In realtà, quello che abbiamo perduto è solo la sua presenza corporale terrestre: continua a vivere, energicamente, la sua Anima, percepibile in ogni opera, o disegno, o pensiero, frutti della sua intelligenza sensibile.
Laureatosi a San Paolo, nel 1954, presso la Facoltà di Architettura e Urbanistica Mackenzie, Paulo Mendes da Rocha ha ricevuto, tra i vari riconoscimenti al suo lavoro professionale, il Premio Pritzker nel 2006 e il Leone d’oro alla XV Biennale di Venezia nel 2016.

La sua storia, tuttavia, ha inizio nel 1928: Paulo nasce a Vitória, città portuale dello stato di Espírito Santo, a sud- est del Brasile, città che egli descrive, durante un’intervista fattagli da Carlo Gandolfi: «…una città che non si ferma mai, dove nel porto si lavora sempre. Questa idea del lavoro continuo ha impresso nella mia mente l’idea del lavoro slegata da quella dell’orario»1. Paulo focalizzerà sempre l’attenzione, infatti, sulla complessità della realtà nel momento presente e inesorabile.
Egli, inoltre, descrive i membri della sua famiglia: il nonno, costruttore di strade di origine italiana; lo zio, scienziato; il padre, ingegnere idraulico. E la nonna, che preparava gli gnocchi, muovendo le mani e aiutandosi con una forchetta. Ma non solo: «Mia nonna mi ha insegnato cose incredibili. […] il tempo come vero e proprio ingrediente d’azione e l’uncinetto e il suo codice, come unità di misura del tempo: non guardava l’orologio, cuciva per un po’…»2. Tutto questo ha avuto grande influenza su Paulo Mendes e sulla sua idea di relazione tra idea e cosa. Egli, infatti, è stato da sempre spettatore della capacità dell’uomo di trasformare e di dar vita a una bellezza desiderata e necessaria: «esiste un rapporto tra crescita naturale e ingegno umano»3.
Il suo corpus di opere muove dalla scala del design a quella territoriale; tuttavia, secondo Paulo Mendes, l’unico vero obiettivo di un architetto dev’essere, in qualsiasi operazione, la costruzione dei una “città per tutti”: densa ma non difficile, che aiuti a vivere. Egli ritrova tale principio, in scala ridotta, nell’edificio Copan di Niemeyer, o nel capolavoro di Artigas, il suo maestro: la FAU-USP, che definisce “tempio sempre aperto”. Paulo Mendes, chiamato da Artigas stesso per ricoprire il ruolo di assistente, diffonderà e svilupperà, alla morte del maestro, le idee di quest’ultimo, contribuendo, in modo decisivo, alla formazione della futura generazione di architetti paulisti.
Ricordiamo, ora, alcune tra le principali opere dell’architetto: la Palestra del Clube Atlético Paulistano, 1961; il Padiglione del Brasile all’EXPO di Osaka, 1970; il Museo Brasiliano di Scultura (MuBE), 1987; la ristrutturazione della Pinacoteca di Stato di San Paolo, 1993-97; il museo delle carrozze di Lisbona, 2009; il Sesc 24 de Maio a San Paolo, 2007; innumerevoli edifici residenziali, tra i quali la sua dimora privata, del 1964.
L’architettura di Paulo Mendes da Rocha continuerà ad agire sulla nostra esistenza, come l’azione dell’acqua nel tempo: l’architetto, nell’intervista di Gandolfi, paragona la storia della nostra vita ad una pietra, sulla quale viene a formarsi il disegno dell’acqua, che le passa sopra, goccia dopo goccia, durante milioni di anni. Quel disegno, che continuerà a modificarsi, vivrà in eterno.
1. (a cura di) Carlo Gandolfi, Quarantacinque domande a Paulo Mendes da Rocha, CLEAN 2016, p. 9
2. ivi, p. 10
3. ivi, p. 11