Arte Fiera 2025
MegaTeca
Giulio Ceppi, architetto e designer Creative Director di Total Tool Courtesy Parini Associati, Milano

MegaTeca: un sistema architettonico di protezione per spazi museali immersivi

L’architetto e designer Giulio Ceppi (1965) – che vive e lavora a Milano e sul Lago di Como – ha illustrato ad Angela Faravelli il progetto MegaTeca, un sistema architettonico di protezione per spazi museali immersivi.

Dopo l’emanazione dell’ultimo decreto ministeriale appare evidente come il settore culturale risulti tra i più colpiti in quanto ritenuto un servizio “non essenziale”, l’ennesimo attentato all’intero sistema culturale che in questo modo rischia di collassare e addirittura morire.

Fortunatamente però c’è chi sta elaborando una proposta che coinvolge diversi enti – dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca al Politecnico di Milano, al MiBACT – al fine di fornire una risposta adeguata per la fruizione in sicurezza di molti siti culturali.

Angela Faravelli intervista l’Architetto e Designer Giulio Ceppi

Angela Faravelli: In seguito alla chiamata da parte della Ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina per far parte del comitato di esperti incaricati di lavorare per un trimestre sull’emergenza scolastica, in qualità di architetto e designer – e dunque “organizzatore” di luoghi e funzioni – hai pensato a qualche progetto specifico per far fronte alla situazione di emergenza causata dal virus Covid-19?

Giulio Ceppi: Occupandomi di progettazione sensoriale, design dei materiali e sviluppo di nuove tecnologie, essendo ambasciatore del Design for All nel mondo e avendo inoltre sempre particolare attenzione per il settore culturale – oltre a quello scolastico – non ho potuto esimermi dalla volontà di mettere in gioco le mie conoscenze professionali per elaborare un progetto che potesse contribuire a facilitare la fruizione degli spazi, nello specifico quelli dedicati alla cultura, in questo momento particolarmente delicato dove il concetto di prossemica è in continua ridefinizione.
Due anni fa ho collaborato con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo al fine di formare l’identità del Cenacolo Vinciano a Milano attraverso lo sviluppo di una corporate identity che fosse ben identificabile a seguito di un problema di comunicazione insorto in rete; così ho avuto modo di constatare che la fruizione di molti luoghi deputati all’arte incominci prima di tutto virtualmente, quindi in remoto e a distanza – un fenomeno sempre più in crescita – per arrivare poi forse, con i limiti e le preclusioni del momento, ad essere fruibile fisicamente.
Ad oggi la situazione è delicata e le restrizioni sono in continuo aumento, infatti molti enti si sono adoperati per digitalizzare le proprie collezioni, cercando di trasferire online la presenza fisica ma, a mio avviso, questo approccio risulta insufficiente in quanto la fisicità e la virtualità dovrebbero essere pensate come due aspetti complementari e non analoghi. Tenendo in considerazione le nuove esigenze di distanziamento che portano a contingentare le presenze all’interno degli spazi dedicati alla cultura si è cambiato il punto di vista, identificando quindi una doppia fragilità: quella dell’opera e quella del visitatore.

AF: Le visite a certi siti, come ad esempio il Cenacolo Vinciano, sono dei rituali complessi, dove le “attese” dilatano l’esperienza di fruizione nel tempo e nello spazio. Il ruolo di progettista ti consente di incentrare i tuoi progetti sulla consapevolezza dell’utente affinché la fruizione non si riduca alla contemplazione frontale ma diventi un percorso lungo il quale tutto ciò che sta “prima” e ciò che viene “dopo” arricchisca l’esperienza espositiva. Come hai superato il “paradosso della doppia fragilità” – dell’opera e del visitatore – cercando di rendere possibile e potenziare la fruizione degli spazi museali?

GC: Proprio partendo dalla mia esperienza lavorativa al Cenacolo Vinciano insieme all’allora direttore del museo l’architetto Chiara Rostagno che svolge le proprie attività presso il MiBACT, lavorando in team con il prof. Ezio Bolzacchini dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca – studioso dell’interazione tra composti organici volatili, particolato atmosferico e beni culturali – abbiamo sfruttato le condizioni imposte dalla situazione di emergenza causata dal virus Covid-19 per fare una riflessione più approfondita, utilizzando la fragilità come chiave di lettura.
Così abbiamo elaborato il paradosso della “MegaTeca”, un sistema architettonico di protezione per spazi museali immersivi, temporaneamente integrabile in siti già esistenti: una sorta di “macchina delle meraviglie” dotata di alto contenuto tecnologico, che tiene presenti le nuove condizioni imposte dalla pandemia, garantendo completa sicurezza sia personale, sia per il bene culturale, in quanto adatta ad accogliere i visitatori e accompagnarli nella visita.

