Federica Di Pietrantonio, Farming, 2023, exhibition view. Photo by Giorgio Benni; courtesy Re:humanism

RE:HUMANISM 3. Esplorazioni tangibili tra arte contemporanea e ultime frontiere delle tecnologie avanzate

Fino al 18 giugno 2023, negli spazi di WeGIL, hub culturale della Regione Lazio, gestito da LAZIOCrea, nel cuore di Trastevere a Roma, è ospitata la mostra collettiva Sparks and Frictions del Premio Re: Humanism 3, curata da Daniela Cotimbo.

È Sparks and Frictions il titolo della collettiva di RE:HUMANISM 3 Art Prize, premio biennale giunto alla terza edizione che incentra il suo focus sul rapporto fra arte contemporanea e intelligenza artificiale curato da Daniela Cotimbo. L’esposizione vede protagonisti gli artisti finalisti che hanno esplorato le sfide e le opportunità, derivanti dal legame tra mondo naturale e tecnologico, con il primo premio per Joey Holder, il secondo per Riccardo Giacconi e il terzo per Alice Bucknell. Seguono le opere di Robertina Šebjanič, Pier Alfeo, Alice Bucknell, Mara Oscar Cassiani, Federica Di Pietrantonio, Yue Huang, Ginevra Petrozzi e Sahej Rahal. Mara Oscar Cassiani ha ricevuto la Salvatore Iaconesi Special Mention e Yue Huang l’Emerging Prize. Si sommano i due progetti performativi che verranno ospitati, in autunno, al Romaeuropa Festival. Omonima al premio, è l’Associazione fondata nel 2020 e di cui è Presidente e curatrice Daniela Cotimbo, Co-fondatore Alfredo Adamo e Coordinatrice Marta Bracci. Sin dalla sua nascita, l’Associazione organizza attività culturali come mostre, festival, convegni, progetti educativi e ricreativi e si impegna nella pubblicazione di libri e cataloghi e alla partecipazione in conferenze di approfondimento sul binomio arte e tecnologia. Si avvale di collaborazioni con diverse Istituzionale, sia a livello nazionale sia internazionale, quali AlbumArte, Fondazione Romaeuropa, RUFA, 3DXR e Sloweb. Le tematiche indagate sono gli aspetti ispirativi per gli artisti che generano “scintille”, il rapporto con altre specie viventi, l’ecologia, le nuove narrative, le esplorazioni spaziali, gli “attriti” o forme critiche di tecnologie come le intelligenze artificiali e il nuovo spazio digitale, il Metaverso, in cui le relazioni tra le persone e il mondo digitale si sviluppano e le interazioni uomo-macchina. Altri campi sono la riflessione sul rapporto dell’essere umano e le tecnologie che gli consentono di esplorarlo e interagire con esso ma anche la messa in discussione dell’attuale logica di estrazione di risorse e dati, spesso basata su un approccio estrattivo e insostenibile, l’analisi critica sulle pratiche di biohacking, e il potenziale creativo delle macchine di arrivare a influenzare la nostra comprensione del mondo e le capacità inventive. RE:HUMANISM nasce nel 2018, periodo in cui si iniziò a percepire il bisogno di approfondire l’Intelligenza Artificiale e gli impatti che si verificano nella nostra società che continua a rinnovarsi con le nuove scoperte tecnologiche. Si evidenzia, quindi, l’interesse quella tecnologia che sia in grado di porre l’attenzione su diverse riflessioni etiche, sociali e filosofiche, al fine di interrogarsi sui possibili bisogni, sviluppi e modalità di utilizzo della stessa come strumento. Il Premio, che nel 2019, ha avuto la sua prima edizione Art and Artificial Intelligence, a Proactive Vision of the Future that awaits us con l’accento sull’offrire una visione proattiva del futuro, attraverso una riflessione speculativa sull’IA come medium,  e svoltasi nel centro di produzione artistica e culturale di AlbumArte, la sua seconda edizione nel 2021 Re:define the Boundaries, con l’esigenza di indagare le implicazioni politiche, sociali ed estetiche degli algoritmi di IA e fornire una prospettiva sul futuro di queste tecnologie, presso la Fondazione MAXXI di Roma, quest’anno è ospitato nella sede della Regione Lazio WeGIL, sita nel cuore del quartiere Trastevere di Roma. Inoltre, l’Associazione RE:HUMANISM ha curato diverse mostre nell’ambito come Don’t you Forget About me nel 2021, e Distrust Everything di Lorem nel 2022, e ha promosso progetti performativi per il Romaeuropa Festival, impiegando diverse tecnologie innovative per interagire con il pubblico. La realizzazione del Premio è stata possibile, grazie al lavoro del team dell’Associazione e del supporto degli Sponsor principali, come Alan Advantage srl attivo nel campo dell’Innovazione per l’ attività di consulenza strategica e di Frontiere srl che si impegna nella creazione di un ecosistema d’innovazione etico e sostenibile per le aziende, e del il Patrocinio della Regione Lazio e dell’Ambasciata della Repubblica di Slovenia a Roma, e del supporto di LAZIOCrea, WeGIL, translated., Wallife risk&protection research, Fondazione Romaeuropa a Roma, e del Media partner di Exibart.

