Arco Madrid 2025

A Space Odyssey. Gianni Colombo

La mostra alla Galleria Giò Marconi, con Fondazione Marconi e a cura di Marco Scotini, inaugurata l’11 maggio scorso, è un’importante retrospettiva di Gianni Colombo, a trent’anni dalla sua scomparsa, e consente di ripercorrere e valutare l’enorme portata del suo contributo all’arte.

Ricostruire la vitalità intellettuale e creativa milanese degli anni Sessanta non è impresa facile. L’ambito ottico/cinetico aveva catalizzato un numero enorme di artisti e le novità della scienza e della tecnica, con le nuove sfide nello spazio, facevano da sfondo alle proposizioni dell’arte. Mentre Stanley Kubrick realizzava 2001: A Space Odyssey, il mondo dell’arte registrava le suggestioni legate all’idea del vuoto, della luce, della gravità. Nel 1958 in Germania era nato il Gruppo Zero e a Zurigo nel 1960 venne organizzata la mostra Kinetische Kunst al Kunstgewerbenmuseum. Erano gli anni in cui nascevano numerosissimi gruppi e tra questi: Il GRAV, il gruppo MID, il Gruppo Zero, il Gruppo T, il Gruppo N. Del Gruppo T facevano parte Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi e Grazia Varisco. Dalla collaborazione tra il Gruppo T e il Gruppo N padovano e con il patrocinio della Olivetti si arrivò nel 1962 alla prima esposizione di Arte Programmata organizzata a Milano da Bruno Munari e Umberto Eco.

Gianni Colombo già nel 1959, in collaborazione con Piero Manzoni, Castellani, Anceschi, Boriani e De Vecchi, aveva esposto alla Galleria Azimut e, in seguito, nei diversi “Miriorama” (mostre collettive numerate progressivamente); le indagini spazio-temporali vennero arricchite da esperienze cinetiche capaci di coinvolgere direttamente lo spettatore. Le ricerche di Colombo avranno anche una importante ricaduta per gli sviluppi dell’arte cinetica e saranno ricche di suggestioni per la creatività di artisti come Paolo Scirpa e Nanda Vigo.

Il riferimento al colossal di Kubrick è pertinente in relazione agli studi e interessi dell’artista, in perfetta sintonia con il fascino suscitato dallo sbarco sulla luna della missione Apollo 11 ((20/21 luglio 1969) che tenne il mondo intero con il fiato sospeso. L’artista milanese è stato un grande sperimentatore e, sulla scia dello Spazialimo di Lucio Fontana, le sue opere sovvertono le leggi gravitazionali e disorientano la percezione ricreando ambienti immersivi in cui la luce gioca un ruolo determinante; il Manifesto Blanco, scritto a Buenos Aires da lui stesso nel 1946, infatti dichiarava apertamente che lo sviluppo scientifico e filosofico aveva trasformato la psiche dell’uomo e che le forme statiche dell’arte erano diventate obsolete. Negli spazi della Galleria è possibile rivivere lo stordimento sensoriale provocato dal Progetto “Topoestesia”, vedere le “Cromostrutture” degli anni Sessanta e Settanta, le “Strutturazioni ritmiche” e quelle pulsanti, gli “Spazi elastici”. Particolarmente suggestive le animazioni elettromeccaniche come quella di “Spazio curvo” del 1992 che, per l’uso della lampada di Wood, è in grado, come gli Ambienti spaziali di Lucio Fontana, di ricreare la sensazione del vuoto, o di un ipotetico viaggio nell’etere cosmico.

Si tratta di una mostra di grande impatto visivo, che propone anche “Elda chair” di Joe Colombo, e che è in grado di rendere evidente la fruttuosa collaborazione con altri artisti, come Ugo Mulas, Vincenzo Agnetti, Maria Mulas, nello scardinare le leggi della stabilità spazio-temporale.

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