AF: Puoi spiegare nel dettaglio le potenzialità di un ambiente architettonico confinato e gli aspetti legati alla tecnologia? Saranno utilizzati per la sanificazione e la messa in sicurezza della MegaTeca e per aumentare l’esperienza di visita ed i contenuti messi a disposizione dei fruitori?

GC: Megateca è una struttura atta a custodire l’uomo non solo perché lo “contiene”, ma perché ne asseconda le inclinazioni dando corpo a nuove forme di relazione e di conoscenza tra fruitore, spazio culturale e opere; è cruciale che la nuova distanza sociale non separi ed “allontani” culturalmente, ma possa condurre sul crinale di una nuova grammatica delle relazioni. Chi  progetta gli spazi dei/nei luoghi di cultura deve oggi capire quanto la relazione ed il coinvolgimento siano una chiave progettuale potentissima: una sorta di visione buddhista di un mondo fatto di infiniti ed invisibili rapporti che, se debitamente attivati, possono trasformare la nostra percezione di quanto definiamo (ingenuamente) “reale”.
In questo caso la preclusione di un contatto tra i visitatori e il patrimonio ha quale beneficio immediato quello di non sottoporre quest’ultimo a prassi di sanificazione inidonee alla sua conservazione: tali operazioni sono confinate all’interno della teca, mediante sistemi di filtrazione e di sanificazione (passiva e attiva), compiuta attraverso metodiche chimiche e fisiche. Inoltre MegaTeca è una macchina narrativa che “parla” attraverso la sua struttura, è un percorso di mostra che ospita e protegge, che offre contenuti condivisi (pensati “for all”, ovvero in grado di superare i limiti vincolati alle diverse abilità e alle differenti culture). Le pareti di MegaTeca divengono superfici che consentono una interazione – senza contatto fisico – tra pubblico e oggetti esposti, mettendo a disposizione contenuti di approfondimento, strumenti di realtà aumentata e interpretativi per una fruizione partecipata.

AF: Dunque un ambiente che consente l’elaborazione di nuove forme di coinvolgimento e narrazione, luogo del divenire di un’esperienza immersiva multimediale che offre al contempo la massima sicurezza personale ed ambientale. Ti ho sentito spesso parlare della funzione educativa esercitata dal design, MegaTeca risponde a questa funzione?

GC: Non va sottovalutato l’aspetto sociale emergente del “rispetto del bene comune” che deriva dall’esperienza di MegaTeca, attraverso il confinamento dei fruitori stessi, rendendoli consapevoli che la limitazione ha il doppio beneficio protettivo verso sè stessi e la cultura oggetto della fruizione. Tale consapevolezza risulta altamente formativa nel contesto di visite scolastiche e di educazione delle nuove generazioni, soprattutto in un momento di transizione del comportamento sociologico e culturale come quello che stiamo vivendo.

AF: Ho notato che in molti spazi espositivi spesso si formano lunghe code di attesa, infatti mi pare che se all’interno dei musei la visita si svolga in sicurezza è però all’esterno che si possono verificare dei problemi di sovraffollamento. Può il design aiutare a gestire i flussi e la distribuzione dei visitatori?

GC: Recentemente ho elaborato DIAGO.N, un sistema composto da tre unità singole combinabili modularmente che facilitano la regolamentazione dei flussi di persone e il distanziamento sociale. Gli elementi sono utili per organizzare una linea di attesa, per mantenere le dovute distanze tra persone o cose e per suddividere gli spazi in modo ordinato e controllato; inoltre, essendo realizzati in un unico pezzo di tondino di acciaio nervato e rivestiti con finitura ramata antibatterica, sono resistenti agli agenti atmosferici e facilmente lavabili. Ciascuna unità inoltre si presta per la seduta, il contenimento di oggetti e materiali informativi, la comunicazione necessaria all’interno di un ambiente ed eventuali accessori “smart”.

Angela Faravelli

Dopo la laurea in Scienze dell’Architettura presso il Politecnico di Milano ha approfondito ulteriormente la progettazione museale e l’exhibit design con un focus specifico sull’arte contemporanea conseguendo la laurea magistrale in Visual Cultures e pratiche curatoriali all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Attualmente svolge attività giornalistica per testate multimediali e cartacee di settore, collabora con enti pubblici e privati in ambito curatoriale e di ufficio stampa, inoltre si occupa di coordinamento editoriale e della gestione di archivi d’artista. Penna della Rivista Segno cartacea, è referente per la zona Milano, Lombardia e per la Svizzera italiana per Segnonline. angela.faravelli@segnonline.it

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