La Giuria della terza edizione del premio biennale comprende: il CEO di Alan Advantage, Alfredo Adamo; Daniela Cotimbo; il Direttore del Centre d’Art Contemporain Genève, Andrea Bellini; la Direttrice del Digital Art Museum di Milano, Ilaria Bonacossa; l’artista Carola Bonfili; il Direttore del DIAG, Università “La Sapienza” di Roma, Tiziana Catarci; il ricercatore scientifico del MIT-IBM Watson AI lab Di Cambridge, Mauro Martino; la scrittrice e ricercatrice indipendente, Laura Tripaldi; la Romaeuropa Digitalive Commission composta dalla curatrice  indipendente e critica d’Arte, Federica Patti, e dallo staff curatoriale di Re:Humanism; dall’artista e cyberecologista, Oriana Persico; il systemic designer, Daniele Bucci; il filosofo e umanista digitale, Stefano Capezzuto; la curatrice d’arte indipendente Arianna Forte e l’artista Nikky. Le nuove tecnologie stanno alterando profondamente la nostra concezione sul vissuto in termini di tempi e di spazi significativi, corpo e identità, rendendo necessario per l’arte contemporanea confrontarsi con i nuovi media e con le nuove estetiche, ed evidenziandone potenzialità e contraddizioni.

Al centro della sala, l’opera Zoophyte dell’artista Joey Holder propone la riscoperta della criptozoologia, pseudoscienza che guarda storie aneddotiche su animali leggendari e affermazioni rifiutate dalla comunità scientifica, dando vita a un paesaggio immaginario di creature “off-limits” sconosciute o delle quali si hanno materiali scientifici poco approfonditi,  stimolando così la riflessione verso  diverse modalità di conoscenza, e tracciando un confine tra realtà e fantasia che possa offrire un’interpretazione visiva e filosofica su prospettive leggendarie. Metodo scientifico, folklore, mito e tradizione si intrecciano concettualmente e visivamente nel rapporto spaziale dell’installazione che impiega monitor con una cornice che è quasi elemento grafico.  Un albero filogenetico diagrammatico del mondo unisce entità immaginate e speculative che si sarebbero evolute a partire da una frequenza sonora e dall’antenato comune, lo zoofita. Arricchiscono la complessità gli organismi esistenti come il plancton, specie marina provata scientificamente ma che non riesce a muoversi spontaneamente, in quanto viene trasportata dalle correnti del mare e che pone tutt’ora interrogativi sulla sua evoluzione. L’artista, infatti, ha interrogato dei biologi marini che gli hanno trasmesso le loro conoscenze su questa specie e ha poi utilizzato l’intelligenza artificiale per comprenderne meglio le caratteristiche. Attualmente l’86% di tutte le piante e gli animali terrestri e il 91% di quelli marini, non sono stati ancora nominati e catalogati. Gli studi dell’artista permettono di affrontare le aree di ricerca di alcuni criptidi ed esemplari scientifici, attraverso l’analisi di diagrammi e di mappe di dati di carattere, a metà tra l’esoterismo e le scienze. È un invito a non relegare all’immaginario tutto ciò che non è ancora verificato dalla scienza, pur essendo l’immaginario stesso un saldo punto di partenza.

