Pietro Rigolo – Immergersi nel luogo prescelto

Nella saggistica delle edizioni DOPPIOZERO è uscito – collana Supernovæ, 2013 – di Pietro Rigolo “Immergersi nel luogo prescelto. Harald Szeemann a Locarno, 1978-2000”, introdotto dall’ineccepibile approccio storico-critico di Stefano Chiodi, autore della prefazione.

Atterrato dalla laguna di Venezia sulle sabbie della California, l’autore persegue il proposito di riordinare l’archivio monumentale di quel curatore assurto alla fama d’interprete di “macchine celibi” –  mostra con un iter espositivo, 1975-1977, che ha tra le sue sedi i Magazzini del Sale della Biennale di Venezia  – con gli strumenti del Getty Research Institute di Los Angeles, che lo ha acquisito nel 2011.                                                                                                  

È così che Pietro Rigolo ricostruisce il territorio socio-antropologico-culturale del locarnese fine anni Settanta, da ricercatore che vi si è insediato, temporaneamente, per raccogliere, in diretta e in locoFabbrica Rosa di Maggia – le più significative testimonianze e registrare le voci più rappresentative di un passato utopico, di un contra-mundus del ritorno alla natura, a una topografia sacrale proveniente dall’Oriente. Nei pressi di Locarno, Ascona diventa una comune anarchica, nei primi anni Settanta del 1800, a partire dall’arrivo di Michail Bakunin e, a fine secolo, di Erich Mühsam, fondatore di una “repubblica dei senza patria” seguito, a sua volta, da Gustav Landauer e dallo psicoanalista Otto Gross, fondatore di un comunismo matriarcale. Ne scaturisce uno spaccato ambientale e un tessuto narrativo-connettivo che ha il suo fulcro esperienziale nel contesto “anastorico” di Monte Verità, su cui si stagliano figure impegnate a teorizzare e praticare riforme di vita in direzione anarchica, utopica, teo-antroposofica, esoterica, vegetariana, pacifista, nudista, ecologica, psico-terapeutica, protofemminista, pre-hippie, comunitario-socialista. 

L’analisi del contesto avviene alla luce dell’obiettivo centrale di Rigolo che è quello della ricostruzione della figura carismatica di curatore indipendente di mostre ed eventi ideata e messa in opera da Harald Szeemann. Viene progressivamente a delinearsi, nell’analisi del personaggio, quella strategia esibitiva che si pratica nel teatro, contesto da cui la potente figura del curatore svizzero, di ascendenza austroungarica, proviene. Come in una coinvolgente partita a scacchi tra caso e destino, l’autore studia e documenta le mosse del suo protagonista con una prosa asciutta, tuttavia densa di informazioni, permeata di riflessioni. 

L’occasione di esordio, in prima persona, viene data a Szeemann da Franz Meyer, marito della figlia di Chagall, direttore della Kunsthalle Bern dal 1955 al 1961, che gli affida la collaborazione, imprevista, alla mostra, dal titolo a chiasmo, Dichtende Maler/Malende Dichter-Pittori della Poesia/Poeti della Pittura, 1957, al Kunstumeum St. Gallen. È da quel momento che ha inizio la sua carriera.

«E così —  annota Szeemann — avevo trovato il mio medium espressivo: la mostra come creazione di un mondo temporaneo. Il ritmo preparatorio è molto simile a quello di una produzione teatrale ma, una volta inaugurato, ci si può nascondere dietro a questo mondo, mentre a teatro devi andare personalmente in scena ogni sera». Segue la direzione della Kunsthalle di Berna (1961-1969), apprezzata a livello internazionale, contestata a livello locale, in cui il Curatore, al momento ancora istituzionale, ma per poco, applica il talento di mettere in opera una, fluidamente tensiva, condizione concettuale-processuale-situazionale-informazionaleconnotante la storica, metodologicamente innovativa, mostraWhen Attitudes Become Form. Rivendicando presto una sua autonomia critica, il Curatore prende le distanze dal museo per fondare l’Agentur für geistige Gastarbeit/L’Agenzia per il lavoro spirituale all’estero. 

