Alessandro Fonte - Le chiavi e la Soglia - Diario di viaggio - a cura di Pietro Gaglianò. Fondazione Malvina Menegaz - Castelbasso

Le chiavi e la soglia / Diario di viaggio#2 / intervista a Pietro Gaglianò

Le chiavi e la soglia è il progetto dell’artista Alessandro Fonte a cura di Pietro Gaglianò con cui la Fondazione Malvina Menegaz di Castelbasso Teramo, si è aggiudicata il bando “Per chi crea” promosso da SIAE e MIBAC.

Sulle pagine online di Segno ci eravamo lasciati lo scorso 14 gennaio con uno scritto di Pietro Gaglianò e l’inizio di quello che avrebbe dovuto essere un diario di viaggio del progetto  Le chiavi e la soglia dell’artista Alessandro Fonte con cui la Fondazione Malvina Menegaz di Castelbasso Teramo, si è aggiudicata il bando “Per chi crea” promosso da SIAE e MIBAC. Quanto è accaduto dopo tale data lo sappiamo molto bene. La documentazione del progetto, dunque il diario, si è di fatti qui interrotto nell’impossibilità di seguire da vicino le fasi del suo progredire, ma non il lavoro di Fonte, non quello di Gaglianò, tantomeno quello della Fondazione che, impegnata e convinta del valore culturale delle “residenze” al fine di promuovere le collaborazionitra artisti e artigiani, ha indirizzato la propria mission, negli ultimi anni in particolare, sempre più in una prospettiva di resilienza e rispetto, oltre che del territorio delle sue preziose maestranze.

Le chiavi e la soglia apre al pubblico il prossimo 25 luglio e sarà visitabile secondo quanto previsto dalle norme in materia di sicurezza della salute, fino al 30 agosto. Cos’è accaduto in questi mesi, cosa finalmente avremo l’opportunità di apprezzare, lo chiediamo qui al curatore del progetto Pietro Gaglianò.

Maria Letizia PaiatoLe chiavi e la soglia è un titolo di grande suggestione poetica. Mi racconti brevemente come nasce, dunque l’idea di Alessandro Fonte? E di cosa si tratta? 

Pietro Gaglianò. Alessandro Fonte è un artista capace di uno sguardo attento e sensibile quando si accosta a realtà complesse come gli ecosistemi sociali. Il suo lavoro, osservandolo retrospettivamente, è quasi sempre sintetizzato in opere che si fanno simbolo del non detto, delle connessioni interrotte e del rimosso nelle comunità. Per questo motivo era il candidato ideale a lavorare in un piccolo borgo come Castelbasso, addentrandosi in minuziosi scambi con i suoi abitanti ma tenendo sempre uno sguardo alto, consapevole di tensioni storiche e sociali che si possono leggere soltanto a distanza. Le chiavi e la soglia è la cronaca di un tentativo di rivitalizzare memorie sopite e di spezzare quello strano silenzio che pervade i luoghi afflitti da rarefazione demografica. Le chiavi sono quelle che aprivano porte ormai smarrite, negozi chiusi per sempre, case abbandonate. Le sedie invece sono quelle che nei paesi del centro sud vengono messe sulla soglia delle abitazioni, in una ideale continuità tra pubblico e privato. Le une e le altre sono state raccolte nel corso di un confronto con gli abitanti e hanno preso altre forme, a volte mantenendo il materiale altre volte il sembiante. E adesso sono espressione corale della prossimità sociale di Castelbasso.

MLP. Come avete condotto il lavoro tu e Alessandro? Ti chiedo, in realtà, di raccontarmi cosa significa per te “curare” un progetto? Che valore assegni a questa parola?

PG. Devo ammettere che non ho mai amato la parola curatore, con il suo sottinteso atteggiamento demiurgico, mentre la locuzione “a cura di” mi sembra ormai svuotata di senso, visto l’abuso che ne viene fatto, e io stesso sono un critico d’arte, uno studioso, non propriamente un curatore. Il mio rapporto con gli artisti è assimilabile a quello di un lungo viaggio condotto assieme, c’è una condivisione che parte nel loro studio, che si nutre di conversazioni, letture, e di un confronto sempre attivo sul progetto. Mi piace pensare questa relazione come l’esito di un mio sforzo di comprensione e analisi che si svolge parallelamente a quello dell’artista. Anche con Alessandro è stato così, sia pure dovendo lavorare in larga parte a distanza (perché lui vive a Berlino e io a Firenze). Da quando abbiamo iniziato a delineare i contenuti del progetto per il bando SIAE ci sono state una fitta corrispondenza e lunghe telefonate, un dialogo che è continuato in tutte le fasi del progetto, anche durante la stesura del saggio per il catalogo. 

MLP. Quanto è stato importante il rapporto con gli abitanti di Castelbasso? E perché?

