I. Pinelli, Senza titolo, gesso, 250x60x60cm, Macerata 2020, foto e courtesy l'artista

Dialoghi #4 – Giuseppe Capogrossi | Iacopo Pinelli | Alberto Burri | Nicolò Masiero Sgrinzatto

Dialoghi #4 è il quarto appuntamento della rassegna ospitata dalla galleria Yag/garage, che si pone come obiettivo quello di cercare punti di contatto tra giovani artisti emergenti e grandi protagonisti della storia dell’arte, scandagliando le ragioni che muovono la ricerca artistica attraverso i decenni e anche in contesti molto diversi.

Il sempre più ambizioso progetto espositivo questa volta vede accostati Iacopo Pinelli, classe 1993, marchigiano di origini lombarde e Nicolò Masiero Sgrinzatto, classe 1992, padovano, a due dei maggiori esponenti dell’arte Informale italiana: Alberto Burri, di cui in mostra è esposta una combustione su plastica e Giuseppe Capogrossi, di cui è esposto un inchiostro su carta.

È evidente la distanza cronologica con i giovani Pinelli e Masiero Sgrinzatto, la produzione dei quali sembra, a una prima analisi, discostarsi molto da quella dei due maestri dell’Informale.

I lavori dei due giovani artisti sono tuttavia improntati ad una complessa ed interessante ricerca della relazione tra “segno” e “spazio” che si pone come naturale evoluzione delle risposte date dall’Informale alla necessità di uscire dalla forma tradizionalmente intesa e di dialogare direttamente con lo spazio.

Iacopo Pinelli, Strutture (colonna con cavalletto), resina e ferro, 170x100x100cm, Macerata 2020, foto e courtesy l’artista

Iacopo Pinelli usa oggetti della vita quotidiana per addentrarsi in una sottile riflessione sugli spazi e sui tempi della società contemporanea. Nelle sue pitture di sole (2020) lascia che l’esposizione alla luce solare imprima su pannelli di gommapiuma la forma di oggetti di uso comune, la loro ombra, lo spettro del loro passaggio, creando immagini misteriose e suggestive. Allo stesso modo, nelle Strutture (colonna, rete, colonna con cavalletto) (2020) trasla il linguaggio da cantiere in una metafora umana inesorabile realizzando in resina strutture di sostegno comunemente utilizzate nell’edilizia; scheletri che rivelano la fragilità intrinseca delle strutture e sovrastrutture in cui l’uomo si rifugia anelando a una sicurezza e una stabilità come antidoto all’horror vacui del fragile e instabile equilibrio delle cose che lo circonda. Una lettura profonda e spiazzante che, tramite una ragionata de-funzionalizzazione di forme e materiali comuni restituisce i bisogni e le solitudini di una società sempre più alienata. Strutture di sostegno tornano in Senza titolo (2020) in cui i puntelli a croce generalmente utilizzati nella costruzione dei tetti sono realizzati in gesso – alcuni con parti accidentalmente scheggiate o spezzate e volutamente non riparate, a sottolineare l’intrinseca fragilità delle cose – e disposti in sequenza scalare.

Nicolò Masiero Sgrinzatto, Acme, installazione multimediale sonora, 53x4x4cm, Padova 2019, foto e courtesy l’artista

Nicolò Masiero Sgrinzatto realizza sculture ambientali complesse e articolate che non solo dialogano con lo spazio in modo inedito ma riflettono su di esso e sul suo rapporto con la società contemporanea, ricorrendo all’utilizzo di oggetti comuni assemblati in modo originale e inaspettato, come in Ipotesi di sconfitta (2018) dove un tergicristallo su una struttura in cemento, alluminio, ferro e legno è azionato da un sensore di movimento al passaggio di ogni visitatore o Moodoom (2018) in cui una barra filettata posta in un’antenna sezionata è costantemente fatta oscillare dal motore di una lampada a led generando una litania elettrica che rievoca i ritmi di un lavoro disumanizzato. È il lavoro disumanizzato e disumanizzante richiamato anche in Obtortocollo, una piramide impossibile resa instabile dalla calcolata sproporzione dei tre piedi metallici alla base e sormontata da una sfera in polistirolo poggiata su un’altra piramide rovesciata, in MDF, contenente un woofer che emana una frequenza che fa tremare la sfera in un instabile moto perpetuo, una negazione della possibilità di raggiungere un vertice stabile, sicuro. La piramide ricorda una giostra spogliata di ogni elemento ludico, accattivante, colorato, rassicurante, di cui rimane solo il nudo scheletro della struttura in ferro grezzo, la nuda e spoglia essenza della società contemporanea che si affanna nella costante ricerca di un vertice che non può mai essere raggiunto, negato dall’instabilità della struttura. Lo stesso meccanismo è presente in Acme (2019) in cui una pallina da ping pong posta sulla sommità di un tubo di ferro è costantemente mossa da un altoparlante all’interno del tubo, generando un movimento casuale, quasi impercettibile ma costante che continuamente nega uno stato di equilibrio.

Nicolò Masiero Sgrinzatto, Obtortocollo, scultura, 130x145x150 cm, Padova 2019, foto e courtesy l’artista

Evidente l’impronta rivoluzionaria e dirompente dell’arte di Burri nella produzione dei due artisti, la medesima ricerca di dialogo diretto e non filtrato con lo spazio, con le forme e con i materiali intesi non come medium artistico ma come soggetti privilegiati dell’espressione artistica. Più sottile ma non meno carico di significato l’apporto dell’opera di Capogrossi, presente nel segno dinamico e continuo nei lavori di Pinelli e nella ripetitività del moto e nel loop acustico che caratterizza le installazioni di Masiero Sgrinzatto.

Sia le opere di Pinelli sia quelle di Masiero Sgrinzatto sono animate da una ricerca di dialogo profondo e costante con lo spazio circostante e gli elementi che lo occupano e lo vivono, ricercando e determinando relazioni inedite, e dal medesimo bisogno di trovare risposte che vadano oltre i confini tradizionali dell’arte che, alla metà del secolo scorso, animava le sperimentazioni formali e spaziali sia di Burri che di Capogrossi, sperimentazioni che hanno scosso le fondamenta della storia dell’arte e che continuano ad alimentare una ricerca artistica, quale quella di Pinelli e di Masiero Sgrinzatto, tesa a sondare il rapporto più intimo e più vero, spoglio di ogni gradevole e rassicurante facciata, fra la forma e lo spazio, lo spazio dell’arte e lo spazio della realtà, dando vita ad opere che, allo stesso modo di quelle di Burri e Capogrossi, disorientano, destabilizzano e interrogano lo spettatore, trascendendo la quotidianità in una ricerca di significato universale.

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