Spetterà al genovese Germano Celant – stroncato il 29 aprile 2020 dal Coronavirus – a cimentarsi, insieme a Thomas Demand e Rem Koolhaas, nel 2013, con la ricostruzione della mostra di Berna nei saloni di Ca’ Corner della Regina, sede della Fondazione Prada, a Venezia, immancabilmente visitata dalla scrivente. «L’intento celantiano di base annota Hans-Ulrich Obrist (innovativo curatore svizzero ideatore di un brillante Interview Project ispirato alle coppie Pierre Cabanne/Marcel Duchamp, David Sylvester/Francis Bacon)  —  è di ricrearne l’esperienza in modo non feticistico…ma attuando una circolarità di lettura del passato a partire dal presente…in una risalita ai dialoghi con gli artisti stessi». Questatestimonianza è tratta da una conversazione del 7 Maggio, 2020, con Stefano Boeri e Michelangelo  Pistoletto.

Prima di congedarsi dal controverso contesto della Kunsthalle Bern, che tuttavia lo ha proiettato su un set internazionale, Szeemann ha messo in atto un sistematico lavoro di auto-storicizzazione, raccogliendo in appositi faldoni – perlopiù i contenitori del suo vino preferito Villa Jelmini – le coordinate dei contatti, dei viaggi, dei suoi testi critici, delle informazioni, delle nuove relazioni con gli sponsor, senza trascurare nulla che lo concernesse, includendo, anzi, nella raccolta di idee, fotografie, immagini, documenti, corrispondenza, perfino le recensioni negative al limite dell’insulto. Sono gli anni Settanta – annota Rigolo – quando, alle pratiche di divorzio, segue il suo trasferimento in Ticino, dove raggiunge l’impegnata e seducente artista svizzero-tedesca Ingeborg Lüscher, sua nuova compagna di vita. 

Il dispositivo-mostra diventa per Szeemann un’arena di incontro-scontro intenzionale.  Soggetti creativi, spiritualisti, outsider, artisti provenienti da dadaismo, surrealismo, minimalismo, conceptual art, art brut, land art, arte povera, patafisica, arti medianiche (presenza femminile di Emma Kunz), congegni erotici, ibridazioni celibi tra la bicicletta e la sedia elettrica, creano uno scenario che risveglia in chi guarda, tramite la dinamica interna delle opere, un’energheia archetipica. Da questo cortocircuito, scaturisce la scintilla del jamais vu nel contesto confermativo e rassicurante del déjà vu. Forzando i parametri espositivi convenzionali, il curatore esplora, junghianamente, territori del pensiero e della psiche che attivano, nello spettatore, aperture dell’orizzonte emotivo, immaginativo, cognitivo. 

«Guardando alle sue mostre, si può leggere il filo Steiner-Beuys-Kiefer. Come interviene in questa catena l’idea di una mostra dedicata a James Ensor»? Quesito tratto dall’intervista della scrivente a Szeemann, sul Foglio aperto d’arte e cultura CREATIVA – anno II°- n.3-gennaio/febbraio 1985, terza pagina. Risponde Szeemann: «È un vecchio sogno. Da vent’anni pensavo di fare un omaggio a Ensor. E poi devo confessare che proprio questo artista, con la sua vita e le sue opere, è in gran parte responsabile di quello che io chiamo Il Museo delle Ossessioni. L’intervista avviene a Genova, in occasione della conferenza organizzata da Bernhard Wittek, direttore del Goethe Institut-Genua e dalla Pro Helvetia-Fondazione svizzera per la Cultura, nella Sede dell’Istituto Gramsci, nel lontano inverno del 1985, un mercoledì 13 febbraio. 

Se Ensor è il referente creativo-visionario-esistenziale del curatore svizzero, la figura in cui si identifica, però, non è quella di uno storico o critico d’arte contemporanea di successo, ma quella di un predicatore-sciamano come Joseph Beuys: indizio la cui significatività viene ampiamente confermata dal ritratto delineato da Pietro Rigolo nel suo libro. La personale storia biografica di Szeemann assume una prospettiva mitobiografica, in cui ossessioni e narcisismo fungono da chiave ermeneutica di un’esistenza innervata nella concezione del genio. Il culto dell’io, evidenziato dall’autore, è funzionale al perseguimento della Gesamtkunstwerk/Opera d’Arte totale, di coloritura nietzschiana e wagneriana. 