PG. Questo rapporto, la presenza attiva della comunità di Castelbasso nel dialogo con il progetto, è importante quanto la materia tangibile di cui fatta la presenza tangibile delle opere. Quando si agisce all’interno di una comunità il rischio dell’appropriazione culturale è altissimo, così come quello di un intervento sganciato dal contesto, coloniale. Gli abitanti del Borgo sono molto consapevoli delle complessità dell’arte e dei suoi linguaggi, già abituati della lunga familiarità con i progetti della Fondazione, e hanno accolto tutte le richieste e le proposte di Alessandro con grande serietà, partecipazione e senso di responsabilità. Senza tutto questo avremmo avuto delle sculture interessanti dal punto di vista formale, ma grazie a un processo che ha messo in primo piano la comprensione quelle opere sono una presenza eloquente, e trovo importante che lo siano soprattutto per la comunità che ha contribuito a generarle e che più di ogni altro le vivrà.

MLP. Da un punto di vista sociale ma anche economico, che impronta può e riesce a dare l’arte a un territorio? 

PG. L’arte è una miniera d’oro per tutte le aree del vivere condiviso: crea sollecitazioni, esalta le narrazioni autentiche e mette in crisi la rappresentazione ora oleografica ora discriminatoria che abbiamo del mondo. L’esperienza dell’arte apre il più ampio orizzonte di emancipazione individuale e collettiva, e sul piano relazionale è anche l’occasione per la conoscenza e la comprensione reciproca. In più, su un piano operativo, la rinascita di alcuni distretti sociali e culturali può trovare nell’arte un motore. Lo stiamo vedendo anche a Castelbasso e in molti altri piccoli centri dove la presenza degli artisti e degli operatori della cultura muove nuove domande, attiva le economie, rianima la possibilità di abitare aree in crisi demografica. Il lavoro che la Fondazione Menegaz conduce, mettendo in relazione artisti con eccellenze produttive del territorio indica la virtuosità e la fattibilità di un simile approccio. Anche per Le chiavi e la soglia è stata cardinale la possibilità di lavorare con gli artigiani e gli studi professionali della zona.

MLP. Cosa significa per te la parola comunità?

PG. La comunità è l’individuo quando realizza che senza la relazione con gli altri la sua vita non ha senso. La comunità (realizzata per elezione e non per necessità) è la sintesi che diamo alla relazione densa e anche contrastata che deve realizzarsi fra pari, non solo per il soddisfacimento di bisogni. Come ho scritto altrove (Memento, 2016) la comunità è concetto politico, laddove il significato di ‘politico’ è quello di una funzione capace di trasformare la moltitudine in cittadinanza, in comunità, appunto, grazie all’uso del linguaggio e della facoltà immaginativa. Il politico si intesse, quindi, in uno scambio di sguardi, nell’apprendimento reciproco, nella conoscenza e nel riconoscimento dei cambiamenti in corso all’interno della collettività che, in tal modo, si fa comunità.

MLP. Cosa vedremo il 25 luglio? Ci puoi anticipare qualcosa?

PG. Entrambi i progetti di cui si compone Le chiavi e la soglia sono visibili nello spazio pubblico, o sarebbe più corretto dire nello spazio condiviso. In tal senso sono una restituzione dell’artista alla comunità. Le chiavi sono diventate una campana, uno strumento sonoro laico che suonerà ritualmente con la voce di tutto il borgo; le sedie, trasformate da passaggi tecnologici e artigianali, sono adesso un luogo di incontro simbolico ma anche una seduta pubblica.

MLP. L’ultima domanda è personale. Cosa ha dato a Pietro Le chiavi e la soglia ? In un ipotetico diario di viaggio di questo progetto, qual è la pagina più densa e che ricorderai?

PG. Nonostante i limiti e le sospensioni date dalla reclusione per motivi sanitari, il viaggio attraverso questo progetto è stato denso e fitto di episodi, con difficoltà tecniche e talvolta di comunicazione, ma con un grandissimo costante sentimento di scoperta. Forse il momento più esaltante è sempre quando si vede l’idea diventare forma, quando tutte le storie raccontate, le ipotesi, i dubbi si coagulano in qualcosa di presente, che è l’opera nella sua essenza tangibile e nella sua dimensione amplificata, parlante. 

Maria Letizia Paiato

Storico, critico dell’arte e pubblicista iscritta all’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo, insegna Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata. Dottore di Ricerca (Ph.D) in Storia dell’Arte Contemporanea, Specializzata in Storia dell’Arte e Arti Minori all’Università degli Studi di Padova e Laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Ferrara, è ricercatore specializzata nel campo dell’illustrazione di Primo ‘900. La trasversalità d’interessi maturata nel tempo la vede impegnata in diversi campi del contemporaneo e della curatela, della comunicazione, del giornalismo e della critica d’arte con all’attivo numerose mostre, contributi critici per cataloghi, oltre a saggi in riviste scientifiche. Dal 2011 collabora e scrive con costanza per Rivista Segno, edizione cartacea e segnonline. letizia@segnonline.it ; letizia@rivistasegno.eu