Nel percorso circolare della mostra che distingue principalmente due sezioni, una dedicata alle opere video immersive e l’altra con le opere più oggettuali e interattive, è visibile, come prima opera rispetto all’ingresso, la video-installazione con il cortometraggio di Machinima di Federica Di Pietrantonio.  Il monitor è in sospensione su una struttura con i due elementi laterali metallici a treppiedi. L’artista guarda la rivoluzione digitale come perno per la sua ricerca artistica. Ha svolto una residenza alla School of Digital Arts, a Manchester, in collaborazione con la Quadriennale di Roma. L’esperienza nel Regno Unito ha ulteriormente sostenuto il suo interesse nell’individuare gli stili di vita dei gruppi delle comunità online, i fattori per i quali si identificano le persone che ne fanno parte, e i nickname con cui scelgono di vivere nello spazio abitativo “alternativo”.  Il video diviene uno strumento volto ad approfondire il ruolo mediatico e culturale del Machinima. Si occupa di prendere in esame la rivoluzione digitale che ha modificato le nostre esperienze di vita, partendo da Second Life, e attraversando altri mondi digitali. Crea percorsi all’interno di paesaggi virtuali, servendosi delle tecnologie di machine animation. Le ambientazioni immaginate sono spesso costituite da aree chiuse e da ciò che accade al loro interno, come avviene per la pratica degli hikikomori. Già nel 2000, alcune persone che in passato vivevano in solitudine, si sono aperte al sociale attraverso universi virtuali 3D come Second Life. L’evoluzione digitale ha portato a un uso massivo di tali piattaforme, rendendole fruibili da un numero sempre più crescente di utenti. Attraverso Farming, opera di videoarte che trae il nome dal video gioco utilizzato per rappresentarlo, Farming Simulator 2022, proposta in mostra, riusciamo a immergerci nel personaggio ideato e customizzato dall’artista e che abita una dimensione altra rispetto alla nostra realtà. Il lavoro documentaristico esplora le esperienze degli hikikomori, neet e gold farmers. L’artista è intervenuta a livello di programmazione, apportando delle modifiche al software del video gioco per poter raggiungere il risultato che il visitatore osserva nelle inquadrature realizzate e presenti nel monitor. Il personaggio si inserisce nella mappa naturale che si dichiara in conflitto rispetto allo spazio “concluso” dell’area vissuta dall’identità reale che lo muove. Continua a camminare incessantemente verso un orizzonte indefinito, seguendo una destinazione senza una meta intelligibile. Si stabilisce così un parallelo con la routine che gli stessi hichicomori descrivono come monotona. Ciò è evidente da alcune affermazioni reali di utenti anonimi che l’artista estrapola consensualmente da tali realtà e riporta all’interno del video. La solitudine e l’associazione tra vita virtuale e reale sono espresse da enunciazioni come “… I stayed in my room almost all the time. I’m 26, I still do now, staying in my room and going on the net for most of my time, being on the net becomes my life really”. Il video, inoltre, vaglia le interconnessioni che si generano nelle piattaforme MMORPG (Massively Multipayer Online Role-Playing Game) da un punto di vista sociale ed economico, andando a scandagliare le condizioni di povertà e discriminazione che si verificano al loro interno.

Segue nel percorso, il progetto The Martian Word for World is Mother di Alice Bucknell che esamina le possibilità dell’abitare su Marte e l’ipotesi di un futuro speculativo sul pianeta. Per ideare e comprendere i prossimi scenari, l’artista utilizza il sistema di ChatGPT, in cui pone domande sul tema dell’intelligenza artificiale, le cui risposte vengono selezionate secondo una statistica coniata da Bucknell. Il tentativo è di allontanarsi da una visione antropocentrica mainstream, grazie all’impiego di tre differenti schermi che riportano tre diversi scenari di colonie su Marte; e di ragionare sul pensiero terraformazione, processo artificiale che mira a rendere abitabile il Pianeta Rosso per l’uomo. Ogni monitor individua un’alternativa concezione del futuro e delle risorse del pianeta. Si ispira al ciclo di romanzi di fantascienza “The Mars Trilogy” di Kim Stanley Robinson e collega le strategie della science-fiction del 3D wordbuilding e del linguaggio dell’intelligenza artificiale. Il primo schermo presenta le risorse del pianeta fino al loro sfinimento, e insieme al terzo, in cui è visibile la coesistenza della terra con Marte, indagano immaginari negativi; mentre il monitor centrale implica l’esistenza di un’ipotetica azienda che preleva acqua dal Pianeta e la trasferisce sulla Terra. L’artista asserisce: “The project wants to move away from an anthropocentric understanding of the Red Planet by reforming language asl ess a tool of communication than a type of shared affect, between past and future, humans and nonhumankin”.

Robertina Šebjanič presenta l’opera Echinoidea future – Adriatic sensing, mettendo in rilievo le condizioni biogeologiche e morfologiche dell’ambiente dei ricci di mare, influenzate dai rifiuti liquidi antropogenici che causano bassi livelli di ossigeno nell’acqua marina. Il lavoro vuole dimostrare l’adattamento di questa specie acquatica nell’agire come un’attivazione della (sy)(e)mpathia. I dispositivi mostrano come i ricci rispondono nell’interazione con gli agenti inquinanti che vengono usati nelle nostre case, nel quotidiano. Inoltre, sono presenti due sculture in vetro che, morfologicamente, rappresento gli esiti degli esperimenti condotti dall’artista e dal suo team di ricerca che, insieme ai diagrammi con i dati raccolti nell’ultimo trentennio, mostrano i mutamenti del pH delle acque della costa adriatica. Ciò avviene soprattutto nelle zone ad alto tasso turistico. La ricerca si inserisce nell’Adriatic Zero Pollution commissionato dall’UR Institute, nell’ambito di ATARTS 4 Water, finanziato da S+T+ARTS, un’iniziativa della Commissione Europea nel programma di ricerca Horizon 2020.