S’intitola infatti Der Hang zum Gesamtkunstwerk – Europäische Utopien seit 1800/Propensione all’opera d’arte totale-Utopie europee dal 1800 la mostra al Kunsthaus di Zurigo del 1983, seguita alla sua nomina di curatore dal 1981 al 1991. Ultima mostra della trilogia, iniziata nel 1975, con Junggesellenmaschinen e con Monte Verità nel 1978.  Devo dire che, per la sua imponente regia ideativo-scenografico-strutturale mi aveva lasciato attonita spettatrice, come cultrice, da tempo, del sorprendente modus operandi del curatore svizzero, che mi avrebbe anche suggerito, negli incontri a Genova o altrove, di includere nelle mostre, che avessi curato in futuro, artisti-performer svizzeri come Pipilotti Rist e Chantal Michel e altri di provenienza balcanica. In un microspazio apposito, nel cuore della mostra, venivano selezionati i gesti artistici fondativi del secolo: un Kandinsky del 1911, il Grande Vetro di Duchamp, un Mondrian e un Malevitch. Nelle altre sale il teatro aveva i suoi referenti in Wagner, Artaud, Appia, la scenografia e i costumi in Schinkel, Schlemmer, la musica in Skrjabin, Schönberg, Satie, Cage, l’architettura in modelli di Boullée, Spengler, Behrens, in quello del Vittoriale di Maroni dedicato a D’Annunzio, la scultura Bauhaus in Hermann Obrist, in Antoni Gaudì lo sconvolgente modello di espressionismo neogotico della Cappella della Colonia Güell. Non mancavano certo la pittura romantica di Friedrich, le sezioni d’avanguardia dada e futurista, l’avanguardia russa e tra gli artisti contemporanei gli immancabili Nitsch, Broothaers, Beuys, Kiefer. Mostra paradigmatica quanto a mise en scène di opere e intenzioni, installazioni ambientali e processi della mente, sottoscrivendo, il curatore, nelle sue selezioni di artisti, la dimensione materiale e immateriale.

Come si legge in un capitolo del libro, nel Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona, diretto dal 2011 da Mara Folini, il pubblico può fruire della visione della collezione permanente di opere di Marianne von Werefkin e insieme delle installazioni permanenti di Mario Merz e Niele Toroni, testimonianze di mostre, tra le otto curate da Harald Szeemann dal 1986 al 1992, in dinamico e rivitalizzante dialogo con artisti d’avanguardia di mostre successive al suo insediamento con artisti e tematiche congeniali al suo spirito come, a titolo di esempio, Luigi Russolo, 2014, Marcel Duchamp accanto a esponenti Fluxus, 2016, in ambito celebrativo del centenario Dada, i Nouveau Réalistes, 2017, Arte e Perturbante/Die Kunst und das Unheimliche, 2017, Art Brut Swiss Made, 2018. 

La tesi di un’Opera senza autore, sottesa al capolavoro filmico del regista Florian Henckel   von Donnersmark, del 2018, in cui, non a caso, protagoniste sono le figure di Joseph Beuys e Gerhard Richter, si ribalta, di fronte a uno Szeemann autore/curatore che, in ambito artistico, realizza Un’Opera d’Arte totale di se stesso. Nel far coincidere estetica ed esistenza, il nostro Exhibition maker, come amava definirsi, parla di equinozio della vita, metafora della rivoluzione della terra intorno al sole che ha raggiunto il suo zenith.

Pietro Rigolo, mettendo mano al caos di un archivio, cresciuto giorno per giorno, fino a prendere proporzioni monumentali, restituisce ad Harald Szeemman, con il suo libro, l’aura romantica di una figura di Profeta dell’Immaginario, ispirato e visitato da un suo personale, quasi intimo, Museo delle Ossessioni. Szeemann non ha mai smesso, per propria ammissione, di lavorare alla cornice di un quadro in cui riflettere il suo autoritratto.

Articolato in un’ampia e ritmata costellazione di capitoli, il libro di Pietro Rigolo, DOPPIOZERO edizioni, si configura come un ineludibile strumento di conoscenza di una figura di curatore e di un contesto socio-estetico tra i più significativi, utopisticamente, del Novecento.

DOPPIOZERO
Pietro Rigolo
Immergersi nel luogo prescelto
Harald Szeemann a Locarno, 1978-2000
saggistica, anno: 2013
Isbn: 9788897685227
Prezzo: €8,00
Collana: Supernovæ
Prefazione di Stefano Chiodi