Linguaggi plurali. La Scuola di Calatanissetta in mostra a Bagheria

Tutto è un problema di linguaggio. E allora non abbiamo scampo. Nessuno scampo. La filosofia, a ragione, su questo c’ha fatto una malattia. Soprattutto quella contemporanea. Perché? Ecco, appunto: come spiegarlo correttamente?

Un’altra domanda centrale, formulata spesso da artisti, poeti e perfino ingenui e fantasmagorici pensatori (non solo da quei filosofi che hanno sostituito il loro cuore con l’epistemologia), suona più o meno così. Riusciamo, esposti ai limiti dell’immaginazione, riscaldati dal vulcano delle nostre emozioni, immersi in un costante dubbio… riusciamo, per un attimo, a dare un nome a ciò che, mediante intuizione, abbiamo “avvertito” in chissà quale corto circuito neuronale? In differenti angoli della terra la risposta è stata sempre la stessa; un secco: «No!».

Ammenoché alcune “funzioni” dentro noi, dalla cultura dominante abominevolmente soppresse, non siano pian piano ripristinate e restituite a svolgere le loro reali funzioni. Ma questa è un’altra storia, vero la quale la moderna psichiatra sta indagando, e che meriterebbe altre parole (forse inventate).

Tuttavia di rivelazioni intime, forti, sconvolgenti, forse l’arte è ancora (il mercato accolga queste mie ingenue parole) una roccaforte. Infatti, bando alle ciance linguistiche, ed è il caso di dirlo, la Scuola di Caltanissetta, guidata per l’occasione da Giovanna Cavarretta, ha inaugurato sabato 16 marzo, al Centro d’Arte e Cultura “Piero Montana” di Bagheria, la mostra intitolata “Un linguaggio plurale. La scuola di Caltanissetta”, con gli artisti Calogero Barba, Lillo Giuliana, Michele Lambo, Giuseppina Riggi, Salvatore Salamone, Franco Spena, Agostino Tulumello.

La Cavarretta ha strutturato l’esposizione seguendo uno schema che, seppure dinamico riguardo le inclinazioni stilistiche dei singoli artisti, rispetta una linea di pensiero che potrei definire -in generale- “filologica”, con il tentativo di unire le differenti proposte comunicative partendo dal segno e giungendo alle trame.

Il gioco, rivolto al fruitore, sarà appunto “tradurre”.

Dario Orphée La Mendola

Dario Orphée La Mendola, si laurea in Filosofia, con una tesi sul sentimento, presso l'Università degli studi di Palermo. Insegna Estetica ed Etica della Comunicazione all'Accademia di Belle Arti di Agrigento, e Progettazione delle professionalità all'Accademia di Belle Arti di Catania. Curatore indipendente, si occupa di ecologia e filosofia dell'agricoltura. Per Segnonline scrive soprattutto contributi di opinione e riflessione su diversi argomenti che riguardano l’arte con particolare attenzione alle problematiche estetiche ed etiche.