Meglio choc che chic

Vi ricordate i gommoni di Ai Weiwei, quelli appesi sulle facciate di palazzo Strozzi come sul fianco di una nave, magari in procinto di affondare (ogni riferimento alle barche dei migranti o alla Costa Concordia è puramente casuale)? L’opera realizzata nello stesso sito da JR, uno squarcio da cui si intravedono statue, cortili, biblioteche, non è da meno.

Taluno, sulle pagine dei social, si è ricordato dei sublimi teloni da restauro della Ecoponteggi. C’è stato persino chi, in un singulto di citazionismo, ha evocato l’ombra lunga di Duchamp. Come se il nostro artista, con la sua superficialità circense, avesse sputato in chiesa. E taccio – si fa per dire – su quanti lamentano lo spreco di pubblico (?) denaro per iniziative che non siano Sanremo o ifritti di Bracciano. Io stesso, Catone patentato, ero tentato dalle ingiurie dei canottieri da diporto ma, osservando le foto delle lamine taglienti di JR, mi sono ricreduto.

La sua opera, tutt’altro che leggera, è una preda troppo grossa per artigli d’avvoltoio. E non mi riferisco tanto alle dimensioni ciclopiche, da Attacco dei Giganti, quanto agli spunti che, come il polverone sollevato da un sisma, o da un attentato stile via dei Georgofili, essa riesce a sollevare. Intanto, il luogo: un intervento del genere, come è noto, JR lo aveva già fatto a Parigi, nascondendo la Piramide del Louvre. Ma a Firenze è tutt’un’altra storia: qui il Rinascimento si mangia a colazione. A non esistere è il presente, o meglio un presente del futuro: un presente che guardi al domani con l’intelligenza e il coraggio dei padroni del passato. Bene, nella città in cui la conservazione è tutto, il “taglio” sulla facciata apre davvero a sensi nuovi: afferma che si può guardare al domani senza per forza di cose, come è accaduto, ad esempio, a Parigi, rinnegare l’ieri. Il futuro, come scriveva un mio amico fiorentino, il compianto Alberto Caramella, si inoltra dal passato.

Ed ecco il secondo punto: questo “passato”, anziché portato a spalla come la statua del patrono, va digerito, scomposto e rimontato. In questo senso l’opera risponde al galateo non scritto dei lavori site specific: prendere spunto dai luoghi, ma senza schiacciarli, o rimanerne schiavi. A differenza dei tanti che ragionano sugli spazi in termini di sfondo, JR non stride. Le sue immagini sono, piuttosto, i fotogrammi di un film muto in bianco e nero. Sono i flash di memoria che, dopo una gita a Firenze, ci portiamo dentro. E che, pur rassicurandoci, ci lasciano lo stesso un groppo in gola: la sensazione, inesprimibile, di aver scordato qualcosa.

Del resto, come può accorgersi chiunque, nello squarcio l’apparenza e la realtà non corrispondono: quello che sembra un interno scoperchiato non ha niente a che spartire con il vero. Più sprofondiamo dentro, più siamo proiettati fuori, nella sala del Botticelli, nella Loggia dei Lanzi o nella biblioteca dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. Ma non è, a pensarci bene, ciò che accade in questo periodo in cui, a musei inaccessibili e città spopolate, non ci restano che i post, a fare le veci delle cartoline di una volta? Cos’altro sono le nostreimmagini – le stesse rimontate perfidamente da JR – se non ipotesi per incorniciare il vuoto? Vuoto per vuoto, meglio choc che chic. Meglio un’istallazione monstre che l’illusione di un concerto (o di una sveltina, influencer permettendo) nei saloni di un museo.