Attrae, in uno spostamento assiale dello sguardo nello spazio, l’opera Ciò che resta di Pier Alfeo che, priva di audio, intende restituire il suono attraverso un silenzio assordante, provocato dall’esposizione delle immagini che, senza filtri, rappresenta cicatrici associabili sia agli umani, sia ai cetacei. Ciò è provocato dagli effetti del fenomeno dell’inquinamento acustico degli oceani e si mostra come un invito alla rinegoziazione dei rapporti interspecie, durante la crisi ecologica dell’Antropocene. Il lavoro, analogamente all’installazione di Alice Bucknell, che presenta alla base una simulazione del terreno di Marte, colloca il monitor rettangolare e disposto verticalmente su un mucchio di sale. La mission si propone di creare empatia verso l’universo semantico dei mammiferi marini, tramite l’utilizzo dei linguaggi di confine tra l’esperienza visiva e computazionale. È negato l’antropocentrismo in favore di un ripensamento del ruolo egemone, al fine di tessere connessioni con altre specie e con l’ambiente naturale ma anche con elementi inorganici. Il fenomeno causa il disorientamento dei cetacei e la formazione delle loro conseguenti cicatrici da impatto, prodotte dall’IA, tramite le GAN (Generative Adversarial Ntewoirk), reti neurali artificiali che assemblano immagini del mondo umano e cetaceo.

L’artista Sahej Rahal, con il progetto Mythmachine, immagina un luogo di collasso nel tempo, ricordando il sistema delle caste che, nel suo paese di origine, affonda le radici su miti e precetti religiosi appartenenti all’Induismo, e che per secoli hanno generato una rigida gerarchia che, ancora oggi, ricade sugli equilibri sociali. Di conseguenza la gerarchia non era stabilita né per merito, né per ricchezza ma da una “mitologia”, per la quale alcuni individui erano nati direttamente dalla testa, altri dai piedi della divinità. Il lavoro che si identifica a metà tra game design e storytelling concentra in uno schermo una via di fuga dal collasso, in cui la biologia e il progresso tecnologico creano divari sociali e altri possibili aspetti negativi, grazie alla formazione di un bioma virtuale popolato da creature postumane. Ne consegue un sensorium cibernetico di convivenza, in cui le creature definite da Rahal entrano in contatto con il visitatore, attraverso frequenze sonore presenti nello spazio fisico tangibile e vi interagiscono con il movimento che di poi genera un canto che abbraccia i quattro topoi di mente, macchina, mito e memoria.

Un ampio pannello con fondale scenografico catalizza il nostro sguardo verso le scene impresse sulla sua superficie. È Monologo, il progetto che nasce dalla collaborazione tra l’artista Riccardo Giacconi, una delle più antiche e celebri compagnie di teatro di figura al mondo, la Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli, e una rete neurale artificiale. L’artista si basa su due tecnologie di animazione, una arcaica, il teatro di figura, e una contemporanea, ChatGTP, a cui ha chiesto di scrivere una scena per marionette, con un incendio e pochi altri elementi. Entrambe sono rivolte all’imitazione dell’antropomorfo. L’IA utilizzata ha prodotto, a partire dai testi scritti da Giacconi, costumi, scenografie e marionette, poi elaborate con tecniche tradizionali dalla Compagnia Colla. La marionetta è, per eccellenza, il replicante e il doppio, proprio come l’intelligenza artificiale. Sono leggibili, nello scenario metanarrativo, due storie, quali l’incendio e la nevicata, la cui narrazione è udibile in cuffia. In mostra vi sono anche due marionette realizzate dalla compagnia Colla, una delle quali sembra carbonizzata poiché parte dell’immaginario dell’incendio, l’altra è inserita con l’obiettivo di raggiungere un numero sufficiente, secondo tale prototipo, per portare lo spettacolo in scena. È una e vera forma creativa tra artista umano e intelligenza artificiale.

