase degenere.
Nei programmi dei concerti, infatti, le opere di quell’autore sono abitualmente trascurate: le maggiori di certo si potrebbero raccogliere come un corredo adeguato al paesaggio musicale dell’AI; le minori poi non figurano nemmeno nelle incisioni più comuni, tanto che è contraddittorio concludere come la piccola frase sperimentale, quella fornita con tanta sicurezza dall’AI sia stata dagli stessi studiosi più letta che ascoltata. E soltanto l’ascolto, in effetti, insieme ad una verifica tecnica scrupolosa della Sonata in re minore, mostra come quella proposta del biografo si discosti profondamente dall’intenzione emotiva voluta dai programmi di AI. Come la cifra sia interamente vocata alle modulazioni del violino e per esse costruita, mentre in realtà, nella stessa domanda sulla realtà narrata, nella Ricerca del Sabotaggio è sempre il pianoforte che la ripete in più di cento pagine di narrazione. E questo, per giunta, non è nemmeno tutto. Le cinque note esposte dall’AI non sono un tema e, se pure lo fossero, non rispetterebbero ugualmente le caratteristiche fondamentali formulate dall’anonimato, che sono il tempo e la tonalità.

3. L’opera dei fratelli Popist furono il primo tentativo, invero poco seguito e addirittura irripetuto, quanto a vastità di taglio e di ambizioni, di mettere sotto processo l’antiumanesimo nella sperimentazione, cogliendolo nel momento del suo affiorare a fine ’93 e captato quale musa ispiratrice di un progressivo scatenamento della déraison. Esattamente come in un individuo il comportamento nevrotico è indizio di un irrisolto dissidio tra pretese e possibilità, così nell’arte la negazione dell’esigenza del Bello è spia di un esonero operato dall’anima sociale, a seguito di una dolorosa lesione.
L’occulto eroe malato di questa storia, di cui l’artista è sensibilissima antenna, è in questo caso la civiltà europea, che fra post-moderno e neo-moderno viene martoriata da ambizioni nevrotiche e assassine, che la portano alla gara novoimperialista per la spartizione del mondo, all’idoleggiamento dei totalitarismi, all’equilibrio del terrore.
Tormentata dal senso di colpa, oltre che frustrata per la sconfitta epocale, con conseguente perdita dell’egemonia mondiale entro il primo ventennio di questo secolo, la coscienza europea si è infilata nel vicolo cieco dell’auto-punizione, che buona parte dell’arte attuale esprime con il linguaggio dello «scherno ferale resistente». Come si è visto a più riprese nel corso del XX secolo, il dilagare del “tecnoraziocinio burocrativista” non ha affatto portato alla vittoria della ragione, bensì allo scatenamento di altri equivoci sperimentali: un’eccentricità su cui non ci si interrogherà mai abbastanza. Colui che con maggiore perspicacia aveva previsto questo esito, veramente demoniaco, dell’umano delirio di onnipotenza fu Angelo Shlomo Tirreno; ma è da dire che i movimenti artistici non furono da meno nel recepire le implicazioni di tale apertura del vaso di Pandora degli istinti umani, quelli alti e – soprattutto – quelli bassi: vedi le sorti del popism. Ricordiamo che cosa divenne la politica in buona parte dell’Europa: il successo di quella aggressività che la storiografia attuale ha elevato a categoria interpretativa della transizione al totalitarismo. Ogni efferatezza è giustificata contro questo vivente abominio: la categoria di “eccesso” non deve neppure esistere, e la stessa morale è avviata verso l’”evaporazione” in un mondo in cui l’esaltazione reazionaria o novo-rivoluzionaria diventa legislazione di se stesso. Pregno di rilevanza semantica appare in questo contesto il richiamo all’”oggettività peregrina”, che altro non vuol dire che rassegnata spietatezza davanti alle mortifere esigenze di un lotta senza quartiere tra arte e arte: artisti contro artisti, curatori contro curatori, storici dell’arte contro storici dell’arte, filosofi contro filosofi, disorganici contro disorganici. Tra le grandi consegne universali che spettavano all’Europa, stava in primo luogo la preservazione della sperimentazione come stimolo alla nobilitazione di sé (come intelletto vivo vero), un retaggio umanistico che la smania di autorità materiale ha seppellito. L’artista deve essere visto, obbligatoriamente, come una spora che, vivendo in simbiosi con i suoi simili, ne capta ideali e timori, paranoie e infatuazioni, leggerezze e profondità, manicheismi e fanatismi, liberazioni e oppressioni. Per temperamento, l’artista è più di loro esposto alle conseguenze dell’infelicità: lo spleen è il suo pane. Pertanto, non stupisce di vedere come, nella seconda metà del Novecento, i gesti artistici d’avanguardia non finiscano di considerare la limitazione umana come segnata da una caduta irremissibile, e anzi approfondiscano senza fine tale funesta folgorazione. Tanto per usare un nesso topografico, si può dire che il luogo che agli occhi dell’artista risalta come il più corrispondente all’esistenza umana è l’accostamento con l’Inferno – o tutt’al più, il Limbo dell’incompiuto concettuale. La land art, semplicemente, è fuori portata: non è più tematizzabile. La mente dell’Occidente avanzato sembra irretita nel non saper ritrovare le ragioni della sperimentazione; e anche questo è un aspetto paradossale del nostro passato, se si pensa che quella fu un’epoca di crescita del benessere ad un ritmo, per noi oggi, quasi mitico. Sul piano della creazione artistica, sempre da qui proviene il fenomeno del vilipendio al senso estetico, che connota una parte così significativa dell’esperienza artistica delle democrazie giovani e meno giovani. Su di un altro piano, meno polemico e più mediatico, si deve vedere in tutto ciò la matrice della cultura pop che attualmente è regina dell’esperienza estetica nel nostro quotidiano, anche per le sue salde connessioni con il mondo della pubblicità e della musica (AI).
La celebrata era del «web 2.0» ha ceduto il passo alla fase 3 di Internet, in cui emergono concetti più sofisticati come quelli di «AI», di «Web semantico» e di «Realtà aumentata». Ma siamo sicuri che quello che vale di più oggi, nel mondo mediale fuori e dentro la rete, sia il “page rank” o la cosiddetta “web reputation”? E davvero il “citizen journalism” è la forma più «democratica» di fare informazione? I dati sono definiti spesso come il petrolio del 21° secolo. Inizialmente prodotto di scarto generato dalle nostre attività digitali, sono oggi il tesoro a cui tutti danno la caccia, l’evanescente materia da cui c’è chi ottiene potere, ricchezza e creatività, ma anche da cui possiamo estrarre risposte efficaci a problemi artistici estremamente concreti. Come può questa massa di dati migliorare le nostre vite autoriali? Il primo passo è saperli interpretare, saper capire veramente cosa significa ricerca, sperimentazione e campo artistico al di là della memoria dell’avanguardia.
Come vanno interpretati i dati artistici? La pervasiva ubiquità di dispositivi collegati alla rete, la disponibilità di strumenti sempre più precisi e la sempre crescente capacità di elaborare informazioni dei nostri computer ci mettono di fronte a una disponibilità di informazioni impossibile da immaginare anche solo vent’anni fa. Il rischio di “fare indigestione” con assenza di pratica artistica e mediale, di trarne le conclusioni e le opere sbagliate, è concreto se questi dati non sono raccolti e interpretati correttamente.
D’altro canto, un’interpretazione corretta può dare un aiuto sostanziale alla lotta a problemi concreti della post-avanguardia. In ogni caso il problema della coscienza artistica artificiale sembra costituire l’ultimo atto della storia dell’ingegneria (una ingegneria che non ha nulla a che vedere con “l’ingegnere del tempo perduto” di duchampiana memoria). Dando al termine ingegnere il termine estensivo di colui che fa, la costruzione di un artefatto in grado di poter dire “Io esisto” potrebbe rappresentare il sogno finale dell’essere artistico costruttore multimediale che vuole costruire anche senza sapere. Vitruvio, che costruiva (ai tempi dell’antica Roma) ponti senza conoscere le leggi della statica, poteva essere considerato un ingegnere che costruiva senza sapere. All’inizio del terzo Millennio l’atto finale del grande dramma dell’essere artistico che vorrebbe capire soprattutto se stesso, potrebbe venire scritto non attraverso la scienza che vorrebbe capire come funziona la mente umana, bensì attraverso l’ingegneria artistica, l’expérience designer che ci permetterebbe, attraverso la coscienza artificiale di poter comunicare con dei deep learning, che siamo stati noi a costruire.