 Artificial life: One Leg at a Time è un’installazione multicanale per restituire una differente immagine della tecnologia e della scienza dietro all’IA dell’artista Yue Huang. L’opera fa uso del paradigma del machine learning, il reinforcement learning che spinge gli agenti a reagire a contatto con l’ambiente circostante. Sono visibili sistemi scelti per l’addestramento dell’IA con una modalità reale e lontana dai film di fantascienza. L’IA è una macchina intelligente, auto-generativa, ma con un apprendimento lento e che può presentare fallimenti, così come avviene per l’essere umano. Il soggetto è un modellino che deve imparare a correre e che, nell’azione, compie movimenti buffi. Il movimento è costruito dalle reti neurali artificiali, secondo un processo di decision-making e ricorsivo. Dunque, l’intelligenza artificiale non è infallibile, e il lavoro reca interrogativi nel suo nesso con la vita biologica.

Entriamo nello spazio, verziere concluso, dedicato all’opera Ai Love, Ghosts and Uncanny Valleys. I broke up with my Ai and will never download them again di Mara Oscar Cassiani che trova il suo cardine nella relazione tra utenti e intelligenze artificiali, sondando l’innamoramento con una IA e le implicazioni, che possono essere conseguenze di tali relazioni e imprimere anche ricadute finanziarie. L’uomo modella la IA, secondo la propria idea di partner ideale, richiamando quel concetto di “Ghost”, l’anima nella macchina, assunto del 1949 del filosofo britannico Gilbert Ryle. Il lavoro presenta le compagne ideali, attraverso i supporti del video, del monitor e gadget. Le IA finiscono per essere vittime di ghosting e di relazioni abusive, seguendo un’inversione di rotta rispetto all’Uncanny Vally, per la quale l’IA si appropria di sembianze umane, infondendo turbamento nell’utente. Sui cuscini è leggibile la data di installazione della “donna ideale” e quella di rimozione che indica il successivo rifiuto da parte del fruitore. Nascono relazioni “usa e getta”. Un QR Code riporta al sito creato dall’artista, in cui sono raccolte una serie di risorse per invitare le persone a difendersi dalle forme di relazioni tossiche che spesso nascono proprio sul web. Ulteriore elemento dell’installazione è un poster, in cui l’IA prova a costruire l’immagine del cuore, utilizzando due dita umane e due digitali. Il risultato è tuttavia negativo per la generazione di deformazioni nell’immagine.

L’opera dell’artista Ginevra Petrozzi, Bite Off More Than You Can Chew, chiude il percorso della mostra, invitandoci a ragionare sugli algoritmi predittivi, tipici della tendenza appartenente al comportamento umano inerente alla necessità di controllare il futuro. I software che vengono adottati per il riconoscimento dei volti si basano sulla IA e richiamano gli antichi sistemi di divinazione somatica. Alcune culture hanno utilizzato i tratti somatici per prevedere il destino come la lettura del viso indiana Samudrika, i presagi corporei mesopotamici e le interpretazioni cinesi dei tratti. L’ispirazione, per l’artista, proviene dalla sua esperienza personale con l’apparecchio ortodontico: modificando la disposizione dei denti, cambia il suo destino. La rete neurale associa il cambiamento della posizione dei denti al diario delle sue esperienze di vita. Sono esposte quarantatré mascherine sui ripiani di una libreria in legno, mentre sulla scrivania sono poggiati dei volumi, tra i quali si distingue il diario giornaliero. Inoltre, è visibile un monitor su cui scorrono delle “frasi-oroscopo”, relative alle predizioni del futuro, elaborate sulla base della metodologia proposta, e che vengono generate settimanalmente. L’intelligenza artificiale può articolare il futuro, solo sulla base di un passato, cosicché quest’ultimo risulterà essere sempre uguale a sé stesso. Solo la possibilità, indotta da tale limite, può accompagnarci a immaginare un futuro diverso, concept che si rispecchia per l’ambiente, verso il quale, solo ulteriori azioni innovative e propositive possono essere fonte di rinnovamento.

Tutti i progetti hanno saputo esplorare le tensioni e le contraddizioni del mondo contemporaneo, fornendo spunti di riflessione e stimoli al dibattito critico.

Il 18 giugno verrà presentata, in occasione del finissage, una performance all’interno del percorso della mostra che si svolgerà in connessione con le opere esposte.

Il 18 giugno verrà presentata, in occasione del finissage, una performance all’interno del percorso della mostra che si svolgerà in connessione con le opere esposte.

RE:HUMANISM 3 – SPARKS AND FRICTIONS

a cura di Daniela Cotimbo

Fino al 18 giugno 2023

WeGIL – Largo Ascianghi, 5, Roma

Contatti e info: info@re-humanism.com www.re-humanism.com